Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/07/2012, n. 12608
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In tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il provvedimento di sospensione cautelare può essere adottato quando il professionista sia stato invitato a comparire e non si sia presentato senza addurre un assoluto impedimento, poiché l'art. 43 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 non richiede che il professionista sia stato effettivamente sentito, se non altro perché potrebbe volontariamente rifiutare l'audizione, ma che lo stesso sia stato posto in condizione di esserlo e non sia stato nell'impossibilità di presentarsi, né impone l'audizione a domicilio, essendo analogicamente applicabile l'art. 420 ter cod. proc. pen., secondo il quale la prova del legittimo impedimento deve essere fornita dall'imputato, mentre il giudice non ha alcun obbligo di disporre accertamenti al fine di completare l'insufficiente documentazione prodotta.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. L M G - Presidente Sez. -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. A A - rel. Consigliere -
Dott. P C - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5278/2012 proposto da:
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MODENA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell'avvocato B L, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato F C, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
P C;
- intimato -
avverso la decisione n. 195/2011 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 15/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2012 dal Consigliere Dott. A A;
udito l'Avvocato C F;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. C R, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Nell'ottobre del 2010 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Modena (di seguito COA) promosse l'azione disciplinare nei confronti dell'avv. Carmine Parente per violazione dell'art. 5 del codice deontologico per essere stato sottoposto ad indagini da parte del Pubblico Ministero per il reato di cui all'art. 368 c.p.. Ai sensi dell'art. 43, comma 3, della legge professionale ne dispose la convocazione per la seduta del 16.11.2010, alla quale l'incolpato partecipò, difendendosi.
Il COA lo sentì nuovamente il 7.2.2011 per aver avuto notizia che l'avv. Parente aveva concordato la pena di dieci mesi di reclusione e di L. 300.000 di multa per il reato di cui agli artt. 110, 56 e 529 c.p., commesso nell'esercizio della professione.
Riconvocatolo per l'8.3.2011 al fine di decidere sull'eventuale sospensione cautelare, il COA dapprima disattese una sua istanza di rinvio (cui era allegato il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza ex art. 444 c.p.p.) e poi ritenne inconferente il certificato medico attestante "lombosciatalgia acuta sx e necessità di riposo per una settimana".
Considerò, in particolare, che l'avv. Parente non aveva domandato il rinvio ma solo inviato un certificato medico peraltro non attestante un impedimento assoluto a comparire;e, in relazione alla gravità dei fatti addebitatigli, ne dispose la sospensione cautelare dalla professione a tempo indeterminato.
2.- Con decisione del 22.9.2011 il Consiglio Nazionale Forense (in seguito CNF) ha accolto il ricorso dell'avv. Parente e annullato la deliberazione del COA per l'assorbente ragione che il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 43, non consente che la sospensione
cautelare sia disposta senza aver "sentito il professionista";e che, in relazione a tale prescrizione normativa, non era sufficiente che il COA avesse ritenuto non assoluto l'impedimento dell'avv. Parente a comparire l'8.3.2011.
3.- Ricorre per cassazione il COA di Modena, affidandosi a due motivi.
L'intimato avv. Parente non ha svolto attività difensiva. Il difensore del ricorrente, presente in udienza, non ne ha chiesto il rinvio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Va preliminarmente rilevato che il D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, comma 3, nel disporre il rinvio d'ufficio a data successiva
al 31.7.2012 delle udienze processuali civili in cui le parti o i loro difensori, alla data del 20.5.2012, erano residenti o avevano sede (come nella specie) nei comuni interessati dal recente sisma, fa salva la "facoltà dei soggetti interessati di rinunciare espressamente al rinvio".
All'espressa rinuncia va assimilata la mancata richiesta di rinvio della parte costituita, presente in udienza.
La suddetta interpretazione è suffragata dai rilievi:
- che l'uso dell'avverbio "espressamente" è volto solo ad evitare che al rinvio possa non provvedersi in assenza della parte (costituita) che non vi abbia, appunto, espressamente rinunciato, mentre sarebbe del tutto privo di senso logico provvedere al rinvio benché la parte presente taccia sul punto, così inequivocamente mostrando di volere che la causa sia trattata;
- che la sola possibile ragione a sostegno di un'interpretazione che estendesse l'ambito applicativo della disposizione anche a chi costituito non sia (e che imporrebbe, dunque, in ogni caso il rinvio) starebbe nell'esigenza di salvaguardare la sua possibilità di partecipare alla discussione in una successiva udienza con la rappresentanza di un difensore;ma si tratterebbe di una possibilità pur sempre rimessa alla parte costituita che, rinunciando al rinvio, sarebbe in condizione di frustrarne la realizzazione per un'udienza successiva, sicché la lettura estensiva della disposizione si infrange contro l'assorbente rilievo che la possibilità di un'ipotetica difesa non può essere comunque rimessa alla volontà della parte avversa.
2.- Sono denunciati:
- col primo motivo "eccesso di potere, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria" per avere il CNF ritenuto che l'incolpato non fosse stato sentito, laddove ha affermato che "l'audizione costituisce una fase obbligata del procedimento, trattandosi di presupposto indefettibile della legittimità della pronuncia cautelare", senza considerare che l'avv. Parente lo era stato per ben due volte, il 16.11.2010 ed il 7.2.2011, come d'altronde era detto nella stessa esposizione in fatto della decisione: la prima, inoltre, proprio in vista della possibilità di disporre la sospensione cautelare dall'esercizio della professione;
- col secondo, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 50, per avere il CNF ritenuto che il COA procedente non
avesse offerto la prova della impossibilità di procedere all'audizione "eventualmente a domicilio dell'incolpato", benché la giurisprudenza sia univocamente orientata nel senso che l'art. 486 c.p.c., comma 1, (ma, recte, art. 420 ter c.p.p.), analogicamente
applicabile in relazione alla lacuna normativa di cui al R.D.L. n.1578 del 1933, art. 45, non impone al giudice del merito di disporre
accertamenti al fine di sopperire all'insufficienza della documentazione prodotta dall'imputato, che non ne abbia univocamente attestato l'assoluta impossibilità a comparire (Cass. pen., ud. 12 dicembre 2003, n. 4300). 3.- Il primo motivo è inammissibile sia perché sono dedotti vizi estranei al paradigma normativo di cui all'art. 360 c.p.c., sia perché è in realtà prospettato un errore revocatorio: si sostiene, infatti, che già in occasione della prima audizione (16.11.2010) l'avvocato incolpato era stato convocato "al fine di valutare l'eventuale sospensione cautelare" e che aveva chiesto che non fossero assunti provvedimenti cautelari in considerazione del fatto che sarebbe andato in pensione da lì a due anni (così il ricorso, alla non numerata seconda pagina).
4.- Il secondo motivo è fondato.
Quale che sia stato, infatti, l'inespresso presupposto delle determinazioni del CNF (che cioè non abbia considerato che l'avvocato era stato già sentito dopo che gli era stata prospettata la possibilità della sospensione cautelare, oppure che abbia in ipotesi ritenuto che l'audizione in vista della sospensione debba vertere su tutti gli specifici fatti addebitati, anche su quelli emersi successivamente ad altra audizione), fatto sta che è erroneo in diritto l'assunto che all'espressione "sentito il professionista" di cui all'art. 43, secondo e terzo comma, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 debba conferirsi il significato che la sospensione
cautelare non possa essere adottata anche quando il professionista sia stato invitato a comparire e non abbia addotto un assoluto impedimento a presentarsi.
Presupposto indefettibile della legittimità della pronuncia cautelare dell'organo disciplinare non è che il professionista sia stato comunque effettivamente sentito, se non altro perché potrebbe volontariamente rifiutare l'audizione, ma che sia stato posto in condizione di esserlo e che non abbia potuto presentarsi in ragione di un assoluto impedimento.
È quello che il COA aveva appunto escluso, laddove aveva ritenuto che la documentazione spedita, attestante lombosciatalgia, non attestasse un impedimento assoluto del professionista a comparire. Tanto bastava perché il COA potesse legittimamente deliberare, dovendosi in particolare escludere che fosse invece tenuto a disporre, "eventualmente, l'audizione a domicilio dell'incolpato, anche a mezzo di delega conferita ad un numero ristretto di Consiglieri", come ritenuto dal CNF con la decisione impugnata. Al caso è, infatti, analogicamente applicabile l'art. 420 ter c.p.p., costantemente interpretato nel senso che la prova del legittimo impedimento deve essere fornita dall'imputato ai fini della dimostrazione dell'assoluta impossibilità di comparizione e che nessun obbligo ha il giudice di merito di disporre accertamenti al fine di completare l'insufficiente documentazione prodotta, che pure non abbia attestato univocamente la suddetta assoluta impossibilità (cfr., ex muitis, Cass. pen. 10.11.2004 n. 4824, in fattispecie relativa ad una certificazione medica in cui erano stati prescritti all'imputato sette giorni di riposo per colica renale). 5.- Accolto il secondo motivo di ricorso, la decisione va conseguentemente cassata con rinvio al CNF, perché decida sui motivi di ricorso rimasti assorbiti.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza dell'intimato nei confronti del COA.