Cass. pen., sez. IV, sentenza 23/07/2021, n. 28732
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Testo completo
guente SENTENZA sul ricorso proposto da: TASCO GIUSEPPE nato a CATANIA il 23/01/1990 avverso l'ordinanza del 04/04/2019 della CORTE APPELLO di MESSINAudita la relazione svolta dal Consigliere D C;
lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Messina il 4 aprile - 4 giugno 2019 ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell'interesse di G T, che era stato sottoposto a custodia cautelare per 459 giorni, dal 13 febbraio 2016 al 17 maggio 2017, in esecuzione di ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria in relazione alla contestazione di concorso in tentativo di rapina aggravata in una gioielleria, il 10 ottobre 2015. Condannato in primo grado, all'esito del giudizio abbreviato, con sentenza del 9 maggio 2016, l'imputato è stato assolto, per non avere commesso il fatto, dalla Corte di appello il 17 maggio 2017, in ragione dell'assenza di riscontri individualizzanti rispetto alla chiamata di correo effettuata da S P;
conseguentemente, ai sensi dell'art. 300 cod. proc. pen., G T è stato scarcerato. La sentenza assolutoria è passata in giudicato.
2.Ricorre per la cassazione dell'ordinanza, tramite difensore di fiducia, G T che censura, sotto un duplice profilo, violazione di legge e difetto di motivazione.
2.1. In primo luogo denunzia violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., per contraddittorietà tra dispositivo e motivazione, quanto al nominativo del ricorrente, che è G T ma che nel dispositivo - che è l'atto con il quale il giudice esplicita la volontà della legge e che, secondo regola generale, prevale sulla motivazione - è erroneamente indicato come C M.
2.2. Si lamenta ulteriormente violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 314-315 e 125 cod. proc. pen., oltre che mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rammentate le scansioni procedimentali (13 febbraio 2016, arresto;
15 febbraio 2016, interrogatorio di garanzia, cui l'indagato non risponde;
9 maggio 2016, sentenza di condanna di primo grado;
17 maggio 2017, sentenza assolutoria di appello e. liberazione dell'imputato) ed alcuni principi che governano l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, sottolinea che la pronunzia di assoluzione è stata emessa sulla base dello stesso materiale probatorio presente sia nella fase cautelare che in prima grado, essendosi celebrato il giudizio abbreviato. Evidenzia, poi, che la colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione non può fondarsi sul mero silenzio dell'interessato, per un pluralità di ragioni: per essersi lo stesso avvalso di un diritto;
perché l'unico elemento a carico consisteva nelle dichiarazioni accusatorie del coimputato P, che non hanno trovato conferma in elementi esterni oggettivi;
ed anche perché il giudice della riparazione si è limitato ad affermare (alla p. 4 dell'ordinanza impugnata) che G T non ha fornito chiarimenti a discolpa né un alibi per il giorno della rapina, ma non ha indicato quali specifiche circostanze, ignote agli inquirenti, avrebbero potuto prospettare una spiegazione logica tale da attribuire un diverso significati agli elementi a carico, e ciò in difformità dall'insegnamento di legittimità di cui sono espressione, tra le altre, le pronunzie di Sez. 4, n. 25252 del 20/05/2016, Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014, Bertuccini, Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011 (decisione quest'ultima che ha precisato che non può risultare determinante la mancata negazione della veridicità delle dichiarazioni accusatorie conseguente alla scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere in interrogatorio), Sez. 4, n. 4159 del 28/01/2009. Inoltre, il riferimento da parte della Corte di appello (alla p. 2 del provvedimento impugnato) ad un presunto coinvolgimento di T in una rapina consumata il 15 aprile 2015, sempre sulla scorta delle dichiarazioni di Platania, trascura che T è stato prosciolto da tale accusa già in fase di indagini, per non avere commesso il fatto. Ancora: il richiamo nel provvedimento impugnato ai rapporti con R e con P, che - si assume - T avrebbe dovuto spiegare, trascura quali contatti, le date degli stessi ed il contenuto e, soprattutto, i rapporti di parentela con il cognato Santo R;
e che i tabulati telefonici di cui all'ordinanza cautelare sono relativi ad utenze non riconducibili a T, che i contatti assidui di cui al provvedimento genetico erano tra P e R, non già T, che la polizia giudiziaria ha individuato quale persona citata nei colloqui in carcere G I, non già G T;
non senza considerare che P, interrogato dal G.i.p. del Tribunale di Messina, ha affermato l'estraneità del ricorrente alla rapina. In tale quadro di insieme, ad avviso del ricorrente, la circostanza che l'indagato si sia avvalso del diritto al silenzio, «non può qualificarsi come comportamento colposo, né reticente perché gli elementi che avrebbe dovuto chiarire in sede di interrogatorio si riducevano a circostanze nelle quali non è possibile ricavare un suo ruolo di compartecipe nel delitto contestato. Se al silenzio serbato in sede di interrogatorio fa da riscontro una sostanziale carenza di elementi deponenti per una valutazione di gravità indiziaria di compartecipazione nel reato, nel caso di specie poggiante esclusivamente sulla chiamata di correo [...], l'esercizio della facoltà di non rispondere non può considerarsi ex se gravemente colposo o improntato a reticenza. La Corte territoriale di merito, con la sentenza assolutoria, aveva già avvertito la necessità di richiamare l'orientamento giurisprudenziale sul punto, evidenziando proprio la carenza delle emergenze processuali ab origine e l'inidoneità della sola chiamata in correità, sprovvista dei necessari riscontri estrinseci. Se così è[,] si ritiene che il silenzio serbato, oltre a non avere oggetto circostanze ignote agli inquirenti, non ha avuto alcun ruolo sinergico nel giustificare la misura detentiva, né la Corte territoriale ha evidenziato la sussistenza di un rapporto eziologico di tale condotta con gli altri elementi, con le dovute precisazioni, considerati nel provvedimento cautelare» (così alle pp.
7-8 del ricorso). Ad avviso della difesa, il provvedimento reiettivo della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione «sembrerebbe voler sovrapporre il proprio giudizio a quello - assolutorio - espresso dal giudice della cognizione, chiedendo quasi che dovesse essere il ricorrente a dover dimostrare la propria innocenza, laddove invece la motivazione della sentenza di assoluzione aveva rilevato come la ritenuta gravità indiziaria, che aveva imposto la misura della custodia cautelare, poggiata interamente sulla chiamata in correità, non fosse rispondente ai criteri e agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, in tema di utilizzabilità e valutazione della chiamata di correo» (così p. 9 del ricorso). Si rappresenta, infine, che l'ordinanza cita una pronunzia di legittimità, ossia Sez. 4, n. 24439 del 27/04/2019, che non risulterebbe pertinente, poiché in tale precedente si afferma che in presenza di comportamenti suscettibili di essere interpretati a carico dell'indagato in sede di adozione di misura cautelare è onere dell'interessato, nella prospettiva dell'equa riparazione, apportare contributi chiarificatori;
si sottolinea, però, da parte del ricorrente che «ove tali comportamenti non esistano non può attribuirsi valore ostativo al silenzio serbato dal richiedente, né causa dell'instaurato e mantenuto stato detentivo [...] nell'ordinanza impugnata non viene esplicitato alcun comportamento ascrivibile al T che avrebbe richiesto la rappresentazione di circostanza suscettibili di rivelare un significato diverso nella valutazione degli elementi, sicché il silenzio non ha indubbiamente contribuito all'adozione della misura e al suo mantenimento» (così alla p. 10 del ricorso).
3. Con memoria del 24 marzo 2020 il Ministero resistente, tramite Avvocatura erariale, ha chiesto il rigetto del ricorso;
con vittoria di spese.
4.11 Procuratore generale della S.C. nella requisitoria scritta ai sensi dell'art.611 cod. proc. pen. del 14-15 aprile 2020 ha chiesto rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e merita accoglimento, per i seguenti motivi.
2. E' preliminarmente necessario richiamare i principi informatori della disciplina dell'istituto ex art. 314 cod. proc. pen. come enucleati dalla Corte di legittimità: trattandosi di principi consolidati, appare superfluo il richiamo puntuale delle numerose pronunzie delle Sezioni semplici, essendo preferibile affidarsi - prevalentemente, anche se non esclusivamente - a passaggi motivazionali della S.C. nella qualificata composizione a Sezioni Unite.
2.1. Ebbene, l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione è esclusa, secondo l'espresso disposto dell'art. 314 cod. proc. pen., qualora l'istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all'insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).
2.2. L'indennizzo in questione si risolve «nell'attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente (perché secondo legge) arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636;
Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035). , 2.3. Quanto alle valenze definitorie delle espressioni "dolo" e "colpa grave", è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636) che «dolosa deve
lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Messina il 4 aprile - 4 giugno 2019 ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell'interesse di G T, che era stato sottoposto a custodia cautelare per 459 giorni, dal 13 febbraio 2016 al 17 maggio 2017, in esecuzione di ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria in relazione alla contestazione di concorso in tentativo di rapina aggravata in una gioielleria, il 10 ottobre 2015. Condannato in primo grado, all'esito del giudizio abbreviato, con sentenza del 9 maggio 2016, l'imputato è stato assolto, per non avere commesso il fatto, dalla Corte di appello il 17 maggio 2017, in ragione dell'assenza di riscontri individualizzanti rispetto alla chiamata di correo effettuata da S P;
conseguentemente, ai sensi dell'art. 300 cod. proc. pen., G T è stato scarcerato. La sentenza assolutoria è passata in giudicato.
2.Ricorre per la cassazione dell'ordinanza, tramite difensore di fiducia, G T che censura, sotto un duplice profilo, violazione di legge e difetto di motivazione.
2.1. In primo luogo denunzia violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., per contraddittorietà tra dispositivo e motivazione, quanto al nominativo del ricorrente, che è G T ma che nel dispositivo - che è l'atto con il quale il giudice esplicita la volontà della legge e che, secondo regola generale, prevale sulla motivazione - è erroneamente indicato come C M.
2.2. Si lamenta ulteriormente violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 314-315 e 125 cod. proc. pen., oltre che mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rammentate le scansioni procedimentali (13 febbraio 2016, arresto;
15 febbraio 2016, interrogatorio di garanzia, cui l'indagato non risponde;
9 maggio 2016, sentenza di condanna di primo grado;
17 maggio 2017, sentenza assolutoria di appello e. liberazione dell'imputato) ed alcuni principi che governano l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, sottolinea che la pronunzia di assoluzione è stata emessa sulla base dello stesso materiale probatorio presente sia nella fase cautelare che in prima grado, essendosi celebrato il giudizio abbreviato. Evidenzia, poi, che la colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione non può fondarsi sul mero silenzio dell'interessato, per un pluralità di ragioni: per essersi lo stesso avvalso di un diritto;
perché l'unico elemento a carico consisteva nelle dichiarazioni accusatorie del coimputato P, che non hanno trovato conferma in elementi esterni oggettivi;
ed anche perché il giudice della riparazione si è limitato ad affermare (alla p. 4 dell'ordinanza impugnata) che G T non ha fornito chiarimenti a discolpa né un alibi per il giorno della rapina, ma non ha indicato quali specifiche circostanze, ignote agli inquirenti, avrebbero potuto prospettare una spiegazione logica tale da attribuire un diverso significati agli elementi a carico, e ciò in difformità dall'insegnamento di legittimità di cui sono espressione, tra le altre, le pronunzie di Sez. 4, n. 25252 del 20/05/2016, Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014, Bertuccini, Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011 (decisione quest'ultima che ha precisato che non può risultare determinante la mancata negazione della veridicità delle dichiarazioni accusatorie conseguente alla scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere in interrogatorio), Sez. 4, n. 4159 del 28/01/2009. Inoltre, il riferimento da parte della Corte di appello (alla p. 2 del provvedimento impugnato) ad un presunto coinvolgimento di T in una rapina consumata il 15 aprile 2015, sempre sulla scorta delle dichiarazioni di Platania, trascura che T è stato prosciolto da tale accusa già in fase di indagini, per non avere commesso il fatto. Ancora: il richiamo nel provvedimento impugnato ai rapporti con R e con P, che - si assume - T avrebbe dovuto spiegare, trascura quali contatti, le date degli stessi ed il contenuto e, soprattutto, i rapporti di parentela con il cognato Santo R;
e che i tabulati telefonici di cui all'ordinanza cautelare sono relativi ad utenze non riconducibili a T, che i contatti assidui di cui al provvedimento genetico erano tra P e R, non già T, che la polizia giudiziaria ha individuato quale persona citata nei colloqui in carcere G I, non già G T;
non senza considerare che P, interrogato dal G.i.p. del Tribunale di Messina, ha affermato l'estraneità del ricorrente alla rapina. In tale quadro di insieme, ad avviso del ricorrente, la circostanza che l'indagato si sia avvalso del diritto al silenzio, «non può qualificarsi come comportamento colposo, né reticente perché gli elementi che avrebbe dovuto chiarire in sede di interrogatorio si riducevano a circostanze nelle quali non è possibile ricavare un suo ruolo di compartecipe nel delitto contestato. Se al silenzio serbato in sede di interrogatorio fa da riscontro una sostanziale carenza di elementi deponenti per una valutazione di gravità indiziaria di compartecipazione nel reato, nel caso di specie poggiante esclusivamente sulla chiamata di correo [...], l'esercizio della facoltà di non rispondere non può considerarsi ex se gravemente colposo o improntato a reticenza. La Corte territoriale di merito, con la sentenza assolutoria, aveva già avvertito la necessità di richiamare l'orientamento giurisprudenziale sul punto, evidenziando proprio la carenza delle emergenze processuali ab origine e l'inidoneità della sola chiamata in correità, sprovvista dei necessari riscontri estrinseci. Se così è[,] si ritiene che il silenzio serbato, oltre a non avere oggetto circostanze ignote agli inquirenti, non ha avuto alcun ruolo sinergico nel giustificare la misura detentiva, né la Corte territoriale ha evidenziato la sussistenza di un rapporto eziologico di tale condotta con gli altri elementi, con le dovute precisazioni, considerati nel provvedimento cautelare» (così alle pp.
7-8 del ricorso). Ad avviso della difesa, il provvedimento reiettivo della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione «sembrerebbe voler sovrapporre il proprio giudizio a quello - assolutorio - espresso dal giudice della cognizione, chiedendo quasi che dovesse essere il ricorrente a dover dimostrare la propria innocenza, laddove invece la motivazione della sentenza di assoluzione aveva rilevato come la ritenuta gravità indiziaria, che aveva imposto la misura della custodia cautelare, poggiata interamente sulla chiamata in correità, non fosse rispondente ai criteri e agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, in tema di utilizzabilità e valutazione della chiamata di correo» (così p. 9 del ricorso). Si rappresenta, infine, che l'ordinanza cita una pronunzia di legittimità, ossia Sez. 4, n. 24439 del 27/04/2019, che non risulterebbe pertinente, poiché in tale precedente si afferma che in presenza di comportamenti suscettibili di essere interpretati a carico dell'indagato in sede di adozione di misura cautelare è onere dell'interessato, nella prospettiva dell'equa riparazione, apportare contributi chiarificatori;
si sottolinea, però, da parte del ricorrente che «ove tali comportamenti non esistano non può attribuirsi valore ostativo al silenzio serbato dal richiedente, né causa dell'instaurato e mantenuto stato detentivo [...] nell'ordinanza impugnata non viene esplicitato alcun comportamento ascrivibile al T che avrebbe richiesto la rappresentazione di circostanza suscettibili di rivelare un significato diverso nella valutazione degli elementi, sicché il silenzio non ha indubbiamente contribuito all'adozione della misura e al suo mantenimento» (così alla p. 10 del ricorso).
3. Con memoria del 24 marzo 2020 il Ministero resistente, tramite Avvocatura erariale, ha chiesto il rigetto del ricorso;
con vittoria di spese.
4.11 Procuratore generale della S.C. nella requisitoria scritta ai sensi dell'art.611 cod. proc. pen. del 14-15 aprile 2020 ha chiesto rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e merita accoglimento, per i seguenti motivi.
2. E' preliminarmente necessario richiamare i principi informatori della disciplina dell'istituto ex art. 314 cod. proc. pen. come enucleati dalla Corte di legittimità: trattandosi di principi consolidati, appare superfluo il richiamo puntuale delle numerose pronunzie delle Sezioni semplici, essendo preferibile affidarsi - prevalentemente, anche se non esclusivamente - a passaggi motivazionali della S.C. nella qualificata composizione a Sezioni Unite.
2.1. Ebbene, l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione è esclusa, secondo l'espresso disposto dell'art. 314 cod. proc. pen., qualora l'istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all'insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).
2.2. L'indennizzo in questione si risolve «nell'attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente (perché secondo legge) arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636;
Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035). , 2.3. Quanto alle valenze definitorie delle espressioni "dolo" e "colpa grave", è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636) che «dolosa deve
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