Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/08/2005, n. 16776

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Appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie nelle quali si impugni il rifiuto espresso o tacito dell'amministrazione a procedere ad autotutela, alla luce dell'art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in forza del quale la giurisdizione tributaria è divenuta, nell'ambito suo proprio, una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si faccia questione di uno specifico rapporto tributario o di sanzioni inflitte da uffici tributari, dal cui ambito restano così escluse solo le controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale (art. 7, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo, della quale l'amministrazione riconosce pacificamente la spettanza al contribuente. La novella del 2001, infatti, ha necessariamente comportato una modifica del disposto dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché l'aver consentito l'accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi si traduce nella possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario quando l'amministrazione manifesti, anche attraverso il silenzio rigetto, la convinzione che il rapporto tributario debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare (nell'affermare il principio, la S.C. ha avuto cura di precisare, riguardo al caso di specie, che questione altra e diversa da quella di giurisdizione, e di competenza, appunto del giudice tributario, è stabilire se il rifiuto di autotutela sia o meno impugnabile, così come valutare se con l'istanza di autotutela il contribuente chieda l'annullamento dell'atto impositivo per vizi originari di questo, o per eventi sopravvenuti).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/08/2005, n. 16776
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16776
Data del deposito : 10 agosto 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. I G - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. C M - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, A D E, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;



- ricorrente -


contro
F.LLI MINOTTI DI MAGLIOCCO LORETTA &
C. s.a.s., ORA F.LLI MINOTTI DI MINOTTI ANGELANTONIO E C. S.A.S., IN LIQUIDAZIONE;



- intimato -


avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale - sezione distaccata di Latina n. 166/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 09/06/05 dal Consigliere Dott. M C;

udito l'Avvocato CINGOLO, dell'Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

