Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 28/10/2003, n. 16221
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La disposizione di cui all'art. 59, quarto comma, della legge n. 449 del 1997, che comporta la soppressione, a decorrere dall'1 gennaio 1998, di meccanismi di adeguamento diversi da quello previsto dall'art. 11 del d.lgs. n. 503 del 1992, anche se collegati all'evoluzione delle retribuzioni del personale in servizio, impedisce, a partire dalla suddetta data, la riliquidazione automatica, ai sensi dell'art. 30 del Regolamento I.N.A.M., della pensione dei dipendenti (nella specie: dirigente generale) dell'istituto, risultando pertanto inapplicabile ai dipendenti collocati a riposo la deroga disposta dall'art. 19 del d.lgs. n. 80 del 1998 esclusivamente per i "pari grado" in servizio.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C S - Presidente -
Dott. DELL'ANNO Paolino - Consigliere -
Dott. D L M - Consigliere -
Dott. V L - rel. Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SNTENZA
sul ricorso proposto da:
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante "pro tempore", elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati V M, C D A, P M, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
P P, elettivamente domiciliato in ROMA VIA NICOTERA 29, presso lo studio dell'avvocato A S, rappresentato e difeso dagli avvocati G D S, G A, G S, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sent. n. 97/2000 del Tribunale di VENEZIA, depositata il 28 agosto 2000 - R.G.N. 238/1999;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11 giugno 2003 dal Consigliere Dott. L V;
udito l'Avvocato S;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P ARITTI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto depositato il 5 giugno 1998, il sig. Paolo P, ex dirigente generale dell'I.N.A.M., ricorreva al Pretore di Venezia nei confronti dell'I.N.P.S. chiedendone la condanna a corrispondergli la maggiorazione della pensione col computo dell'indennità di posizione, ai sensi della legge 2 ottobre 1997, n. 334. Con sentenza in data 24 giugno 1999, il Pretore accoglieva la domanda per gli anni 1996, 1997 e 1998.
L'appello dell'istituto di previdenza veniva respinto dal Tribunale della stessa sede con sentenza 11 maggio/28 agosto 2000, così argomentata:
- l'art. 30, comma primo, del regolamento del personale I.N.A.M. prevedeva che le variazioni delle retribuzioni pensionabili del personale in servizio comportavano una riliquidazione delle pensioni sulla base della nuova retribuzione stabilita per "la qualifica e la posizione in cui l'impiegato si trovava all'atto della cessazione del servizio" (cosiddetta clausola oro);
- era irrilevante che il P avesse raggiunto la qualifica di dirigente generale solo all'atto della cessazione del servizio, per effetto dell'art. 2 della legge n. 336 del 1970, essendo decisivo, invece, che il dipendente avesse una determinata qualifica all'atto della cessazione dal servizio;
- per lo stesso motivo era del pari irrilevante la dedotta natura transitoria e anticipatoria dell'indennità di posizione e che questa non avesse carattere fisso e continuativo;
- dal coordinamento degli art. 1 della legge n. 334 del 1997, art. 30 regolamento I.N.A.M. e art. 75 D.P.R. n. 761 del 1979, risultava che l'indennità di posizione venne istituita quale anticipazione sul futuro retributivo e per tredici mensilità, sicché non avrebbe potuto dubitarsi del suo carattere retributivo;
- nuova e perciò inammissibile perché formulata dall'I.N.P.S. solo in appello era l'eccezione circa il godimento da parte del dipendente della indennità di funzione, non cumulabile con l'indennità di posizione, essendo il rapporto tra le due di alternatività;
- l'eccezione non era esaminabile d'ufficio in quanto la corresponsione di indennità aventi analoga natura coinvolgeva questioni di fatto che avrebbero dovuto formare oggetto di indagine e di contraddittorio in primo grado;
- essa era comunque infondata in quanto l'indennità di posizione viene corrisposta quale anticipazione sul futuro assetto retributivo, mentre l'indennità di funzione è maggiormente collegata con le funzioni effettivamente esercitate (dal personale in servizio);
- la "clausola oro" non poteva ritenersi abrogata per l'anno 1998, non essendo applicabile al caso in esame la norma di cui all'art. 59, quarto comma, della legge n. 449 del 1997: l'art. 30 del regolamento
personale INAM operava anche per tale anno;pertanto, l'eccepita abrogazione sarebbe stata operante solo per situazioni successive alla sua entrata in vigore;inoltre le disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 334 del 1997 erano state prorogate almeno fino al 31
dicembre 1998.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre l'I.N.P.S. con unico motivo.
Resiste il P con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col motivo di ricorso, l'istituto di previdenza, deducendo violazione e falsa applicazione degli art. 1 della legge 2 ottobre 1997, n. 334, art. 2 della legge 24 maggio 1970, n. 336 e art. 59, quarto comma, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) sostiene che
a) ai sensi del secondo comma dell'art. 1 della legge 2 ottobre 1997, n. 334, l'indennità di posizione era attribuita ai dirigenti in
servizio presso enti diversi dalle amministrazioni statali, equiparati per effetto dell'art. 2 della legge n. 72 del 1985 (come nel caso del P), "che non fruiscano di compensi o indennità aventi analoga natura, fatto salvo il trattamento di maggior favore". Il P godeva dell'indennità di funzione dirigenziale quota A (art. 13 della legge n. 88 del 1989), di maggiore importo e avente analoga natura dell'altra, come riconosciuto da questa Corte con sentenza 17 giugno 1999, n. 6064 resa "inter partes". Il rilievo del Tribunale circa l'inammissibilità dell'eccezione relativa, proposta in secondo grado, non era pertinente in quanto solo nel corso del giudizio di appello l'Istituto aveva avuto conoscenza della predetta sentenza della Corte di cassazione;
b) la qualifica superiore, così come attribuita dall'art. 2 della legge n. 336 del 1970, "ai soli fini della liquidazione della
pensione e delle indennità di buonuscita e di previdenza" era da ritenersi correlata, sotto il profilo dei miglioramenti pensionistici, solo alla voce stipendiale, esclusi gli emolumenti accessori connessi alla qualità del servizio effettivamente prestato. Avrebbe dovuto, cioè, tenersi conto della natura fittizia del conferimento della qualifica superiore, la quale non avrebbe potuto comportare altre conseguenze, essendo l'indennità di posizione connessa "esclusivamente alle funzioni dirigenziali attribuite", mentre il P ottenne tale profilo funzionale solo all'atto del pensionamento per i benefici dell'art. 2 della legge n. 336 del 1970. Il collegamento del beneficio al solo stipendio
tabellare risultava evidente anche dal raffronto tra il primo e il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 336 del 1970, posto che il primo comma attribuiva agli ex combattenti o assimilati (ai soli fini della liquidazione della pensione e della indennità di buonuscita e di previdenza) aumenti periodici di stipendio, paga o retribuzione, sicché anche la qualifica (o classi di stipendio paga o retribuzione immediatamente superiore) attribuita in alternativa dal secondo comma, doveva essa pure inerire solo allo stipendio tabellare, senza incidere nel trattamento di quiescenza.
c) per quanto atteneva all'anno 1991 l'I.N.P.S. rileva che ai sensi dell'art. 59, quarto comma, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, a far tempo dal 1§ gennaio 1998, la riliquidazione periodica delle pensioni integrative in base alla clausola oro non avrebbe potuto più essere collegata alla dinamica delle retribuzioni del personale in attività. Al riguardo erronea e ingiustificata era la limitazione da parte del Tribunale degli effetti dell'art. 59, quarto comma cit., solo a coloro che maturavano la pensione dopo l'entrata in vigore della legge stessa, mentre si estendeva a tutti i titolari di pensioni, come emergeva dal contenuto letterale della norma. La Corte ritiene infondate le prime due censure sopra sintetizzate, nelle quali si articola il ricorso.
Quanto alle doglianze sopra riportate "sub" a), la loro infondatezza appare evidente ove si consideri che l'Istituto, quale ente tenuto a erogare il trattamento pensionistico di cui si discute, non poteva ignorare la situazione giuridica propria del pensionato, sicché non vi era necessità di alcuna rivendicazione di quest'ultimo e, tanto meno, che sulla rivendicazione intervenisse una sentenza passata in giudicato perché l'istituto potesse eccepire in questo giudizio che controparte aveva diritto a compensi o indennità di natura (eventualmente) analoga all'indennità di posizione (comunque rivendicata) e più favorevoli rispetto a quest'ultima. Per quanto attiene, poi, alla sentenza 17 giugno 1999, n. 6064, con la quale questa Corte, pronunciando nei confronti delle stesse parti, ha rigettato il ricorso dell'I.N.P.S. avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che aveva confermato la decisione di primo grado di condanna dell'I.N.P.S. alla riliquidazione della pensione integrativa in conseguenza degli incrementi delle retribuzioni pensionabili del personale "pari grado" in servizio a titolo di indennità di funzione, deve rilevarsi che il giudice di legittimità non ebbe a pronunciarsi sulla natura dell'indennità stessa, avendo ritenuto essenziale, ai fini della soluzione delle questioni sottopostegli, la sola circostanza che le competenze attribuite al personale in servizio fossero di carattere fisso e continuativo e perciò utili a pensione, mentre era irrilevante lo scopo dell'attribuzione patrimoniale, in particolare quello di eventualmente compensare la specificità della prestazione di detto personale.
Ne consegue che la citata sentenza della Corte di cassazione non costituisce giudicato esterno (in caso contrario, esaminabile di ufficio anche in questa sede) sul rapporto tra indennità di posizione e indennità di funzione e circa la analogia eventuale di natura tra le due indennità, ai fini dell'art. 1, comma secondo, della legge 2 ottobre 1997, n. 334.
Le critiche alla sentenza impugnata sopra riportate "sub" lett. b) sono del pari infondate come emerge dalla circostanza, posta in luce da questa Corte anche nella sent. n. 6064/1999 cit., che ai fini dell'adeguamento della pensione agli aumenti stipendiali del "pari grado" era richiesto solo che si trattasse di emolumenti pensionabili. In ordine all'indennità di posizione, l'art. 1, comma primo, della legge 2 ottobre 1997, n. 334 stabilisce che la stessa
spetta, per gli anni 1996 e 1997, in aggiunta al trattamento economico in godimento, "fondamentale o accessorio", a titolo di anticipazione sul futuro assetto retributivo da definire in sede contrattuale, è correlata esclusivamente alle funzioni dirigenziali attribuite, ed è pensionabile.
D'altro canto, l'art. 2, comma secondo, della legge 24 maggio 1970, n. 336 attribuì agli ex combattenti ed equiparati, al momento della
cessazione dal servizio;in luogo degli aumenti stipendiali riconosciuti dal primo comma art. ult. cit., a loro richiesta, la qualifica immediatamente superiore a quella posseduta, ai fini della liquidazione della pensione e della indennità di buonuscita: proprio di pensione si discute in questa controversia.
La norma, quindi, rileva solo in quanto ha consentito il riconoscimento in favore del P di una qualifica e di un livello stipendiale superiore, mentre non impedisce l'operatività dell'art. 30 del Regolamento I.N.A.M. in relazione all'art. 1 della legge n. 334 del 1997 cit.
Priva di rilievo è, pertanto, la circostanza che l'attribuzione della qualifica superiore sia avvenuta, in favore del P, solo al momento del suo collocamento a riposo e quale beneficio combattentistico o assimilato, essendo decisivo il fatto che ai "pari grado" fosse stata attribuita l'indennità pensionabile di cui si discute;significativo è anche che essa fosse stata attribuita quale anticipazione sul futuro assetto retributivo. Irrilevante è, invece, che fosse stata riconosciuta in relazione alle funzioni dirigenziali attribuite, essendo ovvio che il pensionato non esercita funzioni di sorta e tuttavia, in forza dell'art. 30 del regolamento I.N.A.M. beneficia, sotto forma di riliquidazione della pensione, delle attribuzioni concesse ai dipendenti "pari grado" in servizio, anche se disposte in ragione delle funzioni da questi ultimi esercitate. Fondata è, invece, la doglianza di cui "sub" lett. c). Il comma quarto dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 dispone, infatti, che "a decorrere dal 1^ gennaio 1998, per l'adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3 trova applicazione esclusivamente l'art. 11 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all'evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio...".
La norma non dà luogo a dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della lesione del diritto quesito per coloro che già erano pensionati, tenuto conto che la Corte Costituzionale (sent. 17 dicembre 1985, n. 349), in materia analoga, ha affermato che, se è vero che in linea di principio deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che, nel rispetto dell'autonomia negoziale privata, modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non può però ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale, per cui non è consentita una modifica legislativa che, intervenendo... quando addirittura è subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente maturate dai lavoratori per il tempo successivo alla cessazione della propria attività, ma una siffatta irrazionale incidenza va esclusa nel caso della estensione normativa ai pensionati delle gestioni speciali del sistema di perequazione automatica previsto dall'art. 10 della legge 3 giugno 1975, n. 160. Non può dubitarsi, poi, che tra le "diverse forme di adeguamento" (rispetto alla perequazione automatica previsto dall'art. 11 ora citato), contemplate dall'art. 59 cit. rientri quella prevista dall'art. 30 del regolamento I.N.A.M.
Tanto premesso si rileva, infine, che l'art. 19 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ha bensì prorogato le disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 334 del 1997 sino all'entrata in vigore dei contratti
collettivi di cui all'art. 24 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e comunque non oltre il 31 dicembre 1998, ma, se di tale proroga del trattamento hanno beneficiato i "pari grado" in servizio, il beneficio non può ricadere anche sui dipendenti collocati a riposo, come si pretenderebbe dal P, essendo divenuta inefficace dal primo gennaio dello stesso anno la disposizione regolamentare che disponeva l'adeguamento o riliquidazione automatica della loro pensione.
Conclusivamente, assorbito ogni altro profilo di censura, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione.
La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito coi rigetto della domanda proposta dal P per la parte riguardante la riliquidazione della pensione per l'anno 1998 (restando così confermata la decisione impugnata per quanto concerne l'accoglimento della domanda per gli anni 1996 e 1997). Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità, mentre per le spese dei gradi di merito appare equo provvedere in conformità alle pronunce del Pretore e del Tribunale.