Cass. pen., sez. VI, sentenza 13/01/2023, n. 01114

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 13/01/2023, n. 01114
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 01114
Data del deposito : 13 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da R S, nato a Muro Leccese il 12/2/1950 avverso l'ordinanza emessa il 9/9/2022 dal Tribunale di Lecce;
visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere P D G;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale M D M, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria depositata dagli avvocati G F e S C, i quali concludono per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale - decidendo in sede di appello cautelare - confermava il rigetto della richiesta di revoca o modifica della misura degli arresti domiciliari cui è sottoposto S R, in ordine a plurime ipotesi di corruzione. Il Tribunale premetteva che l'impugnazione concerneva esclusivamente la permanenza delle esigenze cautelari a seguito della dismissione delle cariche pubbliche dell'indagato, ritenendo, tuttavia, che tale circostanza fosse insufficiente ad escludere il rischio di reiterazione di analoghe condotte delittuose.

2. Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha proposto due motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 310 e 597 cod. proc. pen., sostenendo che il Tribunale, una volta accertata la mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, avrebbe dovuto annullare l'ordinanza appellata, anziché adottare una motivazione totalmente integrativa di quella mancante. Si afferma - anche con la memoria difensiva - che in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., a differenza del riesame, vige il principio devolutivo, sicchè il Tribunale è tenuto a pronunciarsi nei limiti della questione demandatagli, non potendo compiere una rivalutazione globale della vicenda cautelare.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta persistenza delle esigenze cautelari, rilevando che il Tribunale sarebbe incorso in una manifesta contraddittorietà nella misura in cui ha ritenuto che, quanto meno in parte, le condotte criminose sarebbero proseguite anche dopo la dismissione della carica di assessore regionale. Invero, la lettura delle imputazioni trasfuse nella richiesta di rinvio a giudizio escluderebbe tale eventualità. Tanto meno sarebbero rilevanti le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da Elio Vito Quarta, lì dove questi avrebbe fatto riferimento all'interessamento del Ruggieri dopo la cessazione della carica. Tali dichiarazioni, correttamente interpretate, dimostrerebbero l'esatto contrario e, cioè, che il Quarta riteneva il Ruggiero non più in grado di intercedere nel suo interesse, proprio perché si era dimesso dalla carica di assessore.

3.11 procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d. I. n. 137 del 2020 e art.7 d.l. 23 luglio 2021, n.105.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente sostiene che il Tribunale investito dell'appello cautelare, una volta riscontrata la totale carenza della motivazione sulle esigenze cautelari, avrebbe dovuto annullare l'ordinanza impugnata, non potendosi sostituire al giudice per le indagini preliminari, motivando autonomamente sulla questione devoluta alla sua attenzione. L'impostazione prospettata dal ricorrente non è condivisibile, in quanto tende a sovrapporre la natura devolutiva del mezzo di impugnazione, con l'individuazione dei limiti del giudizio rimesso al Tribunale. Per consolidata giurisprudenza, l'appello cautelare è un mezzo di impugnazione sottoposto al principio devolutivo e, quindi, a differenza del riesame non è consentita una complessiva rivalutazione della vicenda cautelare, a prescindere da quelle che sono le specifiche doglianze proposte con l'impugnazione. Diversa questione è, però, l'individuazione dei poteri di giudizio spettanti al Tribunale nell'ambito dei motivi devoluti con l'appello. A tal riguardo, il ricorrente sostiene che il Tribunale non avrebbe quella pienezza di cognizione che l'art.309, comma 9, cod. proc. pen. ammette solo per il riesame e, quindi, non sarebbe consentita la possibilità di confermare il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli indicati nell'ordinanza. Confutando le argomentazioni sostenute nella requisitoria del Procuratore generale, la difesa ha ulteriormente chiarito che al giudice dell'appello cautelare sono attribuiti poteri cognitivi diversi da quelli del giudice del riesame e, nello specifico, più limitati, proprio in virtù della mancata estensione, ai giudizi d'appello, del citato comma 9 dell'art. 309, cod. proc. pen. Prosegue la memoria difensiva sostenendo che i giudici dell'appello cautelare si sono indebitamente appropriati dei poteri cognitivi propri del giudice del riesame, non soltanto utilizzando argomentazioni diverse da quelle contenute nelle due precedenti ordinanze, ma addirittura utilizzando elementi di prova ulteriori rispetto a quelli assunti dal G.I.P. in tali deliberazioni.
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