Cass. pen., sez. I, sentenza 03/03/2023, n. 09172

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 03/03/2023, n. 09172
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09172
Data del deposito : 3 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso straordinario proposto da: CUCCIO GUSEPPE nato a MARINA DI GOIOSA IONICA il 12/04/1966 avverso la sentenza del 23/09/2021 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMAudita la relazione svolta dal Consigliere C R;
sentite le conclusioni del PG MARCO DALL'OLIO, che chiede l'inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori avvocato M U quale sostituto processuale dell'avvocato MORABITO GUSEPPE del foro di REGGO CALABRIA in difesa della parte civile CITTA' METROPOLITANA DI REGGO CALABRIA, come da delega depositata in udienza, che chiede il rigetto del ricorso, deposita le conclusioni e la nota spese, e l'avvocato N V del foro di LOCRI in difesa di CUCCIO GUSEPPE, che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23 settembre 2021, dep. 2022, n. 2640, la Corte di Cassazione, Quinta sezione penale, ha accolto solo parzialmente il ricorso di G C contro la sentenza dell'8 giugno 2020 della Corte di appello di Reggio Calabria che lo aveva condannato a 20 anni di reclusione per i reati associativi di cui ai capi 1 e 30, per i reati di illecita detenzione di armi di cui ai capi 16-19 (in quest'ultimo assorbito il primo), e per i reati di cui ai capi 27 e 29. In particolare, per ciò che rileva ai fini di questo giudizio, la pronuncia n. 2640 del 2022 ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso presentato da C, in cui lo stesso deduceva la inutilizzabilità nei suoi confronti degli atti di indagine effettuati tra il 12 settembre 2012 ed il 10 febbraio 2016, affermando che gli stessi erano coperti da un precedente decreto di archiviazione, emesso nei confronti del ricorrente per la ipotesi di reato dell'art. 416-bis cod. pen. /non seguito da richiesta di riapertura indagini.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso straordinario/ex art. 625-bis cod. proc. pen., l'imputato, che con unico motivo lamenta l'errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di Cassazione nella decisione sul primo motivo del ricorso a suo tempo presentato. Il ricorrente, in particolare, osserva che la Corte ha sostenuto nella sentenza che il ricorrente non avrebbe indicato "quali sarebbero gli atti di indagine affetti da inutilizzabilità, trattandosi di doglianza onnicomprensiva concernente un periodo";
il ricorrente sostiene, invece, di aver specificato nel motivo di ricorso che la doglianza riguardava tutti gli atti di indagine espletati nell'arco temporale di riferimento ed avrebbe provveduto anche alla loro allegazione. Aggiunge anche che si tratterebbe di quasi la totalità delle indagini espletate dal pubblico ministero, e non di singoli atti.

3. La difesa del ricorrente ha chiesto la discussione orale. Con memoria, in cui ha anticipato le proprie conclusioni per iscritto, poi confermate in udienza, il Procuratore Generale, Marco Dall'Olio, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Il difensore della parte civile, avv. Giuseppe Morabito, attraverso il sostituto processuale avv. Ugo Milana, ha chiesto il rigetto del ricorso. Il difensore del ricorrente, avv. Vincenzo Nobile, ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile.

1. Si preferisce riportare letteralmente il testo della decisione della Quinta Sezione penale n. 2640 che si sostiene essere viziata. La pronuncia decide il primo motivo di ricorso presentato da G C mediante rinvio alla decisione presa sull'identico motivo presentato da Salvatore C. Il testo della decisione è, infatti, il seguente "17.1. Quanto al primo motivo, analogo a quello proposto anche nell'interesse di C Salvatore, è sufficiente rinviare infra § 16.1". Nel paragrafo 16.1, cui ha fatto rinvio, la pronuncia n. 2640 motiva nel seguente modo: "16.1. Il primo motivo è inammissibile, innanzitutto perché generico, avendo omesso di indicare quali sarebbero gli atti di indagine affetti da inutilizzabilità, trattandosi di doglianza omnicomprensiva concernente un periodo. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, F, Rv. 243416, con riferimento ad una fattispecie relativa ad atti asseritamente compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari). In ogni caso, va evidenziato che se il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (Sez. U, n. 33885 del 24/06/2010, G, Rv. 247834), nell'ipotesi di reato permanente (nella specie quello di associazione di stampo mafioso) l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni in merito al medesimo illecito con riferimento ai comportamenti successivi a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione, con eventuale applicazione di una misura cautelare per tali fatti ulteriori;
ne consegue che l'eventuale riapertura delle indagini in ordine alle condotte precedenti, intervenuta successivamente alla disposta misura, non costituisce elemento nuovo idoneo a scardinare il giudicato cautelare formatosi rispetto all'oggetto della misura già emessa (Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, Caponera, Rv. 270221);
secondo il principio consolidato, dunque, nell'ipotesi di reato permanente, l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l'esercizio dell'azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell'illecito limitatamente ai segmenti temporali successivi all'archiviazione. Ne consegue che la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell'art. 414 cod. proc. pen. colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell'indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benché collegati con i fatti oggetto della precedente indagine (Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, Caponera, Rv. 264923);
in tema di archiviazione, nell'ipotesi di reato permanente, l'efficacia preclusiva del decreto emesso dal gip, non seguito dall'autorizzazione alla riapertura delle indagini, non impedisce lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l'esercizio dell'azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell'illecito limitatamente a segmenti temporali successivi all'archiviazione (Sez. 2, n. 26762 del 17/03/2015, Sciascia, Rv. 264222, che ha ritenuto legittimo l'esercizio dell'azione penale per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen., posto che l'imputazione riguardava un segmento temporale successivo al decreto di archiviazione e il relativo accertamento era fondato su fatti diversi da quelli valutati nel precedente provvedimento di archiviazione;
Sez. 2, n. 3255 del 10/10/2013, dep. 2014, Rostan, Rv. 258528);
nell'ipotesi di reato permanente, l'archiviazione non seguita dalla riapertura delle indagini ai sensi dell'art. 414 cod. proc. pen. non preclude la possibilità di valutare i comportamenti ed i fatti successivi all'archiviazione, che valgano a dimostrare la consumazione del reato anche alla luce delle condotte pregresse poste in essere dall'imputato (Sez. 6, n. 6547 del 10/10/2011, dep. 2012, Panzeca, Rv. 252113);
nell'ipotesi di reato permanente, qualora la contestazione sia formulata senza indicazione dell'epoca di cessazione della permanenza — c.d. contestazione "aperta" -, in difetto di richiesta di riapertura delle indagini a seguito di decreto di archiviazione, il limite temporale della preclusione allo svolgimento delle indagini ed all'esercizio dell'azione penale per gli stessi fatti va individuato non nel momento dell'emissione del decreto di archiviazione dal parte del giudice per le indagini preliminari ma nella data della relativa richiesta formulata dal pubblico ministero, mentre per i segmenti temporali successivi è consentito l'esercizio dell'azione penale per il medesimo titolo di reato, ove sia proseguita la condotta criminosa oggetto dell'originaria contestazione con mutamento della caratteristiche strutturali del reato (Sez. 2, n. 5220 del 28/06/2018, dep. 2019, Alampi, Rv. 276049). Tanto premesso, la Corte territoriale ha escluso che venisse in rilievo un identico fatto storico, con riferimento al procedimento oggetto di archiviazione in data 20/04/2012, trattandosi di condotte che, sebbene esplicatesi in un medesimo ambito territoriale, riguardavano periodi diversi e soggetti anche diversi rispetto ai coimputati del capo 30;
con riferimento al procedimento "Nostromo", nel quale C Salvatore è stato assolto, la sentenza impugnata ha rilevato, inoltre, che la pronuncia di primo grado, e quindi la cessazione della permanenza, risale al 26/11/2006;
sicché i fatti associativi contestati nel presente procedimento non risultano sovrapponibili". A fronte di questa articolata motivazione con cui la pronuncia n. 2640 ha deciso il motivo di ricorso a suo tempo presentato, il ricorso straordinario concentra la sua attenzione sulla espressione contenuta in sentenza, in cui si addebita alla difesa di aver "omesso di indicare quali sarebbero gli atti di indagine affetti da inutilizzabilità, trattandosi di doglianza onnicomprensiva concernente un periodo", affermazione che, a giudizio del ricorrente, sarebbe viziata da errore di fatto. Nel ricorso straordinario si sostiene che questa affermazione è viziata da errore di fatto, perché la doglianza contenuta in ricorso riguardava "tutti gli atti di indagine espletati nell'arco temporale di riferimento". Il che, però, è, con altre parole, proprio ciò che aveva scritto la pronuncia n. 2640, che aveva contestato al ricorrente proprio di non aver indicato uno per uno gli atti di indagine di cui contestava la utilizzabilità ma di aver formulato una "doglianza onnicomprensiva concernente un periodo". Le espressioni "doglianza onnicomprensiva concernente un periodo" e doglianza riferita a "tutti gli atti di indagine espletati nell'arco temporale di riferimento" sono sinonimi, talchè non vi è spazio per sostenere che la pronuncia n. 2640 abbia frainteso il contenuto del motivo.
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