Cass. pen., sez. I, sentenza 03/05/2022, n. 17177

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 03/05/2022, n. 17177
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17177
Data del deposito : 3 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: MAZZACCARO GIUSEPPE nato a NAPOLI il 09/02/1979 BEVILACQUA EMANUELE nato a NAPOLI il 05/06/1989 CARUSO NICOLA nato il 01/09/1994 MOSELLA MARCO nato a NAPOLI il 24/04/1986 CIMARELLI SIMONE nato a NAPOLI il 09/04/1996 MARRA ANTONIO nato a NAPOLI il 18/04/1990 DE ROSA SILVIO nato a NAPOLI il 23/02/1991 avverso l'ordinanza del 15/09/2021 del TRIB. LIBERTA di NAPOLIudita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
sentite le conclusioni del PG

PIETRO GAETA

Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso di MAZZACCARO GIUSEPPE e conclude per l'inammissibilità dei ricorsi di BEVILACQUA EMANUELE, CARUSO NICOLA, MOSELLA MARCO, CIMARELLI SIMONE, MARRA ANTONIO e DE ROSA SILVIO L'avvocato B G difensore fiducia di CARUSO NICOLA e sostituto processuale in difesa di BEVILACQUA EMANUELE, CARUSO NICOLA, MOSELLA MARCO conclude con la richiesta di accoglimento del ricorso con conseguente annullamento dell'ordinanza per la posizione di CARUSO e si riporta ai motivi dei ricorsi per le posizioni che difende come sostituto per l'avvocato L L'avvocato F E G difensore fiducia di DE ROSA SILVIO insiste nei motivi del ricorso e ne chiede l'accoglimento

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli accoglieva parzialmente gli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica avverso le ordinanze del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale del 14/4/2021 e del 29/4/2021 e applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di M Giuseppe, C N e M Marco per i delitti di omicidio aggravato in concorso, porto di armi in luogo pubblico nonché tentativo di acquisto di sostanza stupefacente, nonché nei confronti di D R Silvio, M A, B E e C S per il delitto di tentato acquisto di sostanza stupefacente;
tutti i reati aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen. per essere stati commessi i fatti avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis cod. pen. e comunque al fine di agevolare l'attività del gruppo "Parco della 99", articolazione del clan camorristico Sorianello. I fatti contestati erano conseguenza del rinvenimento da parte di due cittadini nigeriani di due chilogrammi di sostanza stupefacente all'interno di un giardino che stavano ripulendo;
si trattava di droga nascosta dal clan Sorianello e destinata ad essere spacciata nella piazza di spaccio al Rione Traiano di Napoli, gestito dal gruppo di cui gli indagati facevano parte. I due stranieri avevano trafugato la droga rinvenuta portandola nella loro residenza di Caste! Volturno. Il gruppo si era attivato per recuperare la droga e, nell'arco della giornata del 10/9/2020, erano stati registrati tre spostamenti di suoi componenti a Castel Volturno, tutti monitorati dalle telecamere di sorveglianza e dimostrate dai tabulati telefonici: nel corso del primo, i componenti del gruppo (G M, E B, N C, Carmine F e R C e A M, quest'ultimo partendo da un luogo diverso) non erano riusciti a rintracciare i due extracomunitari;
nel secondo, presenti Carmine F, R C, S D R e A M (che era rimasto sul posto), l'autovettura si era fermata presso l'abitazione di Oviamwonyi Desmond;
secondo le dichiarazioni di N Caleb e di U Leo, vi era stata una tesa trattativa tra U e Oviamwonyi, che avevano chiesto il pagamento della somma di euro 2.000 per la restituzione della busta contenente la droga, e gli italiani che avevano offerto la minor somma di euro 500;
comunque, era stato fissato un appuntamento alle ore 17'00 per lo scambio di droga e denaro. Nel terzo trasferimento, gli italiani erano arrivati a Castel Volturno verso le 17'30 e si erano diretti verso Oviamwonyi;
era iniziata una discussione su quanto avrebbe dovuto essere consegnato prima, se il denaro o la droga;
uno dei cinque, che aveva un passamontagna, era tornato verso l'autovettura, aveva preso una pistola, tutti si erano allontanati e i nigeriani si erano dati alla fuga;
l'uomo era salito su un muretto e aveva sparato in direzione di Oviamwonyi, uccidendolo, mentre I M J era stato ferito al tallone destro. Le intercettazioni in corso avevano dimostrato che colui che aveva materialmente sparato era R C, che veniva ascoltato mentre riferiva di avere sparato dieci colpi, colpendo "uno e mezzo";
emergeva, ancora, che G M gli aveva dato l'incarico di recarsi al recupero della droga e aveva reagito negativamente alla notizia dell'omicidio. L'omicidio non era ritenuto premeditato, ma frutto di una reazione irrazionale di C di fronte all'atteggiamento dei cittadini nigeriani nel corso della discussione: in effetti, gli italiani avevano portato con sé il denaro e, inoltre, l'uccisione dei nigeriani avrebbe reso impossibile il recupero della droga, che era stata da loro occultata. Secondo il Tribunale, la responsabilità di coloro che si erano recati allo scambio doveva essere affermata in base all'art. 116 cod. pen.: la condotta minatoria nei confronti dei cittadini nigeriani era illecita e l'omicidio ad opera di C era stata la conseguenza non voluta, ma prevedibile, di quella condotta, tenuto conto che tutti i partecipanti facevano parte di un'associazione mafiosa e avevano portato nell'autovettura una pistola. Quanto ai singoli indagati, il Tribunale riteneva, contrariamente al Giudice per le indagini preliminari, che sussistessero gravi indizi della presenza di N C all'omicidio: egli aveva partecipato alla prima spedizione, aveva una maglietta bianca come quella indossata da uno dei soggetti non identificati ripresi dalla telecamera e, soprattutto, era oggetto di riferimenti nelle intercettazioni eseguite, seppure soltanto indicato con il nome proprio;
peraltro, non esistevano altri partecipi del gruppo con il nome "N". Secondo il Tribunale, M M si trovava alla guida di un'autovettura Fiat Panda che, insieme alla Toyota Yaris che trasportava gli altri componenti del gruppo, aveva effettuato la terza spedizione. La mattina del 10 settembre 2020, M era stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre indossava una maglietta bianca con un disegno centrale di colore azzurro;
tale maglietta era indossata dal conducente della Fiat Panda il cui volto non era stato ripreso, tre ore dopo. Il Tribunale riteneva un'ipotesi inverosimile quella formulata dal Giudice per le indagini preliminari, secondo cui non si poteva escludere che una maglietta identica fosse stata indossata da altro componente del gruppo, la cui presenza non era stata mai monitorata. A fronte della circostanza che la Fiat Panda si era fermata a quasi un chilometro dal luogo del delitto, il Tribunale osservava che lo spostamento della seconda autovettura aveva la funzione di irrobustire la composizione numerica del gruppo, aumentando in tal modo la valenza minatoria della condotta illecita;
pertanto, anche M doveva rispondere dell'omicidio in forza dell'art. 116 cod.pen. anche se il suo contributo si fosse limitato alla sorveglianza della zona nel momento in cui i complici facevano ingresso nel cortile dell'abitazione dove era avvenuta la sparatoria. G M possedeva una indubbia leadership nel gruppo dedito allo spaccio, come sottolineato dai collaboratori di giustizia e come riscontrato dalle indagini e dalle intercettazioni. Egli aveva partecipato alla prima spedizione a Castel Volturno e si era fatto carico di reperire l'autovettura (la Toyota Yaris) che sarebbe stata poi utilizzata dai componenti del gruppo in quella finale. Nell'intercettazione ambientale tra R C e la moglie A S dopo il delitto, il primo era ascoltato rassicurare la seconda che M le avrebbe messo a disposizione un'abitazione nella zona controllata dal clan nel caso egli fosse stato arrestato;
soprattutto, C aveva fatto riferimento all'ordine che M gli aveva dato di recarsi alla terza spedizione e alla sua reazione negativa alla notizia dell'omicidio. Si trattava, quindi, del mandante della spedizione, che doveva rispondere dei delitti di omicidio e porto di arma ex art. 116 cod. pen. pur non essendo presente sul posto. Il Tribunale accoglieva parzialmente l'appello del Pubblico Ministero con riferimento all'imputazione, mossa nei confronti di tutti i componenti del gruppo, di detenzione dello stupefacente trafugato dai cittadini nigeriani. Senza dubbio, G M, quale capo del sodalizio dedito allo spaccio, era l'originario detentore dello stupefacente;
gli altri componenti del gruppo che avevano partecipato ad una delle tre spedizioni, invece, avevano posto in essere il tentativo di acquisto dello stupefacente, dovendo, quindi, rispondere del delitto di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73 d.P.R. 309 del 1990. Il Tribunale, alla luce della contestazione dell'aggravante di cui all'art. 416 bis.1 cod. pen., applicava la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, non smentita da elementi di segno contrario e avvalorata dai precedenti specifici riportati dagli indagati;
non era possibile formulare una prognosi favorevole sul rispetto di misure meno afflittive di quella carceraria.

2.1. Ricorre per cassazione il difensore di G M, avv. Bruno Carafa, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. La motivazione dell'ordinanza contrastava con quella resa ex art. 309 cod. proc. pen. dal Tribunale del Riesame nel provvedere sui ricorsi presentati dagli indagati nei confronti dei quali il Giudice per le indagini preliminari aveva emesso la misura cautelare: in quella sede il Tribunale aveva escluso la responsabilità ex art. 116 cod. pen. per l'omicidio per coloro che non avevano partecipato alla terza spedizione. Illogicamente il Tribunale aveva ritenuto che, stante la posizione apicale di M, egli fosse a conoscenza che C avrebbe portato con sé una pistola e avesse, quindi, accettato il rischio dell'uso dell'arma. Non sussisteva il dolo eventuale e nell'ordinanza impugnata mancava la rigorosa dimostrazione dell'adesione di M all'omicidio. D'altro canto, la responsabilità a titolo di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen. è possibile solo se il reato più grave è prevedibile: ma il Tribunale del riesame valutava la prevedibilità della condotta omicidiaria in astratto e in via presuntiva, e non in concreto. Il ricorrente conclude per l'annullamento con o senza rinvio dell'ordinanza impugnata.
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