IANNELLI

Domenico che ha concluso per il rigetto del primo motivo, giurisdizione delle Commissioni Tributarie e rinvio per il resto a sezione semplice.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Ufficio Provinciale Iva di Frosinone nel corso della verifica delle Dichiarazioni Annuali Iva relative agli anni d'imposta 1987 e 1988 contestava, con appositi processi verbali, alla società F.lli Minotti di Magliocco Loretta e C. s.a.s. (esercente attività di pompe funebri) di non avere, in violazione del disposto dell'ultimo comma dell'art. 19 del DPR 633/1972, provveduto al calcolo della
percentuale di indetraibilità dell'IVA in proporzione alle operazioni esenti effettuate, e quindi di aver esposto una indebita detrazione d'imposta di Lire 17.284.000 per il 1987, e di Lire 24.048.000 per il 1988.
L'Ufficio emetteva quindi avvisi di rettifica notificati il 7 dicembre 1993 per il recupero dell'imposta indebitamente detratta. Poiché gli avvisi non venivano impugnati, il competente Concessionario del Servizio Riscossione Tributi emetteva quattro cartelle esattoriali (cioè due per ogni anno di imposta). La società impugnava tali cartelle esattoriali e la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone dichiarava in ordine a due di esse la cessazione della materia del contendere (per essere state sostituite dalle altre due) e per il contenzioso suscitato dalle residue due la inammissibilità del ricorso;
ritenendo che nella specie non sussistessero i requisiti previsti dall'art. 19 D.lgs. 546/1992 per la autonoma impugnabilità dei ruoli (in quanto gli atti
di riscossione sarebbero stati preceduti da atti impositivi debitamente notificati e non impugnati).
Inoltre, in data 24 marzo 1997 venivano notificati alla società avvisi di mora che venivano anch'essi impugnati ed i relativi ricorsi venivano dichiari inammissibili, poiché anche in questo caso la Commissione riteneva trattarsi di atti non autonomamente impugnabili e quindi di ricorsi proposti in violazione del disposto di cui al citato art. 19.
Mentre erano in corso questi giudizi, la contribuente in data 25 marzo 1998 presentava presso l'Ufficio Iva di Frosinone due istanze volte ad ottenere l'annullamento delle due cartelle esattoriali di cui sopra per avere essa società rinunciato al credito di imposta, e per essere le sanzioni estinte a seguito di condono.
L'Ufficio, con provvedimento del 4 maggio 1998 notificato il 5 maggio 1998 constatava che la società in sede di Dichiarazione Annuale Iva relativa all'anno d'imposta 1990 aveva rinunciato al credito d'imposta indebitamente portato in detrazione nelle annualità 1987 e 1988, ed atteso che la società stessa non aveva mai usufruito di tale credito, come neppure mai richiesto il rimborso del medesimo, provvedeva all'annullamento dell'Iva recuperata negli Avvisi di Rettifica, stante l'evidente duplicazione d'imposta che tale recupero avrebbe comportato.
L'Ufficio riteneva invece di dover confermare le sanzioni relative alle violazioni, in quanto "le pene pecuniarie relative all'art. 43 comma 2^ e 3^ DPR 633/1972 restano comunque dovute, stante la inefficacia della sanatoria art. 8 della Legge 154/91 a sanare tale violazione. La stessa esplica efficacia per violazioni di natura formale e non sostanziale come nel caso di specie".
La società impugnava anche il provvedimento di (parziale) autotutela 4 maggio 1998 sostenendo che le infrazioni in questione erano di natura formale e quindi sanate ai sensi dell'art. 8 della legge 154/1991, in subordine deduceva la applicazione delle più favorevoli
norme contenute nei D. leg. 271 e 272 del 1997 e quindi la non applicabilità delle penalità per evidente errore di fatto. La Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, con la sentenza n. 318/03/00, del 4 luglio 2000 accoglieva il gravame ritenendo meramente formali le violazioni commesse dalla contribuente, e quindi ritenendole definite ex art 8 Legge 154/89, e comunque non dovute le sanzioni ai sensi dell'art. 6 comma 2^ del D. lgs 472/1997 essendo la violazione determinata da obiettive condizioni di incertezza. L'Ufficio, impugnava la sentenza di primo grado deducendo in primis la non impugnabilità del provvedimento 4 maggio 1998 in quanto di autotutela e perciò sottratto al sindacato del giudice tributario, in via subordinata l'Ufficio deduceva la inapplicabilità del condono di cui alla legge 154/1991 e della disposizione di cui all'art. 16 D. legs. 472/1997. Con sentenza del 7/8/2002 n. 166/39/02 la Commissione tributaria regionale di Roma, sez. Latina, rigettava l'appello, così motivando:
"La Commissione, esaminati gli atti e sentite le parti, ritiene infondato l'appello dell'Ufficio e non condivide le motivazioni addotte a sostegno dell'atto di appello, come pure non condivide la richiesta della parte formulata in sede di appello incidentale per quanto concerne la condanna alle spese di giudizio.
Il Collegio ritiene in sostanza che, nel caso di specie, non può ravvisarsi l'inapplicabilità della sanzione ma, a tutto voler concedere, il mancato calcolo della percentuale della indetraibilità doveva ritenersi errore formale sanato ex art 8 della L. 154/1991. L'assunto e le doglianze della parte vanno pertanto condivise mentre le doglianze dell'Ufficio devono essere disattese. La Decisione e la motivazione di 1^ Grado non meritano pertanto censura e devono essere confermate mentre gli appelli, per i motivi sopra esposti, devono essere respinti".
Avverso tale sentenza ricorrono ora per Cassazione il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate, sulla base di tre motivi, di cui uno attinente alla giurisdizione. MOTIVI DELLA DECISIONE
Si dolgono, in primo luogo, gli odierni ricorrenti che, disattendendo la sollevata eccezione, i giudici tributari di merito non abbiano emesso declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione originariamente proposta dalla controparte per difetto di giurisdizione, avendo la società impugnato l'atto con cui l'Amministrazione ha ritenuto di non annullare la pretesa relativa alle irrogate sanzioni ex artt. 43, 2 co., e 3 d.p.r. n. 633 del 1972, e quindi posto in essere un sostanziale (parziale ) diniego di
autotutela, costituente espressione del più complesso potere autoritativo della P.A.
I ricorrenti in particolare richiamano Cass. n. 1547 del 2002 e a Cass. n. 13412 del 2000, ove si è precisato che il potere attribuito dall'art. 68 d.p.r. n. 287 del 1992 agli Uffici dell'Amministrazione finanziaria costituisce una facoltà discrezionale che non può essere sindacata in sede d'impugnazione dell'atto. Inoltre i ricorrenti deducono (secondo motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 68 d.p.r. 287/92;
D.M. 37 dell'11 febbraio 1997;
1 e ss. d. l.vo 546/92, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c. Nonché (terzo motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 68 d.p.r. 287/92;
D.M. n. 37 dell'11 febbraio 1997;
25 e 6 d.lgs. 472/97;
43 D.P.R. 633/72;
8 L. 154/91, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.. Queste Sezioni Unite si limitano, per altro, ad esaminare i dedotti motivi sotto il profilo del (presunto) difetto di giurisdizione del giudice tributario. E ritengono di dover affermare che la giurisdizione sul contenzioso oggetto della presente causa spetta al giudice tributario.
Invero l'art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ha stabilito che "appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie", o relative alle "sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari" e "agli interessi ed ogni altro accessorio".
La giurisdizione tributaria è così divenuta - nell'ambito suo proprio - una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si controverta di uno specifico rapporto tributario, o di sanzioni inflitte da uffici tributari. Restano così al di fuori di tale giurisdizione solo controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale (art. 7, 5 comma ultimo periodo D. Legs. 546/1992), o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo, e di cui la amministrazione riconosce pacificamente la spettanza al contribuente (Cfr. le sentenze di queste Sezioni Unite n. 10725 del 22 luglio 2002;
26 gennaio 2001
, n, 8;
4 settembre 2001, n. 11403;
il 7395 del 28 luglio 1998
). La riforma del 2001 ha poi necessariamente comportato una modifica dell'art. 19 del D. Leg. 546/1992;
l'aver consentito l'accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta infatti la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta la Amministrazione manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare (in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l'interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c). Si può in proposito ricordare che queste Sezioni Unite con sentenza n. 14332 del 8 luglio 2005, hanno ritenuto che ove l'ente impositore, dopo una sentenza non passata in giudicato ad esso sfavorevole, rifiuti di procedere al rimborso delle somme percepite, il relativo contenzioso ricade nella giurisdizione del giudice tributario, senza che possa ravvisarsi - nel caso di specie - una competenza del giudice ordinario (che, come già accennato, subentra solo ove l'ente impositore abbia inequivocabilmente riconosciuto la fondatezza della pretesa del contribuente).
Dunque sussiste nella materia in esame la giurisdizione tributaria anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito della Amministrazione a procedere ad autotutela ;

così come ripetutamente riconosciuto dalla giustizia amministrativa (Ord. n. 114 del 28 gennaio 2005 del T.A.R. dell'Emilia-Romagna;
sent n. 519 dell'8 aprile 205 del T.A.R. Campania).
Altra e diversa questione, di competenza appunto del giudice tributario, è stabilire se quel rifiuto sia o meno impugnabile, così come valutare se con l'istanza di autotutela il contribuente chieda l'annullamento dell'atto impositivo per vizi originali di tale atto (secondo quanto accaduto nelle vicende che hanno dato luogo alle sentenze indicate dalle ricorrenti cui si può affiancare la sentenza 22564 del 1 dicembre 2004) o per eventi sopravvenuti (come sembrerebbe nel caso di specie).
Le questioni non attinenti alla giurisdizione debbono però essere devolute alla competente sezione di questa Corte.

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