Cass. civ., sez. III, sentenza 20/05/2020, n. 09256

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Il provvedimento analizzato è una sentenza della Corte di Cassazione, emessa in data 28 novembre 2019, riguardante un ricorso per cassazione avverso una sentenza della Corte d'Appello di Venezia. Le parti in causa erano un fideiussore, che chiedeva l'accertamento della sua liberazione da obbligazioni garantite, e una banca, che contestava tale liberazione sostenendo che il recesso dalla fideiussione non fosse stato effettuato secondo le modalità previste.

Il ricorrente sosteneva che, a seguito del recesso dalla fideiussione, non fosse più tenuto a rispondere per debiti contratti dalla società garantita, mentre la banca sosteneva che il recesso non avesse effetto sulle obbligazioni già esistenti. La Corte d'Appello aveva rigettato la domanda del fideiussore, ritenendo che il recesso non avesse liberato il garante dalle obbligazioni assunte.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando che il giudice d'appello non aveva correttamente applicato l'art. 1373 cod. civ. in relazione alla specificità del contratto di fideiussione. Ha sottolineato che, in caso di recesso, il fideiussore è liberato se, alla data del recesso, l'obbligazione principale è stata adempiuta. La sentenza è stata quindi cassata e il caso rinviato per una nuova decisione, stabilendo un principio di diritto chiaro riguardo alla liberazione del fideiussore.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 20/05/2020, n. 09256
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09256
Data del deposito : 20 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

ronunciato la seguente Cron.22,56

SENTENZA

Rep. sul ricorso 25565-2017 proposto da: Od. 28/11/2019 D L S, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PU

POMPEO MAGNO

3, presso lo studio dell'avvocato S G, rappresentato e difeso dall'avvocato G S;

- ricorrente -

2019 contro 2488 MPS GESTIONE CREDITI BANCA SPA in persona del Dott. C A B, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN VALENTINO, 21, presso lo studio dell'avvocato F C, rappresentata e difesa dall'avvocato F S;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 658/2017 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2019 dal Consigliere Dott. S G G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M F che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato G S;
udito l'Avvocato M F per delega orale;

FATTI DI CAUSA

1. S D [io ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 658/17, del 27 marzo 2017, della Corte di Appello di Venezia, che - accogliendo parzialmente il gravame esperito dalla società MPS Gestioni Crediti S.p.a. (d'ora in poi, "MPS"), in nome e per conto della società Banca M d P di Siena S.p.a. (d'ora in poi, "M d P"), avverso la sentenza n. 2321/11, del 19 settembre 2011, del Tribunale di Venezia - ha respinto le domande proposte dall'odierno ricorrente, verso M d P, finalizzate, in particolare, ad accertare che nulla era dal medesimo dovuto per eventuali esposizioni debitorie derivanti da finanziamenti concessi alla società Triade S.r.l., dopo che esso D L aveva receduto dalla fideiussione concessa nell'interesse di detta società.

2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di aver convenuto in giudizio M d P, per chiedere - previo accertamento dell'intervenuto recesso, in data 23 dicembre 2005, dalla fideiussione prestata in favore della convenuta - di dichiarare che nulla era ad essa dovuto per eventuali esposizioni debitorie derivanti da finanziamenti concessi alla società Triade, della quale egli (oltre che garante) era stato socio fino al 21 ottobre 2005, data in cui aveva ceduto, all'altro socio, l'intera sua partecipazione societaria. In subordine, l'allora attore chiedeva di essere dichiarato liberato, anche ai sensi dell'art. 1956 cod. civ., delle eventuali esposizioni debitorie derivanti dai finanziamenti erogati dopo il recesso, alla società Triade, da M d P, nonché - conclusivamente - di inibire alla convenuta la sua segnalazione alla Centrale rischi della Banca d'Italia, condannandola a risarcire i danni derivanti da un'eventuale segnalazione.Costituitasi in giudizio M d P (in persona della mandataria MPS), la convenuta, oltre a chiedere il rigetto delle domande, in particolare per essere il recesso avvenuto senza le modalità previste nell'atto di fideiussione, agiva anche in riconvenzione. Sul rilievo, infatti, che le linee di credito, concesse dopo il recesso del fideiussore, fossero da ritenere proroghe delle preesistenti aperture di credito collegate a prestiti d'uso d'oro, e non già nuovi affidamenti, la convenuta chiedeva la condanna del D L al pagamento di C 264.028,38, quale saldo alla data dell'8 febbraio 2008 del conto corrente garantito. Il giudice di prime cure, accogliendo parzialmente la domanda del D L, dichiarava che, in conseguenza dell'avvenuto recesso, nulla era dovuto dall'allora attore verso M d P, alla quale ordinava anche di non segnalare il nominativo del D L alla Centrale Rischi della Banca d'Italia, dichiarando, infine, inammissibile, in quanto tardiva, la riconvenzionale. Esperito gravame da M d P (sempre tramite MPS), la Corte di Appello di Venezia, nel ribadire l'inammissibilità della riconvenzionale, preso atto che l'appellante non aveva impugnato la statuizione relativa alla legittimità del recesso del D L, ma esclusivamente quella relativa agli effetti del recesso stesso, provvedeva nei termini dianzi illustrati. Essa, in particolare, rigettava la domanda di accertamento negativo del D L, sul rilievo che nella presente fattispecie - "a prescindere dalla disciplina convenzionale integrativa" in ordine al recesso, prevista nel contratto di fideiussione (e pure invocata dall'appellante M d P) - dovesse trovare applicazione l'art.1373 cod. civ., nell'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla fideiussione prestata a garanzia di un contratto di apertura di credito in conto corrente, senza predeterminazione di durata.La Corte veneziana, infatti, richiamava il principio secondo cui il recesso del fideiussore è operante nel momento in cui venga a conoscenza dell'istituto di credito (nella specie, il 23 dicembre 2005, come non contestato da M d P), producendo l'effetto di limitare la sua obbligazione di garanzia al saldo passivo esistente a tale data, il cui esatto importo, peraltro, il giudice di appello riteneva non occorresse stabilire, nel caso sottoposto al suo esame, data la confermata declaratoria di inammissibilità della riconvenzionale. Il giudice di appello, inoltre, richiamava anche il principio secondo cui, qualora il saldo esistente alla chiusura del rapporto di apertura di credito risulti inferiore a quello esistente al momento del recesso del fideiussore, si verifica una corrispondente riduzione dell'obbligazione fideiussoria, in applicazione della regola sancita dall'art. 1941, comma 1, cod. civ., per cui la fideiussione non può eccedere l'ammontare dell'obbligazione garantita. Infine, la sentenza impugnata soggiungeva che sarebbe stato onere del fideiussore provare - prova, nella specie, invece mancata - che il debito finale, ancorché diminuito rispetto al momento del recesso, fosse conseguenza di operazioni completamente nuove e diverse, perfezionate dopo il suo recesso, ovvero, che il debito per prestito d'uso d'oro fosse stato ripianato alla data del 23 dicembre 2005 e formatosi, nuovamente, durante la gestione della nuova "governance" societaria.

