Cass. civ., sez. III, sentenza 12/06/2020, n. 11271

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Presupposto per la configurazione del reato di diffamazione è la comunicazione con più persone la quale, nell'ipotesi in cui l'agente comunichi in via riservata con un'unica persona, implica la volontà, da parte dell'agente medesimo, dell'ulteriore diffusione del contenuto diffamatorio attraverso il destinatario.

Colui che invochi il risarcimento del danno per avere subito una denuncia calunniosa ha l'onere di provare la sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia dal punto di vista sia oggettivo sia soggettivo poiché la presentazione della denuncia di un reato costituisce adempimento del dovere, rispondente ad un interesse pubblico, di segnalare fatti illeciti, che rischierebbe di essere frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce semplicemente inesatte o rivelatesi infondate.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 12/06/2020, n. 11271
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11271
Data del deposito : 12 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

1/20 . G E D 127 . T 1 M ORIGINALE . G C O T Oggetto REPUBBLICA ITALIANA Responsabilità IN NOME DEL POPOLO ITALIANO civile LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Scritto asseritamente TERZA SEZIONE CIVILE "diffamatorio" Denuncia Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: di fatti dotati di Dott. ADELAIDE AMENDOLA Presidente rilievo penale e Consigliere Dott. CRISTIANO VALLE disciplinare Dott. ANELLA PELLECCHIA Consigliere Adempimento del dovere - Dott. GIUSEPPE CRICENTI Consigliere Ricorrenza Dott. S G GUIZZI Rel. Consigliere R.G.N. 27675/2017 Cron. 4271 ha pronunciato la seguente SENTENZA Rep. sul ricorso 27675-2017 proposto da: Ud. 14/11/2019 B S, elettivamente domiciliato in ROMA, PU VIA S. TOMMASO D'AQUINO 75, presso 10 studio dell'avvocato ETTORE D'OVIDIO, che lo rappresenta e © difende;
ricorrente- contro 2019 MINISTERO AFFARI ESTERI DELLA COOPERAZIONE 2382 INTERNAZIONALE in persona del Ministro, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso 1'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
S A, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO N.43, presso lo studio dell'avvocato A C, rappresentato e difeso dall'avvocato M C;
controricorrenti Nonché da: S ΑΝΤΟΝΙΝΟ, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 43, presso lo studio dell'avvocato A C, rappresentato e difeso dall'avvocato M C;
ricorrente incidentale-

contro

B S, MINISTERO AFFARI ESTERI DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE;

- intimati -

nonchè da MINISTERO AFFARI ESTERI DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE in persona del Ministro, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso 1'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente avversO la sentenza n. 4330/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 28/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica 2 udienza del 14/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e incidentale del ricorrente e del Ministero e rigetto del ricorso incidentale;
udito l'Avvocato ETTORE D'OVIDIO;
udito l'Avvocato M C e DIANA ROMANI per l'Avvocatura dello Stato;
F 3

FATTI DI CAUSA

1. Sergio B ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 4330/17, del 28 giugno 2017, della Corte di Appello di Roma, che - accogliendo parzialmente il gravame esperito da Antonino S contro la sentenza 13606/16, del 5 luglio 2016, del Tribunale di Roma ha condannato l'odierno ricorrente, e con esso in via solidale anche il Ministero degli Affari Esteri, a corrispondere al S, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da condotta diffamatoria, l'importo di € 50.000,00. 2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di essere stato convenuto in giudizio dal S, unitamente al Ministero degli Affari Esteri. In particolare, l'allora attore sul presupposto di aver svolto, a - far data dal 4 agosto 2009, l'incarico di addetto alla sicurezza e alla vigilanza dell'Ambasciata d'Italia in Montenegro lamentava di aver - immediatamente subito una inspiegabile diffidenza, e poi una vera e propria avversione, da parte dell'Ambasciatore, Sergio B, e del funzionario Carlo di Gioia. Deduceva, altresì, che il B, con appunto trasmesso all'Ispettorato Generale degli Affari Esteri in data 23 ottobre 2009, informava detto ufficio di avere appreso, dal Capo della polizia del Montenegro, che esso S aveva aggredito e percosso, fin quasi soffocandola, un'agente della polizia montenegrina. Ritenendo che tale appunto informativo presentasse carattere diffamatorio, il S non senza aver impugnato innanzi al giudice - amministrativo, che tuttavia respingeva la domanda di annullamento, il provvedimento con il quale il comando Carabinieri del Ministero degli Affari Esteri aveva disposto il trasferimento in Italia, d'autorità, dell'interessato adiva il Tribunale di Roma, per chiedere il 3 risarcimento dei danni derivati, a suo dire, dalla condotta diffamatoria dell'Ambasciatore. La pretesa risarcitoria, peraltro, aveva ad oggetto anche i danni patrimoniali e quelli alla salute, essendo egli caduto in uno stato depressivo, culminato in una patologia che, secondo quanto statuito dalla competente commissione medica, lo aveva reso permanentemente non idoneo al servizio militare nell'arma dei Carabinieri. Rigettata dal primo giudice ogni domanda, proposta come già rilevato oltre che nei confronti del B anche del Ministero degli - Affari Esteri, il gravame esperito dal S veniva parzialmente accolto dalla Corte capitolina, che riconosceva il diritto dell'interessato a vedersi risarcire il danno da lesione della reputazione, quantificato nella misura di € 50.000,00. 3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ricorre per cassazione il B, sulla base di quattro motivi. - proposti, il secondo3.1. Con i motivi primo e secondo subordinatamente al primo, ai sensi, rispettivamente, dei nn. 3) e 4) del comma 1 dell'art. 360 cod. proc. civ. viene dedotta violazione e - falsa applicazione dell'art. 132 cod. proc. civ., ovvero (come detto, in via di subordine), nullità della sentenza ai sensi della stessa disposizione, in relazione all'art. 342 cod. proc. civ. Sul presupposto che entrambi gli appellati ebbero ad eccepire l'inammissibilità del gravame proposto dal S, per difetto di specificità dei motivi, l'odierno ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, laddove ha riconosciuto carattere diffamatorio alla nota informativa inviata dal B, non avrebbe indicato omettendo, così, ogni motivazione sul punto quali dei motivi - proposti dall'appellante abbia ritenuto ammissibili, prima ancora che fondati. 4 3.2. Con il terzo motivo proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. si assume violazione e falsa applicazione - dell'art. 2043 cod. civ., in relazione all'art. 595 cod. pen. -Il ricorrente non senza, previamente, sottolineare come il S sia sempre stato piuttosto vago nella qualificazione del fatto illecito in relazione al quale ha proposto la domanda di risarcimento (adducendone, alternativamente, la qualificazione come diffamazione o calunnia) censura la sentenza impugnata laddove ha - lapidariamente optato per quella che viene definita come la “indubbia natura diffamatoria" dello scritto inviato il 23 ottobre 2009. In questo modo, tuttavia, la Corte capitolina sarebbe incorsa in una violazione e falsa applicazione dell'art. 595 cod. pen., dal momento che elemento costitutivo del delitto di diffamazione è la comunicazione dell'offesa a più persone. Orbene, nel caso di specie, il suo titolare, l'Ambasciatore M C. 62 B aveva inviato l'appunto in questione solamente all'Ispettorato Generale del Ministero degli Affari Esteri, in persona del 3.3. Il quarto motivo proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - ipotizza violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 595 cod. pen. e all'art. 2043 cod. civ. Si contesta, in questo caso, la sentenza impugnata laddove ha affermato che il contenuto dell'informativa presentava "indubbia natura diffamatoria tanto da non potersi dubitare della sussistenza del dolo generico, non essendo necessario un dolo specifico" per integrare l'elemento soggettivo del reato di diffamazione. Tuttavia, quantomeno in sede civile, incombe sulla vittima della condotta asseritamente diffamatoria l'onere di provare il dolo 5 generico della fattispecie, il quale non può essere presunto, ma deve essere dimostrato. Nel caso di specie, per contro, nessuna indagine circa l'effettiva percezione, da parte del B, della capacità offensiva della sua comunicazione sarebbe stata svolta dalla Corte capitolina, o richiesta dal S, donde la violazione dell'art. 2697 cod. civ.

4. Ha proposto ricorso, sulla base di sei motivi, anche il Ministero degli Affari Esteri.

4.1. Con il primo motivo si deduce - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. "violazione e falsa applicazione degli artt.- 2967 [recte»: 2697] cod. civ. e dell'art. 595 cod. pen.". Si assume l'erroneità della sentenza impugnata, laddove ha ravvisato nella condotta dell'Ambasciatore B gli estremi del reato di diffamazione, del quale, invece, mancherebbero sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo. Quanto, infatti, al primo aspetto, si censura la sentenza impugnata laddove afferma che "sul piano oggettivo il contenuto dell'informativa ha indubbia natura diffamatoria tanto da non potersi dubitare della sussistenza del dolo generico, non essendo necessario quello specifico". Orbene, sul presupposto che il dolo attiene al piano dell'elemento psicologico del reato, e non di quello oggettivo, il motivo censura l'errata sovrapposizione dei due profili. D'altra parte, la Corte capitolina avrebbe mancato completamente di considerare che l'appunto inviato dall'Ambasciatore recava la classifica di riservato, ai sensi e agli effetti di cui all'art. 42 della legge 3 agosto 2007, n. 124 e all'art. 4, paragrafo 6, del d.P.C.M. 12 giugno 2009, n. 7, risultando indirizzato al solo Ispettorato Generale del Ministero, così da assicurare che i contenuti veicolati fossero percepiti esclusivamente dagli appartenenti alla cerchia dei destinatari. Orbene, anche le 6 cautele e modalità osservate nell'invio della missiva, che peraltro - si sottolinea costituiva adempimento di un dovere, escluderebbero che il contenuto della stessa potesse essere conosciuto da altri, al di fuori dei diretti interessati, e quindi che il suo inoltro potesse integrare gli estremi di una condotta diffamatoria (viene citata a supporto Cass. Sez. 3, sent. 28 settembre 2017, n. 22805). D'altra parte, poi, la sentenza impugnata sarebbe errata anche laddove ha fatto discendere dalla natura oggettivamente diffamatoria dell'informativa la prova dell'elemento soggettivo della diffamazione, ravvisando un'ipotesi di "dolus in re ipsa" e, dunque, nella sostanza, una responsabilità di tipo oggettivo. In questo modo, la sentenza

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