Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 09/04/2014, n. 8368

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In tema di controversie concernenti i diritti del lavoratore che abbia realizzato una invenzione industriale, ai fini della quantificazione del premio dovuto, il criterio di legge previsto sia dall'art. 23 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, sia dall'art. 64 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, è sostanzialmente quello dell'importanza della invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha percepito dall'organizzazione del datore di lavoro, sicché eventuali critiche concernenti la concreta quantificazione del valore dell'invenzione, in relazione alle concrete potenzialità di sfruttamento, operata dal consulente tecnico d'ufficio e motivatamente recepita dal giudice di merito, concretano una censura di fatto non sindacabile in sede di legittimità, laddove volte a contrapporre al prudente accertamento del giudice una personale e diversa valutazione delle circostanze.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 09/04/2014, n. 8368
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8368
Data del deposito : 9 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R F - Presidente -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. B F - rel. Consigliere -
Dott. D A - Consigliere -
Dott. A F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17503-2012 proposto da:
A S.P.A. C.F. 00302240825, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI

140, presso lo studio dell'avvocato L P, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato S M S, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
A GIACINTO;



- intimato -


Nonché da:
A GIACINTO C.F. LSSGNT39C18G348, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PIERLUIGI DA PALESTRINA

63, presso lo studio dell'avvocato C M, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
A S.P.A. C.F. 00302240825, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI

140, presso lo studio dell'avvocato L P, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato S M S, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 822/2011 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 30/07/2011 r.g.n. 1463/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l'Avvocato S M S;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI

Francesca, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi principale e incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 1 agosto 1997, Alessi G adiva il P di Palermo, premettendo di avere svolto alle dipendenze della A s.p.a., società operante nel campo della pubblicità nelle sue varie forme (cartellonistica, insegne luminose, etc.) attività di lavoro subordinato con mansioni dirigenziali dal 1 maggio 1981 al 28 febbraio 1988 e di avere inventato un particolare pannello per l'affissione di materiale pubblicitario (c.d. Poster System) poi brevettato dalla A s.p.a., come modello di utilità, in Italia, Germania, Francia e Spagna, indicando il ricorrente come inventore nei relativi certificati di brevetto. Deduceva che tale pannello era stato impiegato dalla società in migliaia di occasioni, fruttando consistenti introiti in capo alla medesima, che aveva incaricato di realizzarlo in esclusiva la PUBLIPOSTER s.r.l.;
che, nonostante le richieste formulate, non aveva ricevuto alcuna utilità, ne' un corrispettivo, ne' premi o gratifiche da parte della A s.p.a. Convenne pertanto in giudizio quest'ultima, chiedendone la condanna a corrispondergli l'equo premio previsto dal R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, comma 2, in rapporto all'importanza dell'invenzione
(desumibile da criteri come il notevole volume dei ricavi, la riduzione di spese, l'eccezionale valore obiettivo, l'esclusiva riconducibilità dell'invenzione al ricorrente), parametrato agli introiti ricavati "dal 1989 ad oggi", e liquidato in non meno di un miliardo di lire o nella misura risultante in corso di causa, oltre accessori di legge. Si costituiva la A s.p.a. rilevando preliminarmente che, fino al 21.10.96, la A s.p.a. e la PUBLIPOSTER s.p.a. appartenevano, attraverso la SAMAD s.p.a., allo stesso gruppo familiare di tre fratelli, tra cui il ricorrente, e che successivamente, constatato che il sodalizio familiare non poteva più continuare, ai fratelli A e G era stato assegnato l'intero pacchetto azionario della SAMAD s.p.a. ed al fratello G le società operative, con contestuale sottoscrizione di un documento, in cui veniva dichiarato che "nessuna pretesa ciascuna parte avrebbe potuto avanzare, dovendosi ritenere definito ogni qualsivoglia diritto, azione o ragione". Deduceva che, prima di tale scissione, vi era stata una stretta compartecipazione di tutti i familiari all'azienda, tanto che essi operavano unitariamente e che la ricerca, lo studio, la progettazione erano frutto di tale sodalizio. Aggiungeva che ciò era avvenuto anche per il "POSTER SYSTEM", in cui ciascun componente del nucleo familiare aveva dato il suo contributo, mentre quello del ricorrente fu assolutamente modesto perché egli non era portato per soluzioni grafiche. Rilevava che la circostanza che egli fosse stato indicato nei brevetti come inventore era semplicemente dovuta alla sua qualità di responsabile della produzione nell'ambito aziendale. Concludeva, quindi, che nessun equo premio poteva essere riconosciuto al ricorrente, che non era, tra l'altro, lavoratore subordinato, ma azionista di riferimento ed amministratore di fatto insieme al fratello ed al nipote.
Sottolineava, altresì, che l'incremento del fatturato della A s.p.a. non era dovuto al "POSTER SYSTEM", ma alle capacità gestionali del management della società ed all'occupazione della porzione di mercato lasciata libera dalla F.A.P. s.p.a., che utilizzava un analogo sistema di affissione, poi fallita. Invocava, pertanto, il rigetto delle domande avversarie, con condanna del ricorrente alle spese di lite.
Il P, espletata una complessa istruttoria, con l'escussione di numerosi testimoni e l'espletamento di consulenza tecnica affidata ad esperto nella specifica materia, con sentenza del 10.11.06 condannava la A S.p.a. a pagare al ricorrente, a titolo di equo premio, ai sensi dell'art. 23 R.D. cit., l'importo di Euro 85.446,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal 1/08/1997 al soddisfo. Condannava, inoltre, la convenuta al pagamento delle spese di lite e di c.t.u..
Contro tale pronuncia proponeva appello Alessi G, lamentandone la parziale erroneità.
La A s.p.a. si costituiva chiedendo il rigetto del gravame e proponendo, altresì, appello incidentale al fine di ottenere la integrale riforma della sentenza impugnata, con il rigetto delle domande del ricorrente.
Richiamato a chiarimenti il c.t.u. di primo grado, che depositava relazione suppletiva, la Corte d'appello di Palermo, con sentenza depositata il 30 luglio 2011, confermava la sentenza impugnata, compensando per metà le spese di primo grado e condannando la società Alessi al residuo.
Per la cassazione propone ricorso la società Alessi, affidato ad unico motivo.
Resiste Alessi G con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato ad unico motivo, cui resiste la società Alessi con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve pregiudizialmente disporsi la riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza ex art. 335 c.p.c.. 1.- La ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, art. 23, oggi D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 64 e successive modificazioni, per
avere la Corte di merito applicato in modo erroneo, e/o con motivazione insufficiente e contraddittoria, la c.d. "formula tedesca", richiamata dalla disposizione. Lamenta che la Corte di merito, pur dichiarando di dover applicare al caso di specie la c.d. formula tedesca errò nell'individuare i criteri, ormai legalmente previsti dal citato D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 64, stabiliti per la determinazione dei suoi fattori. Lamenta in particolare che secondo tale formula l'equo premio (I) si calcola moltiplicando il valore dell'invenzione (V) per un fattore proporzionale espresso in percentuale (P), mentre il giudice di appello errò
nell'individuazione dei fattori V e P. In particolare lamenta che nel determinare il fattore V, che a suo avviso non è ne' il valore reale dell'invenzione, ne' il profitto economico che da essa deriva, quanto piuttosto il corrispettivo che l'impresa avrebbe dovuto pagare per ottenere il diritto di sfruttamento economico dell'invenzione, occorreva, "secondo la normativa tedesca" (pag. 10 ricorso principale), distinguere tre differenti casi, a seconda che l'invenzione fosse sfruttata direttamente dall'impresa;
fosse sfruttata dall'impresa attraverso la concessione a terzi di una licenza o la cessione del brevetto;
non fosse stata sfruttata o non fosse sfruttabile. Evidenziava poi i criteri ulteriori per quantificare il fattore V e P.
1.1 - Il ricorso è in larga parte inammissibile e per il resto infondato.
Ed invero la c.d. "formula tedesca" - che neppure la parte indica come legge straniera (che, a prescindere dalla sua applicabilità nel caso di specie, sarebbe stata in tesi acquisibile al giudizio L. 31 maggio 1995, n. 218, ex art. 14) - è dettagliatamente descritta
dalla società senza citarne alcuna fonte, espressamente anzi deducendo che tale "formula" sarebbe richiamata dal D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 64 (pag. 8 ricorso).
Orbene, a prescindere dall'applicabilità, ratione temporis, al caso di specie del decreto n.30/05, (trovando in effetti la sua disciplina nel R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, che fa riferimento, per la determinazione dell'equo premio, semplicemente all'importanza dell'invenzione, ed in particolare alle potenzialità di sfruttamento economico dell'invenzione, Cass. 26 settembre 2005 n. n. 18766;
Cass. 27 febbraio 2001 n. 2849), deve comunque osservarsi che la norma
citata dalla società Alessi attribuisce rilievo, per le invenzioni aziendali e non di servizio, "all'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro". Nel testo sostituito dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131, art. 37, comma 1:
"all'importanza dell'invenzione, alle mansioni svolte ed alla retribuzione percepita dall'inventore, nonché al contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro". La Corte non ignora di aver talvolta considerato la c.d. formula tedesca congruo strumento valutativo ai fini della determinazione dell'equo premio (cfr. Cass. n. 7161/98;
Cass. n. 14502/00;
Cass. n. 14439/00), ritenendo comunque a tal fine determinante il valore economico del prodotto creativo (da desumersi anche dagli utili semplicemente prevedibili, in relazione al tipo di attività esercitato dall'impresa), ed altri fattori, quali la retribuzione percepita dal dipendente in relazione al tempo impiegato per conseguire il risultato inventivo, il tipo di attività svolta dall'inventore ed il contributo aziendale al conseguimento dell'invenzione, elementi sostanzialmente rimessi al prudente apprezzamento del giudice di merito e da questi adeguatamente valutati. L'odierna ricorrente principale si limita invece ad esporre una lunga serie di criteri, formule e tabelle non solo non espressamente previsti dalla legislazione italiana, ma soprattutto richiedenti necessariamente un diverso apprezzamento delle varie circostanze di fatto a tal fine rilevanti. Ed invero, come detto, il criterio di legge, sia quello previsto dal R.D. n. 1127 del 1939, sia quello previsto dal D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 64, è semplicemente, e sostanzialmente, quello
dell'importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro (in tal senso la giurisprudenza sopra richiamata).
La Corte di merito ha adeguatamente motivato sul punto, sicché la ricorrente finisce per chiedere inammissibilmente a questa S.C. un nuovo giudizio ed un nuovo apprezzamento di fatto delle circostanze caratterizzanti in concreto il caso di specie (calcolo degli utili netti derivanti dall'invenzione;
correzione di tale somma attraverso i coefficienti di cui alle tabelle riprodotte in ricorso;

