Cass. civ., sez. I, sentenza 22/09/2004, n. 18997
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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D M R - Presidente -
Dott. P U R - Consigliere -
Dott. P D - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. G P - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE di R, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'Avv. F A in forza di procura speciale a margine del ricorso principale
- ricorrente principale -
contro
C B, G A e F A, elettivamente domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall'Avv. S G in forza di procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania n. 723/2000 pubblicata il 14.11.2000. Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18.2.2004 dal Consigliere Dott. G P.
Udito il difensore, per delega, dei controricorrenti e ricorrenti incidentali.
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M V, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale" assorbito il ricorso incidentale condizionato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 9.12.1997, C B, G A e Francesco Arezzo convenivano davanti alla Corte di Appello di Catania il Comune di Ragusa, premettendo:
a) che con decreto del 9.4.1990 il Sindaco di detto Comune aveva pronunciato l'espropriazione di mq. 15.635 di un terreno di proprietà dei due attori, usufruttuaria essendone la Bertini, sito nel Comune medesimo, del quale era stata disposta l'occupazione temporanea ed urgente, con ordinanza dell'11.1.1984, per la costruzione di alloggi di edilizia economica e popolare da parte della Cooperativa Castellana;
b) che l'indennità provvisoria offerta nella misura di lire 14.000 al metro quadrato non era stata accettata e che la competente Commissione Provinciale aveva determinato l'indennità definitiva sulla base di lire 40.000 al metro quadrato per il calcolo di cui all'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992. Tanto premesso, gli istanti, ritenendo esiguo il valore attribuito al terreno espropriato posto in zona edificabile, interamente urbanizzata alla data del provvedimento ablatorio, chiedevano la determinazione dell'indennità di espropriazione sulla base del valore di mercato di lire 300.000 al metro quadrato, oltre che dell'indennità di occupazione legittima, con relativa liquidazione delle somme dovute dall'Ente pubblico unitamente agli accessori. Costituitosi in giudizio, quest'ultimo eccepiva l'inammissibilità della domanda tesa alla determinazione dell'indennità di occupazione, siccome proposta dopo la scadenza del termine di giorni trenta dalla comunicazione, asserendo inoltre che il valore indicato dalla Commissione Provinciale era corrispondente al valore di mercato del terreno e che l'indennità di espropriazione doveva essere liquidata in base alla metà di tale valore, oltre che decurtata del 40%.
Il giudice adito, con sentenza del 5.6/14.11.2000, determinava entrambe le indennità in argomento, impartendo le conseguenziali statuizioni e, per quanto qui interessa, segnatamente assumendo:
a) che il consulente di ufficio avesse posto a base del sistema di calcolo con il metodo analitico il valore del terreno desunto, nella percentuale del 25%, da quello, pari a lire 200.000.000, di un appartamento della superficie di circa 161 metri quadrati (e per il quale sarebbero occorsi 322 metri quadrati di suolo) realizzabile con l'indice di edificabilità (1,5 mc/mq) previsto per la zona C1, addivenendo quindi al valore di lire 155.000 al metro quadrato, vicino a quello di lire 160.000 ottenuto, a conferma della congruità, attraverso la stima sintetica;
b) che il valore di lire 74.000 al metro quadrato attribuito dalla medesima Corte, in una precedente decisione del 1996, ad altro tratto di terreno espropriato agli attori nel 1988 per la realizzazione degli alloggi della Cooperativa Castellana, non fosse significativo, dal momento che nella relazione dell'identico consulente di ufficio era stato sottolineato come i prezzi dei terreni della zona avessero subito una forte ascesa dall'anno 1987 (in cui si aggiravano intorno a lire 70.000 al metro quadrato) fino agli anni 1994/1995 (quando, cioè, avevano raggiunto il valore di circa lire 230.000 al metro quadrato);
c) che sul valore del terreno neppure incidesse la detrazione delle aree destinate alle opere di urbanizzazione da cedere gratuitamente al Comune, come pure le spese occorrenti per dette opere, giacché, trattandosi di zona interamente urbanizzata e di terreni di limitata estensione, non era prescritta la redazione di piani di lottizzazione;
d) che non dovesse essere operata la decurtazione del 40%, atteso che il valore attribuito dall'espropriante all'area, di indiscussa vocazione edificatoria, sia nella liquidazione provvisoria di lire 14.000 al metro quadrato sia in quella definitiva di lire 40.000, come pure il valore effettivo di lire 24.000 al metro quadrato, risultavano decisamente inferiori al valore di mercato indicato dal consulente di ufficio, nonché a quello determinato in lire 74.000 al metro quadrato dalla medesima Corte in altra pronuncia passata in giudicato;
