Cass. civ., sez. I, sentenza 15/07/2004, n. 13106

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In tema di effetti del possesso di buona fede di titoli di credito, l'acquisto di azioni di nuova emissione non può considerarsi avvenuto "in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione", come prescrive l'art. 1994 cod. civ., allorché tali azioni siano state illegittimamente considerate non optate (nella specie, per la presunta estraneità alla compagine sociale di coloro che avevano effettuato richiesta di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, e che, invece, all'esercizio di questo diritto erano legittimati).

In tema di azioni di società, il compimento delle formalità previste dalla legge (artt. 2021 - 2023 cod. civ.: cosiddetto "transfert")- e tra esse, l'iscrizione nel libro dei soci - come necessarie per l'esercizio dei diritti sociali non è affidato ad un potere discrezionale della società, la quale è tenuta a dar corso ai relativi adempimenti, una volta verificata la conformità a diritto del trasferimento dei titoli. Ne consegue che, ove la società rifiuti il "transfert" richiesto dall'alienante o dall'acquirente, e il rifiuto si riveli "ab origine" illegittimo, la società medesima non può addurre tale rifiuto per paralizzare il legittimo esercizio dei diritti (tra cui quello di opzione, di cui all'art. 2441 cod. civ.) spettante all'acquirente dei titoli cui legalmente competeva la qualità di socio.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 15/07/2004, n. 13106
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13106
Data del deposito : 15 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. O G - Presidente -
Dott. C A - rel. Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. A M - Consigliere -
Dott. B G M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ORVEA - ORGANIZZAZIONE VENDITE ALIMENTARI SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, B A, B M, GENTILINI GIUSEPPE, C D, M D, T E, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE

Di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato R N, giusta procura a margine del ricorso;



- ricorrenti -


contro
V S, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, F S in persona n dell'Amministratore Unico pro tempore,, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA LAZIO

20, presso l'avvocato C C, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato E G, giusta procura in calce al controricorso;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 451/01 della Corte d'Appello di TRENTO, depositata il 24/12/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/01/2004 dal Consigliere Dott. Alessandro CRISCUOLO;

udito per 11 resistente, l'avvocato COGGIATTI che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA

Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 16 luglio 1989 VINIFIN s.p.a., FRAGIMA s.r.l. e F Llli convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Trento OR.VE.A. (Organizzazione Vendite Alimentari) s.p.a., esponendo:
- che il 21 luglio 1988 il Lunelli aveva ceduto a FRAGIMA cinque azioni facenti parte della propria quota di partecipazione al capitale di OR.VE.A. s.p.a. e che analoga operazione era stata eseguita da Emilio Orsingher il quale, in data 10 marzo 1987, aveva trasferito a

VINIFIN

3.354 azioni della medesima società convenuta;

- che OR.VE.A. aveva rifiutato l'iscrizione nel libro dei soci delle società cessionarie, sostenendo che le cessioni erano state effettuate in violazione dell'art. 5 dello statuto sociale, recante il divieto di trasferire le azioni a persona diversa dai soci;

- che tale clausola era in contrasto col principio della libera trasferibilità delle azioni, desumibile dall'art. 2355, terzo comma, cod. civile. Su tali premesse gli attori chiesero che il Tribunale, previo accertamento della nullità della citata clausola statutaria, condannasse la società convenuta ad iscrivere VINIFIN e FRAGIMA nel libro dei soci con decorrenza dalla data dei rispettivi atti di acquisto, anche ai fini del diritto alla liquidazione dei dividendi. OR.VE.A. s.p.a. si costituì per resistere alla domanda. Nel giudizio intervennero l'Orsingher e A B, entrambi soci della società convenuta. Mentre il primo, che aveva ceduto le azioni a VINIFIN, aderì alle domande spiegate dagli attori, il secondo formulò conclusioni identiche a quelle rassegnate dalla società OR.VE.A.
Il Tribunale, con sentenza del 3 giugno 1991, dichiarò la nullità della clausola statutaria e condannò la società convenuta ad iscrivere nel libro dei soci VINIFIN s.p.a., quale acquirente di n.

