Cass. civ., sez. II, sentenza 31/10/2014, n. 23282

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

Per determinare la proprietà del muro divisorio, ai sensi dell'art. 881 cod. civ., su tutti gli altri indizi prevale la positura del piovente, anche nel caso di doppio piovente, sicché il confinante che realizzi un piovente sul muro divisorio comune deve spezzare l'ultima fila di tegole, rivolgendone metà verso il fondo altrui.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 31/10/2014, n. 23282
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23282
Data del deposito : 31 ottobre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. T R M - Presidente -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. D'

ASCOLA

Pasquale - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5424-2008 proposto da:
DEL CHICCA VALENTINO DLCVNT43C07G702P, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IPPOLITO NIEVO

61, presso lo studio dell'avvocato V G, rappresentato e difeso dall'avvocato C C;



- ricorrente -


contro
MEDDA PATRIZIA C.F. MDDPRZ60C53B675O, SISTI FILIPPO C.F. SSTFFP59B06G141K, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA

37, presso lo studio dell'avvocato C M, che li rappresenta e difende;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 135/2007 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 25/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2014 dal Consigliere Dott. A S;

udito l'Avvocato C C difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito l'Avv. C M difensore dei controricorrenti che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO

Lucio che ha concluso per l'accoglimento del primo, terzo e quarto motivo, l'assorbimento del secondo motivo del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Del C V con atto di citazione del maggio 1991 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Pisa S F e M P proprietari di un fabbricato confinante con proprietà di esso attore, per chiedere l'eliminazione di taluni manufatti realizzati dai convenuti in violazione della proprietà del De Chicca. In particolare, specificava l'attore che i convenuti nel restaurare il loro fabbricato (costituito da tre modesti corpi di fabbrica consecutivi): 1) nel sostituire la copertura del locale adibito a forno avevano sconfinato con essa per alcuni centimetri sulla sua proprietà;
2) che rifacendo la copertura a tetto del locale adibito a ripostiglio avevano alla sommità di essa costruito un piovente sul muro del ripostiglio collocato abusivamente su tutto lo spessore del muro che, invece, è in comunione. 3) che non avevano munito di grata metallica una finestra lucifera di vecchia data aperta sulla proprietà dell'attore;
4) che avevano posto dei ganci destinati a sostenere una grondaia aggettanti sulla proprietà dell'attore;
5) che non avevano rimosso dal fondo di esso attore i materiali di risulta dei lavori eseguiti.
Si costituivano i convenuti, opponendosi alla domanda dell'attore e negando che nel restaurare il proprio immobile avessero in alcun modo modificato la preesistente situazione di confine. Si dichiaravano disponibili ad eliminare i ganci della installanda grondaia aggettanti sulla proprietà dell'attore. Espletata consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale di Pisa con sentenza 697 del 2004 rigettava la domanda dell'attore e, in accoglimento della proposta dei convenuti, condannava gli stessi a rimuovere i ganci che avrebbero dovuto sostenere la installanda grondaia a proprie spese. Condannava l'attore al pagamento delle spese giudiziali.
Avverso questa sentenza proponeva appello Del C V, lamentando l'inaffidabilità della consulenza tecnico di ufficio, della quale chiedeva il rinnovo.
Si costituivano S F e M P chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte di appello di Firenze con sentenza n. 135 del 2008, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pisa, condannava gli appellati a munire di grata fissa in metallo, le cui maglie non fossero maggiori di tre centimetri quadrati, la loro finestra lucifera, prospettante sul fondo dell'appellante, confermava nel resto la sentenza impugnata. Dichiarava compensate per un quarto le spese del giudizio e poneva i restanti tre quarti a carico del C V.
A sostegno di questa decisione la Corte fiorentina osservava: a) che il secondo corpo denominato formo è stato provvisto di copertura a tegola senza ampliamento di superficie ne' di volume;
b) che non avrebbe subito alterazioni il piovente del muro comune vi sarebbe aggravamento di servitù a carico del fondo dell'attore;