e) che l'indennità per il periodo di occupazione legittima, a decorrere dall'11.1.1984, dovesse essere liquidata in base al tasso legale degli interessi sull'indennità di espropriazione per ogni anno di occupazione fino alla data del provvedimento ablatorio;
f) che la domanda di rivalutazione delle somme dovute non potesse trovare accoglimento, non essendo stata neppure allegata alcuna specifica circostanza generatrice di un maggior danno risarcibile ai sensi dell'art. 1224, secondo comma, c.c.;
g) che non ricorressero i presupposti per la capitalizzazione degli interessi, potendo gli interessi sulle indennità di espropriazione e di occupazione produrre ulteriori interessi soltanto dalla data della sentenza e per effetto di convenzione successiva alla decisione. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il Comune di Ragusa, deducendo tre motivi di gravame cui resistono con controricorso le parti private, le quali, a loro volta, spiegano ricorso incidentale condizionato affidato del pari a tre motivi, illustrando l'uno e l'altro con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve, innanzi tutto, essere ordinata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 e 335 c.p.c., la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad altrettante impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza.
Con il primo motivo di gravame, lamenta il ricorrente principale, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., erroneità ed insufficienza della motivazione su un punto rilevante della controversia, nonché errata applicazione dell'art. 28 della legge n. 1150 del 1942, deducendo:
a) che la Corte territoriale ha insufficientemente motivato in ordine ai rilievi critici del Comune sulla consulenza tecnica;
b) che detto Comune aveva obiettato come, essendo stato sostenuto dal CTU che l'area è edificabile a mezzo di piano esecutivo cui sono applicabili i criteri edificatori previsti per la zona territoriale omogenea "C", in essa fossero da applicare le norme sui piani di lottizzazione che prevedono la realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte del costruttore e la cessione gratuita delle aree all'ente pubblico, onde aveva rilevato l'incongruità e l'erroneità della stima effettuata dallo stesso CTU, nella quale non è prevista per la determinazione del valore del terreno la detrazione delle aree e delle somme che in una lottizzazione non andrebbero a beneficio del proprietario;
c) che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto valida la stima effettuata dal CTU, ignorando che il terreno medesimo fosse da considerare "zona di espansione" situata in un comprensorio notevolmente più esteso, edificabile solo dietro approvazione di un piano esecutivo, nonché trascurando di considerare che l'indice di edificazione dovesse essere riferito soltanto alla superficie fondiaria del lotto edificabile, al netto di standards e strade, non anche, come ha invece fatto il CTU, alla superficie territoriale comprensiva altresì delle aree da destinare ad infrastrutture;
d) che detta Corte ha mancato di detrarre dal computo l'estensione delle aree che, in una normale lottizzazione, vengono gratuitamente cedute all'ente pubblico per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, mentre ha gravemente confuso tra oneri concessori collegati al rilascio di concessioni singole (contributo di concessione) e realizzazione, a cura e spese del lottizzante, delle opere di urbanizzazione, malgrado la difesa del Comune, sia in occasione di note difensive corredate da relazione tecnica, sia in sede di comparsa conclusionale, avesse ampiamente illustrato le deficienze insite nella consulenza tecnica di ufficio ed avesse sottolineato l'accoglimento di tali indiscussi principi nella sentenza della Corte di Cassazione n. 3948 del 18 aprile 1998;
e) che, sui rilievi relativi alla necessità di determinare il valore venale di aree inserite in zona "C" di PRG mediante la detrazione dell'estensione dei suoli che il lottizzante deve cedere ed il computo dell'ipotetico importo delle spese per opere di urbanizzazione primaria e secondaria, la Corte territoriale non ha fornito alcuna valutazione;
f) che l'inconsistenza della stima effettuata dal CTU emerge chiaramente attraverso il raffronto della stima stessa, ritenuta idonea da detto giudice, con l'indennità determinata in altro giudizio relativamente ai terreni limitrofi appartenenti a tal Mario Arezzo ed espropriati con il medesimo provvedimento del 9.4.1990, là dove la Corte territoriale, in identica composizione collegiale, ha determinato, con sentenza n. 471 del 28.7.2000, il valore venale del terreno in L. 112.000 al metro quadrato, ovvero in misura notevolmente inferiore a quella in questione, pari a L. 157.000 al metro quadrato.