3.354 azioni già di Orsingher Emilio, a far data dal 16 luglio 1987, e FRAGIMA s. r. l, quale acquirente di n. 5 azioni già di F Llli, a far data dal 14 ottobre 1988.
OR.VE.A. s.p.a. e (in via incidentale) il Bertoldi impugnarono la sentenza, ma i gravami furono respinti dalla Corte di appello di Trento con decisione depositata il 21 febbraio 1994. Il successivo ricorso per cassazione proposto dalla suddetta società fu respinto da questa Corte con sentenza n. 10970 depositata il 10 dicembre 1996. Nel frattempo, con verbale del 20 marzo 1989, il consiglio di amministrazione di OR.VE.A. s.p.a. (a tanto delegato dall'assemblea straordinaria della medesima società in data 16 gennaio 1987), aveva deliberato l'aumento del capitale sociale da lire 575.950.000 a lire 900.000.00 mediante emissione di n. 32.405 azioni ordinarie del valore nominale di lire 10.000 (godimento 1 gennaio 1989), da offrire in opzione agli azionisti. VINIFIN e FRAGIMA avevano dichiarato di voler esercitare il relativo diritto, in relazione alle azioni OR.VE.A. da loro possedute, ma H consiglio è i amministrazione ai detta società aveva rifiutato di considerare correttamente esercitata l'opzione, ritenendo le istanti non legittimate, e provvedendo quindi ad assegnare le azioni di nuova emissione, rimaste (a suo avviso) non optate, ai soci che ne avevano fatto regolare richiesta. Definita la precedente controversia nei sensi sopra indicati, VINIFERI s.p.a. e FRAGIMA (ora anch'essa s.p.a.), con citazione notificata il 30 ottobre 1997 convennero in giudizio davanti al Tribunale di Trento la società OR.VE.A., nonché A B, M B, G G, D C, D M ed E T (cioè i soci ai quali le azioni, considerate senza opzione, erano state trasferite), chiedendo che fosse accertato il valido esercizio del diritto di opzione sulle azioni emesse in sede del menzionato aumento di capitale, che il negozio, in forza del quale OR.VE.A. s.p.a., in occasione dell'aumento di capitale, aveva trasferito ai soci indicati le azioni di nuova emissione fosse dichiarato nullo, che i soci fossero condannati a restituirle alla società, che quest'ultima fosse condannata ad attribuirle alle attrici, dietro pagamento del prezzo di emissione, e fosse condannata al pagamento dei dividendi maturati. In via subordinata proposero domanda di risarcimento dei danni.
Nel giudizio così instaurato i convenuti si costituirono, chiedendo il rigetto delle domande. Gli intestatari delle azioni addussero l'intervenuto acquisto per usucapione. Fu eccepita, altresì, la prescrizione in ordine alla domanda diretta ad ottenere il pagamento dei dividendi.
In corso di causa fu disposto il sequestro giudiziario delle azioni oggetto del giudizio.
Con sentenza n. 333, depositata il 23 marzo 2000, il Tribunale di Trento dichiarò nullo il negozio di trasferimento dalla società OR.VE.A. s.p.a. ai soci convenuti di n.

2.382 azioni di nuova emissione, sulle quali VINIFIN e FRAGIMA avevano esercitato l'opzione;
condannò, quindi, i soci convenuti a riconsegnare ad OR.VE.A. s.p.a. le azioni da ciascuno ottenute, nonché quest'ultima a trasferire immediatamente le azioni medesime a VINIFIN e FRAGIMA, contro pagamento dell'importo, rispettivamente, di lire 142.740.000 e di lire 180.000, provvedendo alla formale intestazioni dei titoli ed alle iscrizioni nel libro soci;
condannò OR.VE.A. s.p.a. a versare alle attrici le somme pari all'ammontare dei dividendi maturati e non conseguiti, in relazione alle azioni oggetto dell'opzione, e, segnatamente, lire 28.548.000 a VINIFIN e lire 36.000 a FRAGIMA, con rivalutazione e interessi;
respinse la domanda riconvenzionale di usucapione e le eccezioni di prescrizione formulate dai convenuti e condannò costoro al pagamento delle spese del giudizio. Con citazione del 26 settembre 2000 OR.VE.A. s.p.a., nonché A B, M B, G G, D C, D M ed E T proposero appello. VINIFIN s.p.a. e FRAGIMA s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p. t, si costituirono per resistere al gravame. La Corte di appello di Trento, con sentenza n. 451 depositata il 24 dicembre 2001, rigettò l'impugnazione e condannò gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
La Corte territoriale, richiamate le pronunzie emesse nel giudizio concluso con la sentenza di questa Corte n. 10970 del 1996, osservò che il contenuto di quel giudicato andava individuato nell'accertamento concernente l'illegittimità del rifiuto, opposto da OR.VE.A. s.p.a., all'iscrizione nel libro dei soci di VINIFIN e FRAGIMA, sicché OR.VE.A. non poteva opporre la presunta estraneità delle appellate alla compagine sociale a far tempo dalla prima richiesta d'iscrizione nel libro soci, in relazione a tutti i diritti conseguenti alla partecipazione alla società. La pronuncia di condanna all'iscrizione era considerata nella sentenza del Tribunale di Trento n. 425/1991 (poi confermata dalla Corte di appello e da questa Corte) come conseguente alla declaratoria di nullità e, quindi, costituiva semplice espressione del ripristino della legalità violata dall'atto nullo.
La Corte di merito proseguì osservando che, nella logica della sentenza n. 425 del 1991 (passata in giudicato), il ripristino della situazione legale, attraverso la "condanna" di OR.VE.A. all'iscrizione dell'acquisto operato da FRAGIMA e VINIFIN costituiva soltanto mero effetto della pronuncia dichiarativa di nullità e non era sorretta da alcuna autonoma ratio decidendi.
Pertanto gli effetti della sentenza stessa dovevano risalire al momento in cui l'atto nullo era stato posto in essere e non a quello della pronunzia o, peggio, del passaggio in giudicato di essa. In ogni caso, l'accertata nullità della clausola faceva venir meno la legittimità del rifiuto d'iscrizione nel libro soci ed imponeva alla società appellante di ripristinare ex tunc lo status di socio spettante alle due società, sia con riferimento alle azioni ab origine acquistate da queste ultime (e considerate dal Tribunale in modo espresso), sia in relazione alla posizione di socio comunque acquisita anche successivamente.
Nè giovava invocare il fatto che, in base alla clausola statutaria, gli amministratori di OR.VE.A. non potessero operare diversamente, perché la detta clausola (considerata ostativa all'iscrizione dell'appellata nel libro dei soci) era stata dichiarata nulla e perciò non invocabile da alcuno, soprattutto dagli amministratori che avevano l'obbligo di non dare esecuzione a delibere invalide e di non procedere al compimento di atti sulla base di clausole statutarie mille.
Invero, la declaratoria di nullità della clausola statutaria faceva venir meno ogni efficacia degli atti conseguenti, cioè sia di quelli con i quali si era rifiutata l'iscrizione del primo acquisto, sia di quelli (datati 25 luglio 1989) con i quali non si era dato corso all'iscrizione a libro soci del secondo acquisto (dalla socia Scrinzi). E si doveva aggiungere che la richiesta di sottoscrizione della quota parte delle azioni di nuova emissione, con invio del denaro occorrente, era pervenuta ad OR.VE.A. dalle due società appellate tra il 20 e il 24 luglio 1989, quando ancora non era scaduto il termine per la sottoscrizione dell'aumento di capitale, fissato al 30 agosto 1989.
Così ricostruita l'efficacia del giudicato, la Corte distrettuale ritenne irrilevanti, ai fini del presente giudizio, i precedenti richiamati dagli appellanti ed aggiunse, quanto alla posizione dei soci cui le azioni di nuova emissione erano state attribuite, che il loro diritto di opzione era stato esercitato in violazione dei diritti delle appellate.
La Corte di appello, poi, considerò fondata anche la domanda diretta ad ottenere il pagamento dei dividendi, respingendo l'eccezione di prescrizione sul rilievo che la declaratoria di nullità, ancorché retroattiva, non aveva però l'effetto di consentire l'esercizio dei diritti patrimoniali derivanti dal possesso delle azioni fin dal tempo in cui era stata chiesta l'iscrizione nel libro dei soci, in quanto soltanto l'accertamento giudiziale aveva consentito il detto esercizio, sicché la prescrizione, ai sensi dell'art. 2935 cod. civ., poteva decorrere solo dal momento in cui i diritti potevano
essere esercitati e quindi, nella specie, solo dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva dichiarato la nullità della clausola statutaria e disposto l'iscrizione nel libro dei soci. Contro la detta sentenza OR.VE.A. - Organizzazione Vendite Alimentari - s.p.a., in persona del presidente del consiglio di amministrazione A B, con sede in Trento, nonché A B, M B, G G, D C, D M ed E T hanno proposto ricorso per Cassazione, affidato a sette motivi.
