Cass. pen., sez. III, sentenza 14/03/2023, n. 10731

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 14/03/2023, n. 10731
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10731
Data del deposito : 14 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da R G, nata a Catania il 16-02-1969, avverso la sentenza del 11-11-2021 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere F Z;
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. R G, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni rassegnate dagli avvocati M L G e C P, i quali hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell'Il novembre 2021, la Corte di appello di Bologna confermava la decisione del 23 ottobre 2019, con cui il Tribunale di Piacenza aveva condannato G R, con i doppi benefici di legge, alla pena di 6 mesi di reclusione, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all'art. 37 della legge n. 689 del 1981, a lei contestato perché, quale legale rappresentante della "Effe SSD s.r.l.t'e di datore di lavoro di 18 dipendenti, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalla previdenza e assistenza obbligatoria, presentava all'Inps denunce contributive con dati non corrispondenti al vero, che determinavano un'evasione contributiva superiore a euro 2.582,28 mensili e al 50% dei contributi complessivamente dovuti;
fatti contestati come commessi in Piacenza dal 1° giugno 2013 al 31 ottobre 2014, avendo il primo giudice assolto l'imputata dalle contestazioni relative ai mesi di giugno e dicembre 2013. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello felsinea, la R, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi. Con il primo, la difesa eccepisce la carenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione penale ai sensi dell'art. 37 n. 2 e 4 della legge n. 689 del 1981, evidenziando che il Tribunale del Lavoro di Bologna, con la sentenza n. 1019 del 2017, in accoglimento del ricorso della Effe SSD s.r.I., annullava l'avviso emesso dall'Inps contenente i conteggi derivanti dal verbale ispettivo notificato il 6 novembre 2015, facendo venire meno il requisito della punibilità previsto dall'art. 37 della legge n. 689 del 1981, posto che, per evitare il giudizio, l'imputata avrebbe dovuto adempiere a una pretesa contenuta in un provvedimento caducato, sottolineandosi al riguardo che è solo dalla elaborazione dei conteggi operata nel verbale successivo a quello ispettivo che può essere verificato se il mancato versamento eccede o meno i limiti imposti dal citato art. 37. Con il secondo motivo, -kricorrente censura, sotto il duplice aspetto del vizio di motivazione e della inosservanza della legge penale, la valutazione delle dichiarazioni testimoniali riferite ai contratti di lavoro oggetto di contestazione, osservando che, a differenza di quanto affermato dall'operante Enio Verbanio, dalle deposizioni di diversi testimoni inseriti nell'organizzazione della palestra, come Andrea Guasti, Maria Calamo, Maria Antonietta Calamo, Chiara Ingruscio, Valentina Bovi, Manuela Schenardi, Simona Petrera e Sarah Bendoni, è emerso che gli stessi non svolgevano attività riconducibile a un rapporto subordinato. Si trattat infatti) di giovani che svolgevano altre attività (studio, lavoro in altre strutture, ecc.) che desideravano dedicare un loro tempo limitato all'attività lavorativa, tanto è vero che a ciascuno di essi era riservato un contratto diverso in base alle esigenze manifestate, con ampia flessibilità nella gestione del lavoro.In ogni caso, a ogni lavoratore sono stati corrisposti i contributi previsti nei rispettivi contratti di collaborazione, dovendosi quindi escludere che le prescritte denunce obbligatorie non venivano presentate al fine di non versare i contributi. Con il terzo motivo, oggetto di doglianza sono l'inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione, non essendosi considerato che le associazioni sportive e la società dilettantistiche, come la Effe S.S.D s.r.1. 2, fruiscono, in quanto facenti parti della variegata categoria degli enti non commerciali, di importanti vantaggi fiscali sotto il profilo fiscale, alla luce del loro ruolo, finalizzato a sviluppare la diffusione dello sport tra la popolazione. Ciò premesso, si osserva che, le ASD e le SSD possono avvalersi delle prestazioni sportive degli istruttori o quelle di più spiccata natura gestionale o amministrativa, i cui compensi vanno inquadrati nella speciale disciplina dettata dall'art. 67, comma 1, lett. m) del T.U.I.R., a ciò aggiungendosi che, a norma dell'art. 69 del predetto T.U.I.R., le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi di cui all'art. 67, comma 1, lett. M) non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo di imposta a 7.500 euro. Sia le prestazioni rese nell'esercizio diretto di attività sportive che quelle di natura amministrativo-gestionale usufruiscono di un trattamento di favore, nel senso che, oltre a essere esonerate dal prelievo fiscale fino alla soglia di euro 7.500, non sono soggette a contributi previdenziali e a premi assicurativi. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (il riferimento è a Cass. Sez. 3, n. 31840 del 26 febbraio 2014), le somme che le società sportive dilettantistiche corrispondano a soggetti che prestino la loro opera in favore delle stesse sono esenti dalla contribuzione sino alla soglia di euro 7.500, con conseguente esclusione, in caso di mancata denuncia, del reato ex art. 37 della legge n. 689 del 1981, alla duplice condizione che risultino erogate nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e che le prestazioni non siano assimilabili a quelle proprie di un rapporto di lavoro di tipo subordinato;
dunque, conclude la difesa, se si fosse considerato il predetto limite di reddito, i conteggi contributivi ricalcolatí avrebbero comportato sicuramente un abbassamento dell'omissione contributiva, con conseguente ricaduta del fatto sotto la soglia di punibilità. Con il quarto motivo, ci si duole del diniego delle attenuanti generiche, non avendo la sentenza impugnata fornito adeguata motivazione al riguardo. Il quinto motivo è infine dedicato al trattamento sanzionatorio, eccependosi la carenza di motivazione rispetto alla determinazione della pena, non essendosi considerato che la condotta della R ha determinato una lesione particolarmente lieve del bene giuridico protetto dalla norma.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi