Cass. pen., sez. VI, sentenza 18/01/2023, n. 01943
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Testo completo
a seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: B I nata a Spoleto il 29/04/1953 avverso la sentenza del 25/05/2021 della Corte di Appello di Perugia visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere O D G;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale N L, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza in epigrafe confermava la condanna di I B per rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326 cod. pen.) e istigazione alla corruzione (art. 322 cod. pen.), pronunciata dal Tribunale in data 11/06/2020 dal Tribunale di Spoleto, per aver offerto l'imputata, operatore giudiziario addetto al servizio di iscrizione delle notizie di reato presso la Procura della Repubblica di Spoleto, informazioni ad un avvocato di sua conoscenza, inerenti alla pendenza attuale e futura di procedimenti penali a carico di questi, in cambio di denaro.
2. Avverso la sentenza presenta ricorso l'imputata che, per il tramite del suo difensore, avvocato G E, presenta tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurazione del delitto di rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326 cod. pen.). L'art. 326 cod. pen. è interpretato dalla giurisprudenza di legittimità come reato di pericolo. Nel caso di specie, la rivelazione della notizia non ha determinato alcun pericolo per gli interessi della pubblica amministrazione, in quanto B si è limitata a riferire all'avvocato T dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico: notizia alla cui conoscenza qualunque cittadino ha facoltà/diritto in virtù dell'art. 335 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 322 cod. pen. e all'art. 4 d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62. La Corte territoriale propone una lettura della fattispecie di istigazione alla corruzione (art. 322 cod. pen.) contrastante con il principio costituzionale di offensività, disattendendo la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'offerta o la promessa di donativi di modesta entità non integra il delitto di istigazione alla corruzione. D'altronde, l'art. 4 d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici) esclude la rilevanza di donativi di modico valore, nell'ordine massimo di 150 euro. I giudici omettono infatti di considerare che, secondo le risultanze processuali, B avrebbe ricevuto la somma di 100 euro, cifra ben al di sotto della soglia del modico valore, e che la persona offesa, in sede dibattimentale, ha dichiarato di non aver mai preso in considerazione la proposta corruttiva ma di aver reagito, semmai, in modo contrariato. Dal che la preclusione anche solo di un inizio di trattativa tra i due, a dimostrazione della inidoneità dell'azione.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al rapporto tra la sollecitazione della dazione di danaro e l'atto contrario ai doveri d'ufficio. L'avvocato T, sulle cui dichiarazioni si fonda l'ipotesi accusatoria, afferma di aver consegnato a B 100 euro, ma precisa di averlo fatto a mero titolo di prestito personale e
udita la relazione del consigliere O D G;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale N L, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza in epigrafe confermava la condanna di I B per rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326 cod. pen.) e istigazione alla corruzione (art. 322 cod. pen.), pronunciata dal Tribunale in data 11/06/2020 dal Tribunale di Spoleto, per aver offerto l'imputata, operatore giudiziario addetto al servizio di iscrizione delle notizie di reato presso la Procura della Repubblica di Spoleto, informazioni ad un avvocato di sua conoscenza, inerenti alla pendenza attuale e futura di procedimenti penali a carico di questi, in cambio di denaro.
2. Avverso la sentenza presenta ricorso l'imputata che, per il tramite del suo difensore, avvocato G E, presenta tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurazione del delitto di rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326 cod. pen.). L'art. 326 cod. pen. è interpretato dalla giurisprudenza di legittimità come reato di pericolo. Nel caso di specie, la rivelazione della notizia non ha determinato alcun pericolo per gli interessi della pubblica amministrazione, in quanto B si è limitata a riferire all'avvocato T dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico: notizia alla cui conoscenza qualunque cittadino ha facoltà/diritto in virtù dell'art. 335 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 322 cod. pen. e all'art. 4 d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62. La Corte territoriale propone una lettura della fattispecie di istigazione alla corruzione (art. 322 cod. pen.) contrastante con il principio costituzionale di offensività, disattendendo la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'offerta o la promessa di donativi di modesta entità non integra il delitto di istigazione alla corruzione. D'altronde, l'art. 4 d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici) esclude la rilevanza di donativi di modico valore, nell'ordine massimo di 150 euro. I giudici omettono infatti di considerare che, secondo le risultanze processuali, B avrebbe ricevuto la somma di 100 euro, cifra ben al di sotto della soglia del modico valore, e che la persona offesa, in sede dibattimentale, ha dichiarato di non aver mai preso in considerazione la proposta corruttiva ma di aver reagito, semmai, in modo contrariato. Dal che la preclusione anche solo di un inizio di trattativa tra i due, a dimostrazione della inidoneità dell'azione.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al rapporto tra la sollecitazione della dazione di danaro e l'atto contrario ai doveri d'ufficio. L'avvocato T, sulle cui dichiarazioni si fonda l'ipotesi accusatoria, afferma di aver consegnato a B 100 euro, ma precisa di averlo fatto a mero titolo di prestito personale e
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