c) che realmente la finestra di cui alla foto n. 7 necessitava di essere regolarizzata con inferriata e grata a maglie.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Del C V con ricorso affidato a quattro motivi. S F e M P hanno resistito con controricorso. All'udienza del 28 gennaio 2014 questa Corte rinviava a nuovo ruolo vista l'istanza congiunta di rinvio per decesso dell'unico difensore del ricorrente. In prossimità dell'udienza pubblica, D C ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va rigettata l'eccezione di inammissibilità avanzata dai controricorrenti per carenza del requisito sub n. 3 dell'art. 366 c.p.c. - esposizione sommaria dei fatti di causa - dato
che il ricorso in esame contiene un'essenziale, anche se sintetica, esposizione dei fatti di causa (pag. 2 del ricorso). La stessa dottrina e giurisprudenza, anche di questa Corte Suprema, specificano che il disposto dell'art. 366 c.p.c., n. 3 per cui il ricorso per Cassazione deve contenere, sotto pena di inammissibilità, la esposizione sommaria dei fatti di causa può considerarsi adempiuto quando dalla sia pur sintetica narrativa premessa ai motivi e dalla illustrazione di questi è dato rilevare gli elementi indispensabili per una sufficiente cognizione dei fatti di causa.
1.= Con il primo motivo, De C V denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360, n. 4 per violazione dell'art. 112 c.p.c.. Avrebbe errato la Corte fiorentina, secondo il ricorrente, nell'aver ritenuto infondata la domanda attorca sulla base di un ritenuto accertamento di un diritto di servitù imposto sul fondo del ricorrente in favore del fondo dei resistenti avente ad oggetto il tollerare una parete aggettante e del muro divisorio (testaiola) nella parte sovrastante il suolo di proprietà del ricorrente nonché la costruzione del piovente che inevitabilmente fa scolare le acque interamente nel terreno medesimo. Epperò, i resistenti non hanno mai affermato di avere un diritto di servitù, ne' hanno chiesto al giudice o al CTU il relativo accertamento, essendosi, invece, limitati a sostenere che la situazione dei luoghi non è cambiata a seguito dei lavori eseguiti. Piuttosto, specifica il ricorrente l'aggetto e il piovente esiste e viola i diritti del ricorrente e, non importa se questa è conseguenza diretta dei lavori o se esisteva prima di essi poiché il proprietario ha il diritto in ogni momento di chiederne la rimozione. Viceversa se i resistenti avessero voluto addurre di mantenere lo stato dei luoghi da essi creato avrebbero dovuto invocare l'esistenza di un diritto di servitù e provarne il titolo. Pertanto il Giudice del merito hanno configurato l'esistenza di un diritto di servitù senza che fosse stato chiesta dalla parte interessata.
Ciò premesso, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto:
dica la Corte Suprema se viola l'art. 112 c.p.c. la sentenza della Corte di appello che escluda la possibilità per il proprietario di un fondo il quale chieda la rimozione di una sporgenza aggettante sul proprio fondo costruita dal proprietario del fondo confinante sul muro divisorio comune, nonché di un piovente lungo tutto il muro, sempre da questi costruito, in modo tale che le acque confluiscano esclusivamente nel terreno del primo senza che il secondo abbia mai chiesto ed affermato di avere un diritto di servitù in tal senso, ma essendosi limitato quest'ultimo ad affermare genericamente che la situazione dei luoghi preesisteva ai lavori di ristrutturazione, non avendo indicato quando sono state poste in essere le costruzioni de quo, ne' il titolo del diritto di servitù di mantenere invariato lo stato dei luoghi.
1.1 .= Il motivo è fondato e va accolto.
Dall'atto introduttivo del primo giudizio e dall'atto di appello è possibile desumere che l'attore (attuale ricorrente) lamentava la costruzione da parte dei convenuti di una grondaia oltre il muro portante verso il fondo dell'attore aggettante nella proprietà di quest'ultimo e chiedeva: la rimozione della grondaia costruita dai convenuti oltre il muro portante, nonché la rimozione del piovente del muro divisorio che era in comunione tra le stessi parti su tutto lo spessore del muro;
il ripristino di luci;
ed ancora, l'eliminazione di materiali di risulta. I convenuti a loro volta chiedevano il rigetto delle domande dell'attore negando che nel restaurare il loro immobile avessero in alcun modo modificato la preesistente situazione di confine.
