Cass. civ., sez. V trib., sentenza 05/06/2023, n. 15744
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pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso n. 20242-2018, proposto da: AQUALAGNA TARTUFI s.r.l., c.f. 02149640415, in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. F M, che dichiara di voler ricevere le comunicazioni all’indirizzo - Ricorrente CONTRO AGENZIA DELLE ENTRATE, cf 06363391001, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis- Controricorrente Avverso la sentenza n. 17/04/2018 della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 17.01.2018;udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7luglio 2022 dal Consigliere dott. F F, Accertamento –Operaz. Sogg. Inesistenti -Prova RGN 20242/2018 Consigliere est. F sentite le conclusioni della Procura Generale, nella persona del Sost. Proc. Generale dott. A C, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;uditi gli avvocati, FATTI DI CAUSA A conclusione di una verifica generale condotta da militari della GdFe del relativo processo verbale di constatazione redatto l’8 agosto 2015 , l’Agenzia delle entrate notificò alla Acqualagna Tartufi s.r.l. gli avvis i d’accertamento con cuiera rideterminato l’imponibile iva degli anni 2010 e 2011, con conseguente recupero ad imposta dell’importo di € 96.709,00 per la prima annualità ed € 76.952,00per la seconda. Furono conseguentemente comminate le relative sanzioni. L’ufficio aveva ritenuto che la società, esercente attività di commercializzazione (previa lavorazione e conservazione) di frutta e ortaggi, e più nello specifico di tartufi, avesse partecipato ad una cd. “frode carosello”, emettendo fatture d’acquisto del prodotto dallesocietà cartiera “ FIMA s.r.l.” e “Funghi e Tartufi s.a.s.” , in realtà acquistate direttamente da altrisoggetti, i cd. cavatori, nell’intento di fruire di vantaggi fiscali(sottrarsi alla applicazione dell’art. 1, comma 109 della l. 30 dicembre 2004, n. 311 -legge finanziaria 2005-, che imponeva l’obbligo di autofatturazione per l’acquisto di tartufi da raccoglitori dilettanti privi di partita iva - cavatori - , con obbligo di versamento dell’iva autofatturata senza diritto alla detrazione). Instaurato il contenzioso dalla società, la Commissione tributaria provinciale di Pesaro,con sentenze n. 541 /01/2016 e 542/01/2016, rigettò i ricorsi. La Commissione tributaria regionale delle Marche adita dalla contribuente, previa riunione delle impugnazioni, rigettò gli appelli con sentenza n. 17/04/2018, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha ritenuto che le emergenze documentali dimostravano che le società cartiera si sarebbero solo fittiziamente interposte tra i cavatori e la contribuente perché risultasse l’acquisto del tubero da società con partita iva, cosìda aggira re la disciplina introdotta dalla legge finanziaria del 2005, che per il commercio del tartufo imponeva l’inversione contabile con autofatturazione e senza diritto alla detrazione dell’iva.In particolare ha dedotto la partecipazione non inconsapevole della Acqualagna s.r.l. al “meccanismo frodatorio” dal quadro indiziario illustrato dall’Amministrazione finanziaria, che ha ritenuto grave, preciso e RGN 20242/2018 Consigliere est. F concordante, ulteriormente valorizzato dalla ristrettezza del mercato del tartufo e dalla conoscenza degli operatori. Di contro ha ritenuto puramente teoriche le considerazioni con cui la società avrebbe contrastato gli elementi addotti dall’ufficio, negando l’estraneità alla frode carosello e la colpevole inconsapevolezza della stessa. Il giudice regionale ha inoltre ritenuto irrilevante come fosse del tutto assente la prova, di cui l’Amministrazione finanziaria era pur onerata, dell’approvvigionamento del tartufo dai cavatori e del pagamento in nero di questi, ritenendo irrilevante «l’assenza di indagini sull’elemento psicologico in capo ad essa [contribuente] quale acquirente da società ritenute cartiere, data la rilevanza prevalente nel processo tributario del profilo sostanziale delle questioni dedotte». La società ha censurato con due motivi la sentenza, della quale ha invocato la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso. All’esito della udienza pubblica del 13 dicembre 2022, la causa è stata riservata e decisa.Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo la società si duoledella violazione degli artt. 19, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per l’erroneità della sentenza d’appello quanto alla prova del compimento di operazioni soggettivamente inesistenti e del coinvolgimento della cessionaria, quanto meno sotto il profilo del colpevole affidamento alla società cartiera, alla luce della disciplina normativa, per come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità e da quella euro-unitaria della Corte di Giustizia dell’unione europea. Con ilsecondo motivo ha denunciato l’erronea e falsa applicazione degli art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non aver tenuto conto dell’esito del giudizio penale celebrato nei confronti della amministratrice della Acqualagna Tartufi e degli amministratori di altre società cessionarie delle medesime società cartiera, nonché per aver fondato il proprio convincimento su indizi privi dei requisiti della precisione, gravità e concordanza, sotto il profilo della dimostrazione del coinvolgimento della RGN 20242/2018 Consigliere est. F contribuente sul piano soggettivo. Anche alla luce delle ragioni addotte dalla società a propria difesa. I motivi, che possono essere trattati unitariamente perché tra loro intrinsecamente connessi, sono fondati. Deve premettersi che il caso di specie afferisce alla contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode carosello attuata in occasione del commercio di tartufi, nella quale l’Amministrazione finanziariaha ritenuto coinvolta l’odierna ricorrente, per aver acquistato la merce in regime ordinario, con conseguente detrazione dell’iva pagata sul prezzo, laddove la cedente era solo una società fittizia che in realtà mascherava l’acquisto dei tartufi da “cavatori”, privi di partita iva. Ciò per evitare l’applicazione della disciplina introdotta con l. n. 311 del 2004, il cui art. 1, comma 109,prevedeva che per tali acquisti spettasse all’acquirente, in regime di inversione contabile, autofatturareil tubero, pagando l’iva senza poterla detrarre. Ciò chiarito, quale premessa generale e con riguardo alle modalità di utilizzo e valorizzazione delle prove indiziarie, di cui il ricorso denuncia sostanzialmente un malgoverno, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione dellaprova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715;5 maggio 2017, n. 10973;15 novembre 2021, n. 34248;cfr. anche, 13 ottobre 2005, n. 19984). Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertati dalla amministrazione (Cass., 8 aprile 2009, n. 8484;15 gennaio 2014, n. 656;26 settembre 2018, n. 23153;28 aprile 2021, n.RGN 20242/2018 Consigliere est. F 11162), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico,che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (ex multis, cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002;12 aprile 2018, n. 9059;25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Quanto poi alla contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, questa Corte ha affermato che in tema di IVA, qualora l'Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l'onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione d’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente;ove l'Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851;30 ottobre 2018, n. 27566;20 luglio 2020, n. 15369). Di recente, con riguardo al regime del reverse charge o inversione contabile - con principi elaborati in riferimento al commercio di materiale ferroso, ma le cui argomentazioni possono trovare applicazione per RGN 20242/2018 Consigliere est. F qualunque altra merce-, si è affermato che in osservanza dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell'imposta relativa ad un'operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un'evasione dell'IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s'iscriveva in una simile evasione;b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA(Cass., 10 febbraio 2022, n. 4250). Si tratta di interpretazione ancora più rigorosa in termini di prova richiesta al cessionario,e comunque relativa all’ipotesi di reverse charge, estraneaa caso di specie come appreso chiarito . E tuttavia essa merita un cenno nella fattispecie ora al vaglio della Corte, atteso che la prospettazione accusatoria dell’Amministrazione finanziaria è quella secondo cui la frode carosello denunciata avrebbe quale finalità il mascheramento dell’acquisto del tubero da “cavatori” occasionali, regolata dalla l. n. 311 del 2004 con regime di inversione contabile e senza diritto di detrazione dell’Iva. Ebbene, si è avvertito che «[…] 2.9. la Corte di giustizia (
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