individuazione della percentuale tenendo conto della dedotta scarsa innovatività dell'invenzione;
il suo grado di protezione giuridica, etc).
Insiste poi sulla circostanza che il valore dell'invenzione corrisponde al corrispettivo che l'impresa avrebbe dovuto pagare per assicurarsi il diritto di sfruttamento economico dell'invenzione, senza peraltro considerare che ciò presuppone che l'invenzione vi sia stata, venendo altrimenti meno il criterio stesso, e dunque senza considerare l'invenzione avvenuta da parte di soggetto legato all'impresa da un rapporto di lavoro. Deve in sostanza rimarcarsi che le varie critiche concernenti la concreta quantificazione, da parte del consulente tecnico d'ufficio e della Corte di merito, del valore dell'invenzione in relazione alle concrete potenzialità di sfruttamento dell'invenzione, concretano una censura in fatto, volta semplicemente a contrapporre al prudente accertamento del giudice di merito, basato sulle motivate argomentazioni fornite dal consulente tecnico, una personale e diversa valutazione delle circostanze di fatto, non sindacabili in sede di legittimità (cfr., in analoga fattispecie, Cass. n. 18766 del 2005). 2.- Con l'unico motivo di ricorso incidentale, Alessi G denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 420 c.p.c., per avere il Giudice d'appello escluso l'incremento di
fatturato della Alessi s.p.a., ai fini della valutazione dell'equo premio secondo la c.d. formula tedesca, successivamente al deposito del ricorso;
violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per non essersi tale Giudice espresso sul richiesto computo successivamente al 1997;
violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., comma 1 e comma 2, e art. 1363 c.c. in punto di
interpretazione secondo l'intenzione e secondo il comportamento delle parti successivo alla domanda contenuta nel ricorso introduttivo del Sig. Alessi G con conseguente motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria. L'Alessi si duole in sostanza del fatto che il giudice di appello, nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, avrebbe tenuto in considerazione nella determinazione dell'equo premio (solo) l'incremento di fatturato realizzato dalla Alessi nel periodo intercorrente dal deposito della domanda di brevetto ed il deposito del ricorso giudiziario, e non anche l'incremento di fatturato successivo al deposito del ricorso medesimo. Non produce tuttavia, ne' riporta il loro contenuto, gli atti introduttivi da cui possa emergere la proposizione di tale domanda ed i contorni di questa, adempimenti necessari anche nell'ambito del denunciato error in procedendo (Cass. sez. un. n. 22.5.12 n. 8077;
Cass. 17.8.12 n. 14561, secondo cui nel caso della deduzione del vizio per omessa pronuncia su una o più domande avanzate in primo grado è, invece, necessaria, al fine dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, la specifica indicazione dei motivi sottoposti al giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale dei motivi di appello). Anzi lo stesso ricorrente incidentale chiarisce (pag. 23 del controricorso) di aver chiesto, con il ricorso introduttivo del giudizio, che "l'equo premio venisse parametrato agli introiti ricavati dalla società Alessi dal 1989 ad oggi", espressione correttamente ritenuta dal giudice di appello come riferibile sino alla data di deposito del ricorso. Nè vale richiamare un insussistente principio di "automatico ampliamento della cognizione in fatto da parte del giudice di merito";
mutuandola dall'art. 420, comma 1, che consente, solo a determinate condizioni (sussistenza di gravi motivi - nella specie neppure dedotti e comunque certamente presenti sin dalla proposizione del ricorso- ed autorizzazione del giudice) la emendatio libelli. Questa Corte ha già osservato che nel rito del lavoro, ove la parte abbia espressamente limitato, nelle conclusioni del ricorso, la propria richiesta sino ad una certa data, non assume rilievo che, nel corpo dell'atto, ovvero, come nella specie, successivamente (e solo in sede di note alla c.t.u., senza alcuna espressa richiesta di modifica della domanda) abbia ampliato l'ambito temporale di riferimento delle sue richieste, essendo necessaria una omogeneità tra le allegazioni esposte nel contenuto del ricorso e la richiesta formulata nelle conclusioni, rispetto alla quale il giudice non può d'ufficio, in contrasto con l'art. 112 cod. proc. civ., pronunciarsi in difformità (Cass. 10.9.13 n. 20727).

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