3. Avverso la sentenza della Corte lagunare ha proposto ricorso per cassazione il D L, sulla base - come detto - di tre motivi.

3.1. In particolare, il primo motivo deduce - ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. - nullità della sentenza per motivazione apparente e/o violazione e falsa applicazione dell'art.1373 cod. civ. Si censura la sentenza impugnata laddove, in accoglimento del secondo motivo di gravame di M d P, ha ritenuto che la liberazione invocata dal fideiussore fosse in contrasto con l'art. 1373, comma 2, cod. civ. La Corte territoriale, infatti, si è richiamata al principio secondo cui, in caso di fideiussione prestata a garanzia di un'apertura di credito in conto corrente senza predeterminazione di durata, il recesso del fideiussore è operante nel momento in cui viene a conoscenza dell'istituto di credito e produce l'effetto di limitare la garanzia al saldo passivo esistente a tale data. Si tratterebbe, tuttavia, di un principio - secondo il ricorrente - non applicabile alla presente fattispecie, non venendo qui in rilievo un'apertura di credito a tempo indeterminato, ma due contratti di "prestito d'oro", ovvero di mutuo a tempo determinato, la cui scadenza era fissata, rispettivamente, per i giorni 11 e 23 novembre 2004, risultando, l'uno, prorogato al giorno 11 febbraio 2006, l'altro al 23 dicembre 2005. Solo alla loro scadenza, dunque, e oltretutto in presenza di un inadempimento della mutuataria, M d P avrebbe potuto addebitare in conto il controvalore corrispondente al prezzo dell'oro dato in prestito. Conseguentemente, al momento del e) recesso, il 23 dicembre 2005, non poteva ritenersi l'esistenza di alcun saldo debitore del conto corrente. Inoltre, si sottolinea che alla scadenza di quei contratti M d P ha chiuso le posizioni debitorie, provvedendo a concedere, all'esito di un'apposita nuova istruttoria, due ulteriori affidamenti, sorti successivamente all'avvenuto recesso del fideiussore e prorogati, di tre mesi in tre mesi, fino al 2008;
degli stessi, pertanto, l'odierno ricorrente assume di non dover rispondere, proprio perché sorti successivamente al recesso e sulla base di un nuovo contratto di mutuo (anche a condizioni e con tassi di interesse diversi da quelli originari, per ammissione di M d P), donde l'inapplicabilità dell'art. 1373, comma 2, cod. civ.

3.2. Inoltre, con il secondo motivo, si deduce - ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. - nullità della sentenza per motivazione apparente e/o violazione e falsa applicazione dell'art.1956 cod. civ. Si contesta, in questo caso, la sentenza impugnata per essersi sottratta alla valutazione circa l'applicabilità della norma appena menzionata, sul presupposto che quelli operati da M d P non siano stati nuovi affidamenti, asserendo, anzi, il giudice di appello addirittura l'irrilevanza della questione. Per contro, secondo il ricorrente, si tratta di fatto "ammesso e documentato" anche da M d P;
d'altra parte, che tali affidamenti fossero "nuovi", e non "rinnovati" o "prorogati" (come assume l'istituto di credito) costituirebbe circostanza che trova "conferma logica e documentale" nel fatto che "gli affidamenti avevano durata di tre mesi", essendo scaduti, pertanto, "ben prima della revoca dei rapporti" (avvenuta, sottolinea sempre il ricorrente, solo in data 8 febbraio 2008). Il giudice di appello, dunque, avrebbe dovuto domandarsi se fosse effettivamente applicabile l'art. 1956 cod. civ., e non lasciare intendere, seppur implicitamente, che in caso di nuovo affidamento, allorché il ricavato vada a ripianare quelli precedenti, tale norma non troverebbe ingresso. Tale assioma sarebbe, infatti, errato, non trovando supporto in alcuna disposizione legislativa, visto che ai fini dell'operatività dell'art.1956 cod. civ. è irrilevante la finalità del nuovo credito, essendo sufficiente che il creditore decida di concedere nuovo credito pur sapendo che le condizioni del debitore siano tali da rendere più difficile l'adempimento.
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