Cass. pen., sez. III, sentenza 29/03/2021, n. 11797

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 29/03/2021, n. 11797
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11797
Data del deposito : 29 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da D S R, nato a Napoli il 01/01/1949 O R, nata a Roma, il 23/01/1946 avverso la sentenza del 28/03/2018 della Corte d'Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere A M A;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale F B, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
udito il difensore, avv. A B, anche in sostituzione dell'avv. G A.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 marzo 2020, la Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 26 gennaio 2017, con la quale l'imputata O R era stata condannata alla pena di un anno di reclusione, con concessione delle attenuanti generiche, per il reato di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante della "Anemone di Anemone Dino & c.s.n.c.", al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto - ovvero di consentire a terzi l'evasione - occultava o distruggeva le scritture contabili e/o documenti di cui è obbligatoria la conservazione (capo 21). Con la medesima sentenza, l'imputato D S R era stato condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione per i reati di cui: all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, quale amministratore unico della "Impresa Anemone costruzioni s.r.l." dal 10 maggio 2010 al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto indicava nella dichiarazione annuale ai fini dell'IRES, presentata per l'annualità 2009, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo e elementi passivi fittizi, per un importo complessivo pari ad euro 28.958.359,52, più euro 17.755.719,00 per accreditamenti non giustificati per un totale di euro 46.714.078,50 superiore al 10% degli elementi attivi indicati in dichiarazione e pari a euro 57.061.752,00, con evasione IRES pari ad euro 7.963.548,87 (capo 26-bis);
all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, quale liquidatore della "Maddalena s.c.a.r.l.", dal 06/07/2010, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, avvalendosi di diverse fatture, emesse da "Impresa Anemone Costruzioni s.r.l." a fronte di operazioni inesistenti, indicava nella prescritta dichiarazione annuale. relativa all'anno 2009, elementi passivi fittizi pari ad euro 18.994.689,13 (capo 28);
all'art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, quale legale rappresentante della "Impresa Anemone Costruzioni s.r.l." dal 10 maggio 2010, al fine di evadere le imposte sui redditi, avvalendosi della fattura per operazioni inesistenti emessa da "Redim 2002 s.r.l.", indicava nella prescritta dichiarazione annuale IRES elementi passivi fittizi per l'importo di euro 4.564.000,00 (capo 30).

2. Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite i difensori, ricorsi per cassazione, chiedendone l'annullamento.

3. Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputata Oddi Simona è affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo, si lamenta la nullità della notificazione del decreto di citazione in appello, avvenuta presso il difensore anziché presso il domicilio eletto dall'imputata in violazione dell'art. 178, commal, lettera c), cod. proc. pen., e fuori dal meccanismo di notificazione previsto dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., con conseguente nullità della sentenza impugnata. Si sostiene che la polizia giudiziaria, incaricata dell'esecuzione della notifica, non era stata in grado di procedervi presso il domicilio eletto dall'imputata, nonostante l'effettività del domicilio stesso. A sostegno di ciò venivano depositati diversi documenti, come la fattura emessa dalla Società Utility 260 per la fornitura di energia elettrica intestata alla Società agricola Monteleone e la fattura di Sky Italia s.r.l. intestata al marito dell'imputata, dai quali risulterebbe inequivocabilmente che il domicilio eletto esisteva e che l'imputata vi dimorava stabilmente con il marito;
conseguentemente, la notifica non poteva essere effettuata a norma dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., direttamente ai difensori di fiducia. Inoltre - argomenta la difesa - non rispondeva al vero neppure quanto affermato nella relazione redatta dal comando dei Carabinieri di Monteleone d'Orvieto, secondo cui l'imputata non avrebbe avuto rapporti con i residenti del Comune, Perché i come invece risultava dalla copia della tessera sanitaria, dagli scontrini rilasciati dalle farmacie locali e dalle ricevute fatture per le prestazioni mediche, la stessa aveva all'epoca della notifica quanto meno rapporti con medici e con farmacisti del posto. Si deduce, poi, che per poter ritenere impossibile la notifica non è sufficiente la semplice attestazione da parte dell'agente notificatore di non avere reperito l'imputata senza indicazione dell'ora né della data d'accesso. In proposito, si afferma che era molto probabile, se non certo, che la notifica non fosse andata a buon fine perché gli accessi erano stati eseguiti durante un fine settimana mentre l'imputata e il marito (domiciliatario di quest'ultima) erano temporaneamente assenti. La difesa sostiene che sarebbe opportuno rimettere la questione sull'interpretazione dell'articolo sopracitato alle Sezioni Unite, considerando che la giurisprudenza di legittimità seguita dalla Corte territoriale - peraltro formatasi per risolvere un contrasto interpretativo dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., secondo cui la possibilità di effettuare la notificazione direttamente al difensore di fiducia senza necessità di accertamento sulla irreperibilità dell'imputato nel domicilio dichiarato o eletto - non chiarisce cosa debba essersi verificato, se un trasferimento di domicilio non temporaneo, o se anche la temporanea e contingente assenza dell'imputato possa essere considerata tale da consentire l'attivazione del meccanismo previsto dall'art. 161, comma 4, cod. proc. pen.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa lamenta vizi di motivazione, censurando l'acritico recepinnento da parte dei giudici di appello delle considerazioni svolte dal primo giudice, nonché il travisamento della prova in ordine alla mancata acquisizione, ai sensi dell'art. 603, cod. proc. pen., dei documenti allegati all'atto di appello. In particolare, si sostiene che la Corte territoriale aveva affermato la responsabilità penale dell'imputata per il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili previsto all'art. 10, del digs. n. 74 del 2000, limitandosi ad affermare, in modo assertivo, che la denuncia del furto dell'autovettura con all'interno la documentazione contabile relativa agli anni 2004 e 2005 non escludeva il reato per le annualità successive ad essa. Si argomenta, sul punto, che nessun accertamento sulla tenuta della contabilità e sulla presentazione delle relative dichiarazioni da parte della Anemone Dino & co per le annualità successive fosse stato effettuato da parte della Guardia di Finanza, la quale si era limitata a prendere atto delle dichiarazioni del ragioniere che in sede d'accertamento aveva esibito la predetta denuncia. Invero, aggiunge la difesa, l'accesso fattovGuardia di Finanza era finalizzato ad un controllo incrociato relativo all'annualità 2004 e, viceversa, la conservazione della documentazione fiscale relativa agli anni successivi al 2005 non aveva formato oggetto, né di richiesta da parte dei militari della Guardia di Finanza, né di accertamento in fase d'indagine, né di prova in dibattimento;
sicché non vi era nessun elemento che potesse consentire di affermare che erano state occultate o distrutte le scritture contabili della società relative alle annualità successive. Ciò posto, a parere della difesa, risulterebbe immotivata la decisione della Corte di merito di rigettare la richiesta di acquisizione della documentazione contabile successiva al 2005, in quanto questa avrebbe dimostrato l'insussistenza del reato contestato in capo all'imputata. Infine, il reato in esame risulterebbe prescritto, trattandosi di distruzione e non di occultamento come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata;
per effetto di tale erronea qualificazione, la Corte ha escluso l'intervenuta prescrizione, mentre, nella specie, la distruzione doveva ritenersi consumata a partire dalla data in cui era stata effettuata la denuncia di furto (4 gennaio 2006) e la prescrizione, nel termine massimo di sette anni e sei mesi, era maturata già nel 2013. 4. Il ricorso presentato nell'interesse di D S R è affidato a cinque motivi.

4.1. Con il primo motivo, si lamenta la nullità della notificazione del decreto di citazione in appello, avvenuta presso il difensore anziché presso il domicilio eletto dall'imputata in violazione dell'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., e fuori dal meccanismo di notificazione previsto dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Si afferma che la polizia giudiziaria, incaricata
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