VINIFIN s.p.a. e FRAGIMA s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, hanno resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di cassazione i ricorrenti denunziano "violazione di legge (art. 360, n. 3, c.p.c.) con riferimento alle disposizioni in materia di nullità dei contratti (artt. 1418 c.c. e ss.) e di effetti del giudicato di precedenti statuizioni (art. 2909 c.c.). La Corte di merito avrebbe ritenuto la pronuncia di condanna. all'iscrizione, contenuta nella sentenza n. 425 del 1991, come consequenziale alla declaratoria di nullità e, quindi, costituente semplice espressione del ripristino della legalità violata dall'atto nullo, mero effetto della pronunzia dichiarativa di nullità. Su questa base avrebbe fatto risalire gli effetti della sentenza al momento stesso dell'atto nullo e non al momento della pronuncia o a quello del passaggio in giudicato della sentenza stessa. Così statuendo la Corte distrettuale avrebbe violato i principi sull'interpretazione dei limiti del giudicato, nonché la disciplina in materia di nullità, trascurando di considerare la differenza e, comunque, l'autonomia tra azione di accertamento detta nullità e quella "diretta a ripristinare la legalità violata", costituita (nello specifico) dalla domanda volta ad ottenere la condanna all'iscrizione nel libro soci delle società che avevano promosso l'azione.
Il semplice esame della sentenza n. 425 del 1991, le conclusioni assunte dalle attrici, la motivazione sul punto, l'indiscutibile autonomia e separazione dei capi della sentenza dimostrerebbero l'erroneità della tesi fatta propria dai giudici del merito. Al riguardo, andrebbe anche richiamato, sull'autonomia delle diverse azioni, il disposto dell'art. 1422 c.c., nella parte in cui stabilisce la imprescrittibilità dell'azione di nullità, "salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione".
In più occasione questa Corte avrebbe ritenuto esperibili, accanto all'azione di nullità, le azioni di ripetizione e quelle di rivendica, con ciò dimostrando l'inconferenza della tesi della Corte trentina, secondo cui la condanna all'iscrizione nel libro dei soci sarebbe una semplice conseguenza "necessaria" e non un'autonoma statuizione.
La Corte di appello avrebbe tratto erronee conseguenze dall'affermazione secondo cui la pronuncia di condanna all'iscrizione sarebbe espressamente considerata nella sentenza del Tribunale di Trento, trascurando di esaminare la motivazione della stessa sentenza, nella parte in cui il detto Tribunale aveva ritenuto che la condanna di OR.VE.A. all'iscrizione potesse "essere espletata attraverso l'intervento sostitutivo di soggetto diverso dagli organi societari preposti e quindi suscettibile di esecuzione forzata (art. 2931 c.c. e 612 c.p.c.)".
Pertanto la condanna al facere contenuta nella sentenza del Tribunale, e rappresentata dall'iscrizione nel libro dei soci, non avrebbe potuto ne' logicamente ne' giuridicamente precedere la data di deposito in cancelleria della sentenza (3 giugno 1991) e, quindi, avrebbe data successiva alle operazioni di aumento del capitale e al conseguente presunto esercizio del diritto di opzione in questa sede vantato dalle attrici.
I ricorrenti, dunque, avrebbero validamente esercitato il diritto di prelazione sulle azioni considerate non optate, a prescindere dagli effetti della nullità della norma statutaria.
Le censure suddette non hanno fondamento.
Nella narrativa dello stesso ricorso per Cassazione (pag. 2) si legge che il Tribunale di Trento, con sentenza n. 425/1991 (passata in giudicato a seguito della sentenza di questa Corte n. 10970 del 1996), dichiarò la nullità dell'art. 5, ultimo comma, dello statuto di OR.VE.A. s.p.a., nella parte in cui stabiliva che le azioni potevano essere trasferite soltanto tra soci e condannò la medesima società OR.VE.A. ad iscrivere nel libro dei soci VINIFIN s.p.a., quale acquirente di n. 3354 azioni già di Orsingher Emilio, a far data dal 16 luglio 1987, e FRAGIMA s.r.l., quale acquirente di n. 5 azioni già di F Llli, a far data dal 14 ottobre 1988. Come si vede, dunque, proprio la sentenza del Tribunale pronunciata nel precedente giudizio (e passata in giudicato) stabili in modo espresso le date dalle quali dovevano decorrere le iscrizioni delle società, acquirenti dei titoli, nel libro dei soci, con conseguente acquisto da tali date della qualità di socie e dei correlati diritti sociali, sicché ogni questione al riguardo è preclusa. Già questo rilievo è sufficiente per respingere la tesi propugnata dai ricorrenti, secondo cui la condanna al facere (costituita dall'iscrizione nel libro dei soci) non avrebbe potuto precedere la data del deposito in cancelleria della sentenza, avvenuta il 3 giugno 1991, perché il contrario risulta appunto dalla citata sentenza. Ma si deve aggiungere che quella statuizione è conforme al principio in forza del quale la pronunzia di nullità del contratto (o di una sua clausola) ha natura dichiarativa ed efficacia retroattiva, in quanto accerta l'esistenza di un vizio originale ed intrinseco all'atto (nella specie, contrasto della clausola statutaria de qua con la regola essenziale della libera possibilità di circolazione delle partecipazioni societarie, specialmente nelle società per azioni con ristretta base azionaria: cfr. Cass., 10 dicembre 1996, n. 10970). Pertanto la condanna all'iscrizione di VINIFIN e FRAGIMA nel libro soci con decorrenza dalle date indicate dal Tribunale era consequenziale a quell'accertamento.
In questo quadro: a) non è esatto che l'azione diretta all'accertamento della nullità della clausola e quella volta ad ottenere la condanna di OR.VE.A. ad iscrivere le attrici nel libro soci fossero del tutto autonome, perché la prima costituiva in realtà l'antecedente logico necessario della seconda;
b) il richiamo all'art. 1422 c.c. non è pertinente, perché detta norma - nello stabilire che razione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione - sottrae a tale regola gli effetti dell'usucapione e la prescrizione delle azioni di ripetizione, cioè esclude che non si prescrivano anche i diritti relativi ai rapporti sui quali Tatto nullo avrebbe dovuto incidere, ma non postula certo l'autonomia tra domande legate invece da un palese nesso di dipendenza e, soprattutto, non impedisce il riconoscimento dei diritti che Tatto nullo aveva negato;
c) del pari non pertinente è il richiamo all'affermazione del Tribunale, secondo cui la condanna all'iscrizione poteva "essere espletata attraverso l'intervento sostitutivo di soggetto diverso dagli organi societari preposti e quindi suscettibile di esecuzione forzata (art. 2931 c.c. e 612 c.p.c.)", perché questo è profilo concernente l'esecuzione della
pronunzia, senza alcuna incidenza sulla decorrenza degli effetti della medesima.
Conclusivamente, il primo motivo deve essere respinto. Col secondo mezzo di cassazione i ricorrenti denunziano violazione di legge (art. 360, n. 3, c.p.c.) con riferimento alle disposizioni in materia di efficacia soggettiva del giudicato di cui all'art. 2909 c.c.;
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto
decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.). La sentenza impugnata avrebbe erroneamente esteso i limiti dei giudicato a soggetti estranei al giudizio avente per oggetto la nullità della clausola statutaria che consentiva il trasferimento delle azioni soltanto tra soci, in contrasto col dettato dell'art. 2909 c.c., alla stregua del quale l'accertamento contenuto nella
sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.
Nel giudizio concernente la nullità della norma statutaria il giudice non avrebbe ritenuto necessaria la presenza dei soci fondatori, ai quali peraltro non potrebbe essere "eccepita" là statuizione adottata in loro assenza, in particolare alla luce delle disastrose conseguenze costituite dalla nullità derivata del contratto avente per oggetto l'acquisto di azioni risultate non optate.
In pratica i giudici del merito avrebbero considerato nullo un negozio giuridico concluso dai soci sul presupposto della mera esistenza di un precedente giudizio di nullità al quale gli stessi non avevano partecipato.
La censura non ha fondamento.
È indubbio che la sentenza del Tribunale di Trento n. 425 dei 1991 abbia acquistato efficacia di giudicato nei rapporti tra OR.VE.A. s.p.a., da una parte, VINIFIN e FRAGIMA dall'altra, F Llli, Emilio Orsingher e A B dall'altra ancora. Invero i predetti soggetti furono parti nel giudizio in cui fu emessa la sentenza citata, giudizio poi concluso con la sentenza di questa Corte n. 10970 del 1996. È certo, altresì, che gli effetti di quella statuizione vanno fatti risalire alle date in essa indicate, alla stregua delle considerazioni svolte trattando del primo motivo.
Ne deriva che i soci - ai quali in epoca ben successiva a quelle date furono assegnate le azioni, a seguito del rifiuto opposto da OR.VE.A. (illegittimo perché basato su una clausola statutaria nulla) di considerare bene esercitato il diritto di opzione da parte di VINIFIN e FRAGIMA - acquistarono in modo non valido, perché invalido era Tatto di assegnazione operato dalla loro dante causa sul presupposto che le azioni de quibus non avessero formato oggetto di opzione. Si doveva, dunque, prendere atto della nullità del loro acquisto, siccome conseguente ad atti (posti in essere dalla dante causa OR.VE.A.) a loro volta nulli.
Tanto ha statuito, con congrua motivazione, la sentenza impugnata e tale pronunzia si sottrae alla censura mossa dai ricorrenti. Costoro, col terzo mezzo di cassazione, denunziano violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento alle disposizioni in materia di esercizio dei diritti inerenti alla qualifica di socio di cui agli artt. 2021 e segg. c.c.;
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.). VINIFIN e FRAGIMA, all'epoca dell'aumento del capitale sociale, non si sarebbero potute considerare legittimate all'esercizio dei diritti connessi alla qualifica di socio, in difetto dell'iscrizione nei registri dell'emittente, come previsto dagli artt. 2021 e ss. c.c.. Nella specie dovrebbero trovare applicazione le precedenti pronunzie di questa Corte, alla stregua delle quali "la qualità di socio, nel rapporto con società per azioni, anche al fine della legittimazione con riguardo alle controversie inerenti al rapporto stesso, va individuata esclusivamente sulla base delle indicazioni del libro dei soci, senza che rilevi l'eventuale vendita dei titoli azionali a terzi, in considerazione dell'inopponibilità del relativo atto alla società medesima prima del perfezionarsi del c.d. transfert con la iscrizione nel suddetto libro" (Cass., n. 4647/1989). Invero, in difetto del "transfert", l'efficacia del trasferimento potrebbe riferirsi soltanto ai rapporti tra venditori e acquirenti. Il comportamento degli amministratori della società sarebbe, dunque, giustificato, perché essi - in assenza non solo di iscrizione a libro soci, ma addirittura di una pronunzia in merito alla dedotta nullità della norma statutaria (vietante la vendita a non soci) - avrebbero considerato titolari delle azioni i soci originali e non i pretesi acquirenti, correttamente ritenendo non optate le azioni poi distribuite agli attuali ricorrenti.
Diversamente argomentando, sarebbe rimasto violato il disposto dell'art. 2022 c.c., mentre la dichiarata nullità della clausola non inciderebbe sulla circostanza di fatto che riscrizione sia avvenuta dopo l'aumento del capitale sociale.
In sostanza i diritti conseguenti alla posizione di azionista potrebbero decorrere solo dall'iscrizione dette due società nel libro dei soci.
Quanto sopra sarebbe giustificato in base ad una corretta interpretazione degli arti. 2021 e ss. c.c.;
inoltre, "a maggior ragione la sentenza del Tribunale non può che ritenersi erronea per quanto attiene l'esercizio del diritto di opzione relativo alle n. 875 azioni acquistate da VINIFIN s.p.a. nei confronti di Scrinzi Bruna il 12.7.1989, in ordine alle quali non è mai stata pacificamente formulata alcuna specifica domanda ne', tanto meno, alcun giudice ha mai statuito alcunché" (ricorso per Cassazione, pag. 12).
Quest'ultima censura (concernente le azioni acquistate dalla Scrinzi) è inammissibile in questa sede, perché risulta diretta contro la sentenza del Tribunale. H motivo, comunque, è nel suo complesso infondato.
Infatti, è vero che il possessore di un titolo nominativo è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato per effetto dell'intestazione a suo favore contenuta nel titolo e nel registro dell'emittente (art. 2021 c.c.) e che, in tema di società per azioni, le formalità previste dalla legge (artt. 2021 - 2023 cod. civ.: c.d. "transfert") sono necessarie per l'acquisto della
legittimazione all'esercizio dei diritti sociali (mentre per l'acquisto della proprietà del titolo è sufficiente il consenso delle parti legittimamente manifestato: Cass., 5 settembre 1995, n. 9314). Al riguardo si deve però osservare che, se tali formalità - e, tra esse, l'iscrizione nel libro dei soci - sono necessarie per l'esercizio dei diritti sociali, è anche vero che il loro compimento non è affidato certo ad un potere discrezionale della società. Questa deve dare corso ai relativi adempimenti, una volta verificata la conformità a diritto del trasferimento dei titoli. Con la conseguenza che, se la società rifiuti il "transfert" richiesto dall'alienante o dall'acquirente, e il rifiuto si riveli ab origine illegittimo, la società medesima non può addurre tale rifiuto per paralizzare il legittimo esercizio dei diritti spettante all'acquirente dei titoli cui legalmente competeva la qualità di socio.
Nel caso di specie la legittimità originaria della richiesta d'iscrizione, avanzata dalle attuali resistenti, fu accertata dal Tribunale di Trento con la ricordata sentenza n. 425 del 1991 che, dopo aver dichiarato la nullità dell'art. 5 (ult. comma) dello statuto di OR.VE.A. (sul quale il rifiuto d'iscrizione era stato basato), condannò detta società ad iscrivere VINIFIN e FRAGIMA nel libro soci con le decorrenze nella pronuncia indicate, riferite a date anteriori a quella nella quale il consiglio di amministrazione di OR.VE.A. deliberò l'aumento di capitale mediante emissione delle azioni poi offerte in opzione agli azionisti.
In questo contesto, e in presenza del giudicato formatosi sulla statuizione del Tribunale, la sentenza impugnata non è incorsa in alcuna violazione degli artt. 2021 e ss. c.c., appunto perché i ricorrenti non possono invocare tali disposizioni dopo che proprio OR.VE.A. s.p.a. aveva illegittimamente rifiutato il "transfert". Nè può condividersi la tesi secondo cui i diritti conseguenti atte posizioni di azionista potevano decorrere soltanto dalle iscrizioni delle resistenti nel libro soci (iscrizioni disposte nel 1997: v. ricorso per Cassazione, pag. 3), perché questa tesi è in contrasto con la citata pronunzia del Tribunale e con l'effetto retroattivo proprio di essa (v. le considerazioni svolte a proposito del primo motivo).
Infine, non sussistono i vizi di motivazione (allegati, peraltro, in modo del tutto generico), perché la sentenza impugnata - facendo leva sull'accettata nullità della clausola e sulla conseguente illegittimità del rifiuto d'iscrizione nel libro soci (che imponeva ad OR.VE.A. di ripristinare ex tunc lo status di socio spettante alle attuali resistenti) - ha dato conto in forma concisa ma chiara delle ragioni della decisione.
Col quarto mezzo di cassazione i ricorrenti denunziano violazione di legge con riferimento alle disposizioni in materia di nullità del negozio di trasferimento delle azioni non optate, a norma degli artt. 1418 e ss. c.c. e delle disposizioni in materia di efficacia nei
confronti dei terzi (art. 1994 c.c.), nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo. Sostengono che, pur volendo riconoscere valido il contestato esercizio del diritto di opzione da parte di VINIFIN e FRAGIMA, la sentenza impugnata resterebbe censurabile.
Infatti, nel caso di specie non si riuscirebbe ad identificare alcun profilo di nullità nel successivo ed autonomo negozio di trasferimento di nuove azioni, avvenuto tra OR.VE.A. ed alcuni soci della stessa società.
Nè sarebbe sostenibile che la nullità della clausola statutaria potesse influenzare la legittimità del contratto avente ad oggetto azioni di nuova emissione, rendendolo nullo. Del pari non sarebbe sostenibile l'estensione della nullità nei confronti degli acquirenti delle azioni, in forza dell'art. 1994 cod. civile. In realtà gli acquirenti delle azioni, attuali ricorrenti, dovrebbero considerarsi terzi rispetto alla vertenza promossa da VINIFIN e FRAGIMA nei confronti di OR.VE.A.. Inoltre, essi avrebbero acquistato in buona fede il possesso dei titoli, non essendo a conoscenza di tale vertenza ne' delle ulteriori vicende relative all'esercizio del diritto di opzione. All'epoca non sarebbe stato assunto alcun provvedimento e, comunque, la loro posizione sarebbe legittima ai sensi dell'art. 2021 c.c. e stante la mancata iscrizione nel libro dei soci delle attuali resistenti.
Pertanto, nella corretta applicazione della menzionata disciplina, la condanna alla restituzione delle azioni, da intendere come rivendica, non avrebbe dovuto essere disposta. Sui punti suddetti i giudici del merito non avrebbero assunto posizione, sicché la sentenza impugnata risulterebbe viziata anche sotto il profilo della sufficienza di motivazione.
Neppure questo motivo è fondato.
Richiamate le considerazioni in precedenza svolte (in particolare, trattando del primo e del secondo mezzo), si deve qui ancora osservare che la declaratoria di nullità della clausola statutaria (con effetto di giudicato) spiega efficacia anche nei confronti dei soci attuali ricorrenti, perché incide su una clausola dell'atto organizzativo del sodalizio di cui essi erano partecipi, contenente le norme relative al funzionamento della società e parte integrante dell'atto costitutivo cui va allegato (art. 2328, ultima parte, c.c.).
E ad analoghe considerazioni deve giungersi in ordine alla pronunzia di condanna all'iscrizione con le relative decorrenze perché, come prima si è chiarito, essa non è autonoma rispetto alla statuizione di nullità della clausola, ma è a questa legata da uno stretto vincolo di derivazione - dipendenza. Contrariamente a quanto assumono i ricorrenti, poi, anche il successivo negozio di trasferimento delle azioni di nuova emissione non è autonomo. Esso, infatti, fu compiuto sul presupposto (rivelatosi contra legem che VINIFIN e FRAGIMA non avessero correttamente esercitato il diritto di opzione "per difetto di legittimazione e comunque per erronee modalità di pagamento" (ricorso per cassazione, pag. 3-4).
Orbene, quanto alle (asserite) erronee modalità di pagamento, la Corte distrettuale ha posto in luce "che la richiesta di sottoscrizione della quota parte di aumento, con relativo invio del denaro occorrente è pervenuta alla ORVEA da parte delle due società tra il 20 e il 24 luglio 1989 (v. documentazione in atti) quando ancora non era scaduto il termine per la sottoscrizione del capitale fissato, dalla delibera consiliare del 20 marzo 1989, al 30 agosto 1989" (sentenza impugnata, pag. 9). E questo puntuale accertamento di fatto prevale sulla generica asserzione di segno contrario allegata dai ricorrenti.
Quanto al preteso difetto di legittimazione, è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte, dalle quali si desume che VINIFIN e FRAGIMA sono socie di OR.VE.A. s.p.a. a far tempo dalle date indicate nella sentenza n. 425 del 1991, sicché spettava loro l'esercizio del diritto di cui all'art. 2441 c.c., illegittimamente rifiutato dalla società attuale ricorrente. Ne deriva: a) che il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 8592 del 1997 non è pertinente, perché quella sentenza concerne una fattispecie diversa (imperniata sul modo di operare e sugli effetti di un principio di diritto, enunciato in sede di legittimità, che aveva affermato la scindibilità dell'atto deliberativo, formalmente unico ma composto in sostanza da tre differenti delibere, delle quali due giudicate valide e la terza nulla);
b) che i soci acquirenti delle azioni di nuova emissione non possono essere considerati terzi nei confronti della causa proposta da VINIFIN e FRAGIMA ne confronti di OR.VE.A., perché tale posizione non è compatibile con quella di soci di quest'ultima società e aventi causa dalla medesima;
c) che i ricorrenti non possono invocare l'art. 1994 c.c., in quanto non può considerarsi avvenuto "in conformità alle norme che ne disciplinano la circolazione" l'acquisto di azioni di nuova emissione illegittimamente considerate non optate mentre sarebbero spettate in opzione ad altri soci cui il relativo diritto competeva. Di qui il rigetto del quarto motivo.
Col quinto mezzo di cassazione i ricorrenti denunziano violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento all'art. 2392 c.c. e alle disposizioni in tema di mandato;
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.). La Corte distrettuale avrebbe ritenuto erroneamente che gli amministratori avessero agito in modo non corretto, omettendo di attribuire a VINIFIN e a FRAGIMA il diritto di opzione. Invece il consiglio di amministrazione, considerando non regolarmente optate le azioni dei soci Orsingher e Lunelli non avrebbe violato alcuna disposizione di legge;
al contrario, avrebbe serbato un comportamento dovuto ai sensi dell'art. 2392 c.c. All'epoca dell'aumento di capitale non vi sarebbe stata alcuna sentenza che confermasse la nullità dello statuto in punto di trasferimento delle azioni tra non soci, sicché, in base allo statuto medesimo, gli amministratori avrebbero rifiutato in modo corretto l'iscrizione delle due società nel libro dei soci e, in assenza di tale iscrizione, in modo altrettanto corretto gli stessi amministratori avrebbero ritenuto non optate le azioni spettanti ai soci Orsingher e Lunelli.
Pertanto l'attribuzione delle azioni non optate agli altri soci che e avevano fatto tempestiva richiesta sarebbe stata doverosa. Altrimenti gli amministratori avrebbero agito in palese violazione della legge sia quanto all'esercizio dei diritti sociali, sia in ordine all'obbligo di osservare lo statuto.
Anche sotto tale profilo la Corte trentina non avrebbe fornito alcuna motivazione.
Con il sesto motivo i ricorrente adducono violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento alle norme relative alle
responsabilità degli amministratori nei confronti della società e dei soci (artt. 2392, 2393, 2395 c.c.), nonché vizi di motivazione su punto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.). La Corte di appello avrebbe ritenuto che, a seguito dell'accertamento della nullità della clausola statutaria, gli amministratori avrebbero avuto l'obbligo di non dare esecuzione a delibere invalide. Così opinando, essa avrebbe tratto erronee conseguenze dall'asserita violazione dei doveri spettanti agli amministratori. VINIFIN e FRAGIMA non avrebbero proposto le azioni di cui agli artt. 2392, 2393 e 2395 c.c., mentre la sanzione della "nullità" per l'acquisto delle azioni sarebbe illegittima.
I due motivi che, essendo tra loro connessi, devono formare oggetto di esame congiunto, non sono fondati.
I ricorrenti insistono nel trascurare l'effetto di retroazione connesso sia alla pronunzia di condanna ad iscrivere VINIFIN e FRAGIMA nel libro dei soci (con le decorrenze indicate), contenuta nella sentenza del Tribunale di Trento n. 425 del 1991, sia (più in generale) alla declaratoria di nullità della clausola statutaria. È quell'effetto che oggettivamente produce le conseguenze sulle quali la sentenza impugnata ha correttamente posto l'accento. Se esso fosse inoperante, il principio di effettività della tutela giurisdizionale nel caso in esame sarebbe vanificato.
Per il resto, il richiamo alle azioni di responsabilità (artt. 2392, 2393, 2395 c.c.) ed ai doveri degli amministratori non è pertinente in questa sede, nella quale non erano in discussione i profili soggettivi del comportamento degli amministratori medesimi, bensì l'accertamento della nullità del trasferimento delle azioni ritenute non oggetto di opzione e le consequenziali pronunzie restitutorie e di pagamento.
Con il settimo motivo i ricorrenti denunziano violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento all'art. 2949 c.c. ed alle ulteriori disposizioni in materia di decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c. e di prescrizione delle azioni di ripetizione ex art. 1422 c.c., nonché vizi di motivazione su punto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Essi lamentano che sia stata respinta l'eccezione con cui era stata addotta la prescrizione quinquennale (ex art. 2949 c.c.) del diritto al pagamento dei dividendi maturati e non conseguiti per gli esercizi 1989/1994.
La Corte di appello avrebbe respinto tale eccezione ritenendo che la "declaratoria di nullità non aveva l'effetto di rendere esercitabili i diritti patrimoniali derivanti dai possesso azionario", in quanto "solo l'accertamento giudiziale ha reso esercitabili i diritti conseguenti, sicché il diritto al dividendo poteva in concreto essere esercitato "solo dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la nullità della clausola statutaria e disposto la iscrizione nel libro soci".
Detta pronunzia avrebbe violato la disciplina in materia di decorrenza della prescrizione.
Infatti, non sarebbe corretto sostenere che la pendenza della precedente causa avesse impedito la decorrenza della prescrizione, in quanto ciò contrasterebbe con raffermata retroattività della pronunzia di nullità e con il principio (già ricordato) in materia di imprescrittibilità dell'azione di nullità con espressa salvezza "degli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione", come disposto dall'art. 1422 c.c.. Sarebbe evidente, dunque, l'erroneità della pronunzia che avrebbe ritenuto l'applicabilità (recte: la non applicabilità) della eccepita prescrizione per decorso del termine quinquennale stabilito dall'art. 2949 c.c.. Infine, la Corte trentina non avrebbe considerato - e, quindi, avrebbe omesso di motivare sul punto - l'ulteriore eccezione secondo cui non sarebbe ravvisabile alcun comportamento doloso o colposo riferibile ad OR.VE.A. a giustificazione della condanna al pagamento dei dividendi richiesti.
Neppure tale motivo è fondato.
In primo luogo, si deve osservare che, ai sensi dell'art. 1422 c.c., l'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.
Come già si è notato, il significato di tale precetto normativo è che, mentre l'azione diretta a far dichiarare la nullità non si prescrive (il punto relativo all'usucapione non è più discusso in questa sede), restano invece soggetti a prescrizione i diritti nascenti da altri rapporti sui quali il negozio nullo avrebbe inciso. Ciò, però, non vuoi dire che il citato disposto normativo non debba essere coordinato con le altre norme dell'ordinamento e, segnatamente, con quelle dettate in tema di prescrizione e di sua decorrenza.
Nel caso in esame la sentenza impugnata ha ritenuto che "la declaratoria di nullità (con gli effetti retroattivi più volte indicati) non aveva, però, l'effetto di rendere esercitabili i diritti patrimoniali derivanti dal possesso azionario dal tempo in cui è - stata domandata riscrizione a libro soci;
solo l'accertamento giudiziale ha reso esercitatoli i diritti conseguenti all'acquisto. La prescrizione decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., solo dal momento in cui i diritti sono concretamente esercitabili e quindi, nella specie, solo dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la nullità della clausola statutaria e disposto la iscrizione nel libro soci" (sentenza impugnata, pag. 11-12).
Come è reso palese dal richiamo (espresso) all'accertamento giudiziale e all'art. 2935 c.c. (alla stregua del quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"), la Corte territoriale ha inteso affermare il principio che soltanto col passaggio in giudicato della sentenza n. 425 del 1991 il diritto al pagamento dei dividendi poteva essere fatto valere, perché prima era necessario accertare la nullità della clausola ed ottenere l'iscrizione di VINIFIN e FRAGIMA nel libro dei soci, avendo tali pronunzie carattere di pregiudizialità non soltanto logica ma tecnico-giuridica. In altre parole, ha ritenuto che, prima del passaggio in giudicato della menzionata sentenza del Tribunale di Trento, sussistesse un impedimento di ordine giuridico (e non di mero fatto) a far valere il diritto al pagamento dei dividendi. E poiché non è contestato che la sentenza n. 425 del 1991 sia passata in giudicato nel 1996 (col deposito della sentenza di questa Corte n. 10970 del 1996), mentre il presente giudizio fu promosso nel 1997 (quindi ben prima del decorso del quinquennio), la Corte territoriale ha ritenuto non fondata l'eccezione di prescrizione.
Orbene, il suddetto principio non è stato censurato dai ricorrenti, i quali invece hanno sostenuto che non sarebbe corretto affermare che la pendenza della causa precedente abbia impedito il decorso della prescrizione, perché ciò contrasterebbe con l'assunta retroattività della pronuncia di nullità e col disposto dell'art. 1422 c.c.. Ma già si è chiarito il significato di quest'ultima
norma, mentre il preteso contrasto non sussiste, perché - una volta ritenuto (secondo la pronuncia della Corte distrettuale in parte qua non censurata) che, prima della formazione del giudicato sull'accertamento contenuto nella sentenza n. 425 del 1991, sussisteva un impedimento di carattere giuridico ad agire per il pagamento dei dividendi - il decisum della Corte stessa trova fondamento in una specifica norma dettata nella disciplina della prescrizione (per l'appunto, l'art. 2935 c.c.), che non contrasta ed anzi va coordinata con i principi in ordine alla retroattività della pronuncia di nullità.
Infine, il rilievo secondo cui la sentenza impugnata non avrebbe considerato l'ulteriore eccezione, alla stregua della quale non risulterebbe ravvisabile alcun comportamento doloso o colposo riferibile ad OR.VE.A., a giustificazione della condanna al pagamento dei richiesti dividendi (ricorso per Cassazione, pag. 19), non ha fondamento, nei termini generici in cui è stato formulato. Infatti, la condanna al pagamento dei dividendi maturati e non conseguiti, in relazione alle azioni oggetto dell'opzione, risulta consequenziale all'accertamento che VINIFIN e FRAGIMA avevano validamente esercitato il diritto di opzione, loro spettante quali socie, in relazione al deliberato aumento del capitale sociale. Conclusivamente, il ricorso si rivela infondato e, perciò, deve essere respinto.
Per il principio della soccombenza i ricorrenti, in solido, vanno condannati al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

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