La domanda attorca, dunque, così come formulata e contrastata dai convenuti, postulava la necessità di accertare se i manufatti dei convenuti ledevano il diritto di proprietà di De C V e/o, se l'eventuale compromissione del diritto di proprietà di De C V fosse contrastata dai convenuti con l'eccezione dell'esistenza di un eventuale diritto di servitù a vantaggio del fondo dei convenuti e a carico del fondo dell'attore, acquisito o a titolo originario o a titolo derivativo. Pertanto, il giudice del merito non si sarebbe potuto limitare a verificare che l'ultimo intervento di ristrutturazione effettuato dai convenuti, non aveva mutato la situazione dei luoghi, perché anche un'opera preesistente rispetto ai lavori di ristrutturazione avrebbe potuto essere illegittima indipendentemente del tempo in cui fosse stata realizzata. Nè, il Giudice del merito, avrebbe potuto ritenere che le opere di che trattasi non arrecavano un aggravamento di servitù a carico del fondo dell'attore, senza che questa fosse stata eccepita in alcun modo dai convenuti.
Piuttosto, la Corte fiorentina e ancor prima il Tribunale di Pisa, avrebbe dovuto accertare - e non sembra lo abbia fatto - se gli elementi oggetto del giudizio (parte aggettante e piovente) quale che fosse l'epoca in cui erano stati realizzati, ledevano il diritto di proprietà dell'attore e, se eccepita, accertare l'eventuale esistenza di un diritto di servitù, a vantaggio del fondo dei convenuti. E di più, la Corte fiorentina avendo avuto modo di accertare che la preesistente copertura in cemento sporgeva per qualche centimetro oltre il limite del muro comune sulla proprietà dell'appellante come sporge ora la prima fila di tegole, avrebbe dovuto accertare se la parte interessata aveva offerto la prova della legittimità dell'opera di cui si dice eventualmente eccependo l'esistenza di un diritto di servitù.
2= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 908, 1102 e 1031 c.c., in relazione tra di loro, nonché difetto, illogicità e oscurità della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte fiorentina non indica con chiarezza il fondamento del diritto dei convenuti a mantenere l'aggetto di circa 15 cm della testaiuola costruita dai convenuti sul muro comune e aggettante nel fondo del ricorrente, nonché del diritto di mantenere il piovente con sistema di scolo delle acque piovane interamente sul fondo del De Chicca. La Corte di merito, specifica il ricorrente, da un verso sembra sottintendere una sorta di mancanza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. del De Chicca e, per altro, sembra intendere che, siccome l'aggetto preesisteva rispetto all'esecuzione dei lavori di ristrutturazione eseguiti dai convenuti sul muro comune, esisterebbe un diritto di servitù tale da gravare il fondo del ricorrente di un peso consistente nel tollerare per sempre l'esistenza di un aggetto e del piovente. Tuttavia, quali che siano le ipotesi assunte dalla Corte di merito a base della motivazione vi è fondato motivo di ritenere che la sentenza violi i diritti di proprietario del ricorrente ex art. 832 c.c., in relazione all'art. 908 c.c. ed agli artt. 1102 e 1032 c.c. il quale viene in tal modo ad essere costretto a riconoscere un diritto di servitù avallato da una sentenza di secondo grado, pur in assenza della prova dell'esistenza della detta servitù.
Pertanto, conclude il ricorrente, si chiede alla Corte di stabilire se sussiste interesse del proprietario di un fondo nel caso in cui il proprietario del fondo confinante e diviso da un muro comune, abbia costruito una testaiuola aggettante nell'area sovrastante quella del suolo del proprietario del fondo confinante e comproprietario del muro, nonché abbia apposto su quest'ultimo delle tegole a piovente su tutta la sua superficie in modo da far confluire le acque piovane nel fondo del vicino, senza che in alcun modo sia stato accertato il fondamento ed il titolo di un diritto di servitù di un fondo a favore dell'altro, ed impedendogli di fatto di farne parimenti uso ai sensi dell'art. 1102 c.c., in quanto entrambi comproprietari del muro divisorio, il tutto in violazione, oltre che del diritto di proprietà, anche, dell'art. 908 c.c., il quale prevede espressamente che il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino.
