Cass. pen., sez. IV, sentenza 15/09/2022, n. 33999
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: GI AL nato a [...] il [...] avverso l'ordinanza del 12/05/2021 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTAudita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN;
letta la requisitoria scritta del Procuratore generale e le conclusioni formulate;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Caltanissetta, con ordinanza in data 12 maggio 2021, ha rigettato l'istanza formulata da ON GI per il riconoscimento dell'equa riparazione dovuta all'ingiusta detenzione subita in regime di custodia cautelare in carcere dal 11 settembre 2018 al 27 settembre 2018, data nella quale la misura custodiale era annullata dal Tribunale del riesame per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di ricettazione e detenzione di armi anche clandestine, dai cui l'interessato veniva assolto con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Caltanissetta, divenuta irrevocabile.
2. L'ordinanza ha ritenuto sussistente la colpa grave ostativa di cui all'art.314 cod. proc. pen., ravvisandola nella connivenza passiva tenuta da ON GI nei confronti del figlio, che aveva occultato le armi, dopo averle rubate, in una cassa di fave posta all'interno di un capanno ed in un serbatoio per carburante, entrambi siti nella campagna nella quale ON GI, ammesso a misura alternativa alla detenzione, era stato autorizzato dal Magistrato di sorveglianza a pernottare per dedicarsi alla raccolta delle mandorle. Il provvedimento spiega che l'indagine era nata dalla denuncia della compagna del figlio di ON GI, la quale aveva riferito ai Carabinieri di essere stata minacciata di morte dal convivente, dando l'avvio alle investigazioni, nell'ambito delle quali era state svolte le perquisizioni che avevano portato alla scoperta delle armi. Chiamata in causa dal figlio di GI, che l'accusava di avere partecipato con lui al furto, la donna aveva riferito di sapere che NT AR GI si era confidato con il padre, il quale lo aveva invitato a 'mettere la testa a posto'. Il tribunale del riesame, tenuto conto di siffatta dichiarazione, aveva annullato l'ordinanza cautelare sulla base della considerazione che la condotta di ON GI doveva inquadrarsi nella connivenza passiva. Siffatto comportamento, nondimeno, secondo il giudice della riparazione integra la condizione inibente il beneficio di cui all'art. 314 cod. proc. pen., posto che l'avere tollerato la consumazione del reato da parte del figlio, senza denunciarlo all'autorità ha ingenerato nel giudice della cautela il sospetto di correità, non essendo sufficiente ad escludere la colpa grave l'averlo richiamato a tenere un comportamento conforme alla legalità, stante la consapevolezza della commissione del reato.
3. Avverso l'ordinanza propone ricorso per cassazione ON GI, a mezzo del suo difensore, formulando un unico motivo.
4. Con la doglianza lamenta la violazione dell'art. 314 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità. Osserva che la stessa Corte territoriale, nel corpo del provvedimento, riconosce che l'elemento-ritenuto dal giudice della riparazione ostativo alla concessione dell'indennizzo e che ha condotto il tribunale per il riesame ad annullare l'ordinanza cautelare -cioè che ON GI avesse tenuto una condotta connivente nei confronti del figlio, non concorrendo nel reato- è emerso dopo la sua applicazione, sicché nulla può imputarsi al ricorrente in ordine alla sua adozione, fondata su meri sospetti. Assume che, comunque, l'ordinanza gravata non chiarisce -se non fondandosi su supposizioni- perché il comportamento connivente di ON GI possa considerarsi ostativo al riconoscimento dell'indennizzo, commettendo, peraltro, l'errore di ritenere che il medesimo fosse a conoscenza dell'occultamento delle armi. Ricorda che, in ogni caso, la connivenza passiva non è ostativa al riconoscimento dell'equa riparazione per ingiusta detenzione.
5. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.
6. Con memoria ritualmente depositata il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, o, in subordine, il suo rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Va preliminarmente osservato che il caso in esame non può configurarsi come ipotesi di ingiustizia formale, ai sensi dell'art. 314, comma 2 cod. proc. pen., perché l'annullamento dell'ordinanza applicativa della misura da parte del Tribunale del riesame non è intervenuto in quanto adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., ma per l'acquisizione di un elemento probatorio sopravvenuto rispetto al quadro indiziario rappresentato dal provvedimento originario, rilevante non ai fini della configurabilità dell'istituto, ma sotto il profilo dell'operatività del meccanismo di valutazione della colpa ostativa. Detto elemento è consistito nell'acquisizione delle dichiarazioni della compagna di NTo AR GI, secondo la quale il ricorrente ON GI avrebbe esortato il figlio, autore dei delitti, a 'mettere la testa a posto', ciò comprovando, da un lato, la conoscenza del delitto commesso dal figlio, dall'altro, la sua estraneità ai fatti.
3. Fatta questa precisazione occorre chiedersi se ed a quali condizioni la connivenza, posta dalla Corte territoriale alla base dei rigetto dell'istanza, possa costituire quella condotta gravemente colposa che l'ordinamento pone a limite del diritto all'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione.
4. Le pronunce del giudice di legittimità affermano, in modo del tutto consolidato, che la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell'indennità, può ravvisarsi anche in relazione ad un comportamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose;
2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell'agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempre che l'agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell'attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia;
3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell'agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell'attività criminosa dell'agente (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 4113 del 13/01/2021, Sanyang, Rv. 280391;
Sez. 3, n. 22060 del 23/01/2019, Diotallevi, Rv. 275970;
Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139 Sez. 4, n. 6878 del 17/11/2011, Cantarella, Rv. 252725;
Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008, Vottari, Rv. 242538;
Sez. 4, n. 40297 del 10/06/2008, Koci, Rv. 241325;
Sez. 4, n. 8993 del 2 15/01/2003, Lushay, Rv. 223688).
5. Si tratta, a ben vedere, di riflessi sulla valutazione della condotta connivente ai fini indennitari che esaltano aspetti diversi dell'atteggiamento passivo tollerante rispetto al reato. Il primo, riguarda l'espressione 'sociale' dell'indifferenza al reato commesso da altri, cui si assista o che si sappia che sarà commesso, rivelante l'assenza di umana solidarietà per la vittima, cui non si presta alcuna forma di assistenza, neppure in termini di sollecitazione dell'intervento dell'autorità al fine di interrompere l'azione delittuosa. Il secondo, invece, attiene alla facoltà non esercitata di impedire