Con il terzo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il primo si palesa l'opportunità, involgendo entrambi la trattazione di questioni strettamente connesse se non addirittura (parzialmente) identiche, lamenta il ricorrente principale violazione di norme di diritto, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c. e dell'art. 41 della legge n. 2359 del 1865, deducendo:
a) che il terreno de quo, originariamente agricolo, era completamente sprovvisto di strade ed opere di urbanizzazione, le quali vennero realizzate dal Comune, a proprie spese, nel periodo di occupazione di urgenza, sicché l'area, al momento dell'espropriazione, è stata ritenuta dotata già di alcuni servizi ed interventi pubblici che in una lottizzazione sarebbero stati sopportati dai privati lottizzanti;
b) che la Corte territoriale non ha ritenuto di detrarre dalla determinata indennità l'estensione delle aree che, in una lottizzazione, vengono cedute gratuitamente all'ente pubblico, ne' il valore delle opere di urbanizzazione che, in una lottizzazione, vengono addossate al privato lottizzante, così come non ha ritenuto di detrarre dall'indennità le spese per opere di urbanizzazione realmente sostenute dal Comune;
c) che l'indennità doveva essere decurtata, ai sensi dell'art. 42 della legge n. 2359 del 1865, dell'incremento di valore determinato
dalla realizzazione dell'opera pubblica, avendo a tal fine la giurisprudenza più volte precisato che vanno computati e, quindi, detratti i benefici che siano pure indipendenti dall'espropriazione, ivi comprendendo anche le opere di urbanizzazione eseguite nella zona dall'espropriante ed incidenti sulla edificabilità di fatto. I due motivi non sono fondati.
Al riguardo, conviene premettere:
1) che, per un verso, nel caso di liquidazione dell'indennizzo espropriativo di terreni edificabili, giusta i criteri dettati dall'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, l'iniziale determinazione del valore venale del suolo va compiuta, avuto riguardo alla data del decreto di esproprio, senza calcolare gli incrementi direttamente conseguenti alla realizzazione dell'opera pubblica cui l'espropriazione risulti preordinata, ovvero detraendo dal valore venale dell'immobile ablato, determinato con riferimento all'area urbanizzata, gli aumenti derivati da opere di urbanizzazione compiute dall'espropriante, in epoca successiva all'occupazione, per la realizzazione anzidetta, ma tenendo conto, per converso, degli eventuali benefici derivanti da interventi diversi, preesistenti ed indipendenti, ancorché consistenti in opere di urbanizzazione eseguite, nella zona, dallo stesso espropriante prima dell'occupazione, le quali assicurano l'immediata utilizzazione edificatoria dell'area, apprezzabile come sua qualità intrinseca, rilevante in una libera contrattazione (Cass. 6 febbraio 1990, n. 798;Cass. 16 marzo 1993, n. 3126;Cass. 27 agosto 1998, n. 8523;Cass. 29 agosto 1998, n. 8648);
2) che, per altro verso, la previsione del risultato economico relativo allo sfruttamento edilizio di un fondo il quale disponga del requisito dell'edificabilità legale, conferita dallo strumento urbanistico generale, è logicamente condizionata da una serie di elementi oggettivi che concorrono a formare il prezzo di mercato, onde, per aree siffatte, occorre un piano attuativo che, nel rispetto delle previsioni generali, dia definitiva sistemazione all'interno delle zone omogenee, contemperando lo sfruttamento edilizio con le esigenze della collettività, in modo che la divisione del territorio in lotti edificabili può essere autorizzata solo previa cessione delle aree destinate alle opere di urbanizzazione e previa assunzione degli oneri relativi (art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150), il principio generale essendo che, ai fini dell'esercizio concreto dello ius aedificandi, l'area sia urbanizzata (art. 31 della già citata legge n. 1150 del 1942);
3) che la valutazione dell'area edificabile, dunque, deve tener conto, entro i limiti di volumetria esprimibile e di superficie occupabile da costruzioni in quella determinata zona urbanistica, dei volumi e degli spazi necessari a servizi e attrezzature generali, onde, qualora si adotti il criterio di valutazione del prezzo unitario al metro quadrato, deve scorporarsi dalla superficie quanto sia proporzionalmente destinato a spazi ed opere pubbliche, applicando, quindi, sulla residua porzione, cosiddetta "fondiaria", strettamente destinata allo sfruttamento edilizio, l'indice di fabbricabilità, nonché detraendo, ai fini dell'accertamento del valore unitario di trasformazione del fondo da moltiplicare per la superficie fondiaria appunto, altresì gli oneri di urbanizzazione (Cass. 4 giugno 2001, n. 7518;Cass. 4 settembre 2001, n. 11391;Cass. 29 agosto 2002, n. 12651);
4) che lo strumento urbanistico attuativo, tuttavia, ancorché previsto dal piano regolatore generale, si riferisce a fattispecie di lottizzazioni in senso stretto, le quali sono configurabili là dove sussistano fondi destinati ad insediamenti edilizi urbani, ovvero alla realizzazione di una pluralità di edifici residenziali o turistici o industriali che deve avere necessariamente comportato la previsione, la progettazione e l'esecuzione di opere di urbanizzazione non solo primaria, ma anche secondaria, trattandosi di asservire per la prima volta un'area non ancora urbanizzata (o parzialmente urbanizzata) ad un insediamento di quella natura ed essendovi l'obiettiva esigenza, per l'armonico raccordo dell'insediamento stesso con il preesistente aggregato abitativo, della realizzazione di quelle opere, mentre, qualora l'esigenza di assicurare le finalità di inserimento del nuovo complesso abitativo o produttivo nel territorio coordinandolo con le preesistenti, limitrofe realtà non sussista, o per le caratteristiche e/o l'ubicazione del nuovo insediamento (come nel caso di pochi edifici in zona rurale) o per la preesistenza in loco di adeguate opere di urbanizzazione, il piano di lottizzazione non è richiesto dalla norma di cui al sopra citato art. 28 della legge al 150 del 1942 (come modificato dall'art. 8 della legge n. 765 del 1967) e le (attuali) concessioni edilizie possono quindi essere rilasciate anche in mancanza di esso (Cass. 24 luglio 1999, n. 8021;Cass. 12 gennaio 2000, n. 277);
5) che, pertanto, le considerazioni di cui ai numeri che precedono non riguardano le zone già urbanizzate (Cass. 277/2000, cit;Cass. 12651/2002, cit.) ed, in tal caso, ai fini del computo
dell'indennità di espropriazione, il valore dell'area edificabile della quale l'Amministrazione deliberi l'acquisizione coattiva si determina, secondo il criterio analitico-deduttivo, in base all'indice fondiario della zona in cui essa è collocata previsto dallo strumento urbanistico generale (o, comunque, ad esso applicabile), senza che possano prendersi a riferimento differenti indici (o la loro media) stabiliti per aree limitrofe (Cass. 18 aprile 1998, n. 3948). Tanto premesso, con specifico riguardo alle censure dedotte dal ricorrente principale si osserva:
1) che quest'ultimo, contravvenendo al principio stesso di autosufficienza del ricorso, non ha fatto il benché minimo richiamo, riportandone semmai analiticamente il contenuto, alle risultanze dell'elaborato peritale dalle quali sia dato di ricavare che, in violazione dei criteri sopra enunciati, nella quantificazione dell'indennità sia stato computato l'"incremento di valore determinato dalla realizzazione dell'opera pubblica", tanto più che dall'incensurato (di per sè) accertamento di fatto della Corte territoriale si evince come "il valore medio di L. 150.000 al mq. riferito all'anno 1990" sia stato contestato dal convenuto sotto il differente profilo secondo cui "altre valutazioni di terreni della zona effettuate in sede di determinazione dell'indennità di espropriazione oscillavano tra le L. 30.000 e L. 80.000 e che il valore attribuito al terreno degli stessi attori, espropriato per la realizzazione degli alloggi della Cooperativa Castellana, era di L. 74.000 al mq. per l'anno 1988";
2) che dall'apprezzamento del giudice a quo è dato altresì di ricavare come la valutazione del terreno sia stata effettuata dal consulente di ufficio "in applicazione di parametri tecnicamente corretti, secondo il metodo sintetico...e secondo il metodo analitico", onde il costo determinato con questo secondo metodo (pari a L. 155.000 al metro quadrato) "è vicino a quello di L. 160.000 ottenuto attraverso la stima sintetica e ne conferma la congruità", laddove sulla riferita valutazione "non incidono gli altri dati richiamati dal convenuto, il rapporto tra indici di edificabilità territoriale e fondiaria, (nonché) la detrazione delle aree per le opere di urbanizzazione (ovvero l'omessa previsione di aree siffatte) giacché trattandosi di zona interamente urbanizzata e di terreni di limitata estensione non è prescritta la redazione di piani di lottizzazione, diversamente da quel che si verifica nella realizzazione dei piani per l'edilizia economica e popolare o nelle edificazioni di aree di notevole estensione, come è chiaramente spiegato nella decisione della Corte di Cassazione del 18/4/1998, n. 3948 (già sopra citata), richiamata dal Comune per sostenere la necessaria applicazione di alcuni parametri, quali la detrazione delle aree da destinare alle opere di urbanizzazione da cedere gratuitamente al comune e le spese occorrenti per dette opere che incidono notevolmente sul valore dell'area";3) che un simile apprezzamento non soggiace alle doglianze del ricorrente principale, atteso che la Corte territoriale, sulla base dell'accertamento di fatto dianzi riportato, di per sè incensurato ed ulteriormente specificato là dove il medesimo giudice ha altresì rilevato che "il terreno espropriato non solo è edificabile, ma è posto in una zona (C 1 del PRG, con indice di edificabilità pari a 1,5 mc/mq) interamente urbanizzata (ed interamente edificata), servita da strade, scuole e servizi pubblici (tanto che "ha di fronte un nuovo asilo nido e nei pressi una scuola media costruita da diversi anni ed è in corso...la costruzione della nuova caserma dei carabinieri"), ed apprezzata dal mercato immobiliare per la collocazione tra importanti assi di collegamento stradale...e nelle vicinanze del lungomare di Marina di Ragusa, che è una nota zona balneare", ha puntualmente e correttamente applicato i principi sopra enunciati. Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente principale violazione di norme di diritto, alla luce dell'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 ed in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., deducendo:
a) che la Corte territoriale ha ingiustamente ritenuto di non effettuare la detrazione del 40% per indennità non accettata, sostenendo che "solo l'opposizione alla giusta indennità rende applicabile la riduzione";
b) che la giurisprudenza della Suprema Corte addotta a sostegno dal giudice di merito riguarda la fase intermedia cui fa riferimento la nota sentenza additiva della Corte Costituzionale, secondo la quale, nell'ambito dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della richiamata legge n. 359 del 1992, la riduzione del 40% non poteva essere disposta se non fosse intervenuta un'offerta adeguata e congrua dell'indennità;
c) che il caso di specie riguarda, invece, la piena ed integrale applicazione dell'art. 5 bis, dal momento che, pur essendo stato il decreto di esproprio emesso precedentemente all'entrata in vigore della già citata legge n. 359/1992, la stima dell'UTE risale ad un'epoca successiva alla medesima entrata in vigore, onde, in mancanza del fatto eccezionale costituito dalla cessione volontaria, deve operare la riduzione in parola, la quale è uno degli elementi essenziali (e non eventuali) di determinazione dell'indennità;
d) che, non essendo poi la giusta misura di quest'ultima quella erroneamente determinata nella sentenza impugnata, ma quella che risulterebbe da una stima più adeguata, corrispondente alle aree "C" di piano regolatore, il giudizio di inadeguatezza verrebbe a cadere, dal momento che il quantum debeatur in favore del proprietario espropriato dovrebbe venire corretto in termini ampiamente riduttivi. Il motivo non è fondato.
Occorre, al riguardo, premettere che, vuoi sulla base della prospettazione del ricorrente, vuoi sulla base di quanto traspare, comunque, dall'incensurato apprezzamento di fatto della Corte territoriale, il decreto di espropriazione è stato emesso, nella specie, il "9 aprile 1990", ovvero anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, laddove, a tale data, non risultava intervenuta neppure la determinazione "definitiva", in via amministrativa, della relativa indennità ad opera della competente Commissione Provinciale presso l'UTE, la quale, essendo stata assunta "per l'applicazione dell'art. 5 bis della (citata) L. 359 del 1992", risale evidentemente ad una data "posteriore" a quella da ultimo indicata.
Ne consegue che, nella specie, deve trovare applicazione il regime risultante:
a) per un verso, dalla pronuncia additiva della Corte Costituzionale (sentenza n. 283 del 1993), là dove quest'ultima, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 bis della richiamata legge n. 359/1992, nella parte in cui non era previsto, in favore dei soggetti già espropriati al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina normativa concernente i criteri per la liquidazione dell'indennità di espropriazione di cui allo stesso art. 5 bis (semisomma del valore venale e del reddito dominicale rivalutato, ridotta del quaranta per cento) senza che l'indennità di esproprio fosse divenuta, a quella medesima data, incontestabile per esserne stata determinata in via definitiva l'entità, il diritto di accettare l'indennità determinata ai sensi del primo comma della disposizione sopra riportata così evitando la decurtazione del 40%, ha introdotto per i soggetti anzidetti la facoltà di sottrarsi all'indicata decurtazione attraverso l'accettazione appunto dell'indennità calcolata alla stregua di tali nuovi criteri, onde, qualora l'espropriante, dopo il decreto ablatorio, abbia offerto nel corso della procedura espropriativa iniziata prima dell'entrata in vigore del decreto legge n. 333 del 1992 (poi convertito nella già citata legge n. 359 del 1992) un'indennità determinata secondo i nuovi criteri e questa non venga accettata dagli espropriati, va applicata la riduzione del quaranta per cento;
b) per altro verso, dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha costantemente ritenuto che, affinché abbia ad operare il meccanismo di decurtazione dianzi riferito, non è tuttavia sufficiente il solo fatto che l'espropriante abbia avuto a formulare una nuova offerta di indennità calcolata sulla base dei sopravvenuti criteri normativi, ma è altresì necessario che quest'ultima, oltre che ragionevolmente tempestiva, sia altresì congrua, ovvero non si manifesti palesemente irrisoria, simbolica o, comunque, strumentalmente mirata ad ottenere l'abbattimento, così da garantire, e non elidere o vanificare, la facoltà di scelta del proprietario tra l'accettazione dell'indennità offerta, ancorché in misura (non eccessivamente) minore, ma esente da decurtazione ed il rischio della liquidazione giudiziale gravata dall'applicazione del criterio riduttivo (Cass. 16 marzo 2000, n. 3040;Cass. 21 febbraio 2001, n. 2498;Cass. 8 maggio 2001, n. 6361;Cass. 12 aprile 2002, n. 5263;Cass. 6 giugno 2003, n. 9097). Nella specie, quindi, del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di non dover operare "la decurtazione del 40% per la mancata accettazione dell'indennità offerta", atteso che una simile decisione, per un verso, sottende implicitamente, o comunque non contraddice, il riferimento al regime "transitorio" sopra illustrato, laddove, per altro verso, poggia su un apprezzamento il quale (rappresentato com'è dal rilievo che "il valore attribuito dal l'espropriante all'area, di indiscussa vocazione edificatoria, sia nella liquidazione provvisoria di L. 14.000 al mq. che in quella definitiva di L. 40.000 quale base di calcolo ai sensi dell'art. 5 bis della L. 359 del 1992 e quindi il valore effettivo di L. 24.000
al mq. è decisamente inferiore al valore di mercato indicato dal consulente di ufficio, oltre che a quello determinato nella...decisione della Corte n. 434 di L. 74.000 mq. passata in giudicato") va immune da censura siccome estrinsecato attraverso una motivazione che, anche in relazione a quanto osservato precedentemente, si palesa del tutto ragionevole (e, perciò, esente da vizi logico-giuridici), segnatamente per quel che concerne la riconosciuta "incongruità" dell'indennità offerta. Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato. Resta di conseguenza assorbito il ricorso incidentale, il quale è stato espressamente proposto in via condizionata, ovvero "per la subordinata e non temuta ipotesi di accoglimento, anche parziale, dell'avversa impugnativa".
La sorte delle spese del giudizio di cassazione, relativamente al rapporto tra il ricorrente principale ed i controricorrenti (ovvero al solo che viene in esame nel caso di specie, stante l'anzidetto assorbimento del ricorso incidentale condizionato), segue il criterio di cui al disposto dell'art. 385, primo comma, c.p.c., liquidandosi dette spese in euro 100,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per onorario, oltre il rimborso delle spese generali (nella misura forfettaria del dieci per cento sull'importo dell'onorario medesimo) e gli accessori (IVA e Cassa Previdenza Avvocati) dovuti per legge.