2.1. = Il motivo rimane assorbito dal precedente, considerato che l'accoglimento del primo motivo comporterà l'accertamento se i manufatti dei convenuti, quale che sia il tempo di realizzazione, ledono il diritto di proprietà di Del C V. 3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'omessa pronuncia e/o omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo il ricorrente, sia la Corte di merito e sia il Tribunale, pur condannando i resistenti a munire di grata fissa in metallo, le cui maglie non siano maggiori di 3 cm, q.ti la loro finestra lucifera prospettante sul fondo dell'appellante, raffigurata nella foto 7 della CTU avrebbe omesso di condannare i ricorrenti a regolarizzare la stessa finestra lucifera, anche, in ordine alle dimensioni ed all'altezza da terra. Pertanto, conclude il ricorrente si chiede alla Corte Suprema di dichiarare ed accertare se vi è omessa motivazione in ordine ad un punto essenziale del giudizio qualora un proprietario di un fondo limitrofo che ha richiesto il ripristino della luce che si affaccia dal fondo del proprietario confinante sul proprio fondo, in maniera tale che la stessa sia provvista di tutti i requisiti dall'art. 901 c.c., laddove la sentenza impugnata ha perso in considerazione solo
il requisito di cui all'art. 910 c.c., n. 1, dell'art. 901 c.c. e non anche quelli di cui al n. 2 e 3 previsti dalla norma stessa. 3.1.= Il motivo è infondato.
Come specifica la sentenza impugnata (....) le finestre sarebbero due ma, siccome l'attore chiede la regolarizzazione di una sola di esse mediante l'apposizione della prescritta grata, sembra doversi riferire alla finestra di cui alla foto n. 7, che è, in effetti, munita di inferriata ma non di grata a maglia, mentre l'altra finestra una specie di maglia più o meno sfatta, ce l'ha ancora". E come specifica il ricorrente, lo stesso aveva chiesto ""di ripristinare la luce dello stesso manufatto dei convenuti (detto baracca) che si affaccia sulla proprietà dell'attore in maniera tale che la stessa fosse provvista di tutti quei requisiti propri della luce e quindi a munirla di idonea grata fissa in metallo giusta quanto previsto dall'art. 901 c.c.". Pertanto, risultando evidente che l'originario attore non aveva chiesto anche la regolarizzazione della luce rispetto all'altezza da terra in relazione alla quale esisteva la prova della irregolarità, il Giudice del merito non avrebbe potuto disporre la regolarizzazione della finestra, anche in relazione all'altezza da terra della stessa, per mancanza di domanda specifica.
4.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge e contraddittoria e illogica motivazione in ordine ad un punto essenziale della controversia. Secondo il ricorrente avrebbe errato la Corte di merito nell'aver affermato che, ove il De Chicca "intendesse lamentare che facendo ogni tegola della fila più alta da piovente per tutto lo spessore del muro su cui creerebbe un elemento di presunzione di appartenenza esclusiva del muro ai convenuti (in pratica si sarebbe dovuto spezzare a metà ogni tegola della prima fila inclinandone una metà verso una proprietà e una metà verso l'altra) sarebbe facile obiettare che altri elementi dello stesso muro danno indicazione contraria, come ad esempio la pendenza del locale forno che è tutta verso il fondo dei convenuti e il doppio piovente" perché non avrebbe tenuto conto dell'art. 881 c.c., dato che contraddirebbe la presunzione di proprietà del muro comune in favore del fondo, ove risulta posizionato il piovente. Pertanto, stabilisca la Corte Suprema, conclude il ricorrente, se viola l'art. 881 c.c. la sentenza che preveda che la legittimità dei lavori di ristrutturazione eseguiti da un comproprietario del muro comune divisorio nella parte in cui precisa che il piovente costruito interamente sul fondo del proprietario che ha eseguito detti lavori, non è l'unico indizio di proprietà esclusiva del muro comune, ma ve ne sono altri, in quanto detta norma prevede che, nel caso di pluralità di indizi di comunanza del bene conteso, debba prevalere la positura del piovente.
4.1. = Anche questo motivo è fondato.
Come emerge con chiarezza dall'art. 881 cod. civ. per determinare la proprietà del muro divisorio prevale in ogni caso, su tutti gli altri indizi, la positura del piovente, anche nel caso del doppio piovente.
Pertanto, la Corte di merito avrebbe dovuto anzitutto accertare ed escludere che la comunione del muro risultasse da una prova documentale e, dunque, avrebbe dovuto dare rilievo alla posatura del piovente e disporre che l'ultima fila di tegole doveva essere spezzata a metà rivolgendone una verso il fondo del ricorrente ed un'altra parte verso quello del resistente.
In definitiva, vanno accolti il primo e il quarto motivo del ricorso, va dichiarato assorbito il secondo e va rigettato il terzo motivo. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi