Cass. civ., SS.UU., sentenza 06/04/2022, n. 11167
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nciato la seguente SENTENZA sul ricorso 23231-2021 proposto da: Z C, rappresentato e difeso da sé medesimo, unitamente agli avvocati C M Z e F G, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 30;Sez. U. - RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 - ricorrente -contro CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FORLI' - CESENA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;- intimati - avverso la sentenza n. 159/2021 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 17/07/2021. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2022 dal Consigliere M F;lette le conclusioni scritte dell'Avvocato Generale F S, il quale chiede che la Corte respinga il ricorso. FATTI DI CAUSA 1. — Con ricorso del 30 settembre 2020 il Consiglio distrettuale di disciplina di Ancona ha sollevato conflitto di competenza con riferimento eigla deliberazione del 7 maggio 2020 con la quale il Consiglio di disciplina di Bologna ha declinato la competenza a procedere disciplinarmente nei confronti dell'avvocato C Z. Il Consiglio di disciplina di Bologna ha dato conto di quanto segue: il presidente del Consiglio distrettuale di disciplina di Ancona aveva inviato nel marzo 2019 al competente Consiglio dell'ordine degli avvocati di Forlì - Cesena un esposto presentato nei riguardi dell'avvocato Z a seguito dell'archiviazione per manifesta infondatezza, disposta dallo stesso Consiglio distrettuale di Ancona, quanto a numerosi esposti presentati dal detto professionista nei confronti di singoli esponenti, di intere sezioni giudicanti e del Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna nel suo complesso. L'atto era diretto a verificare se la condotta del medesimo avvocato Z, che era consistita nella presentazione di reiterati esposti nei confronti dei consiglieri del Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna, Sez. U- RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 2 costituisse illecito disciplinare per violazione dei doveri generali di probità e correttezza, anche nei riguardi delle istituzioni forensi. Il Consiglio dell'ordine di Forlì - Cesena ha trasmesso l'esposto al Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna il quale, con provvedimento del 7 maggio 2020, richiamati i principi di imparzialità e di terzietà del giudice sottesi all'esercizio della giurisdizione, lo ha rimesso al Consiglio distrettuale di disciplina di Ancona in applicazione analogica dell'art. 4, comma 5, del regolamento di disciplina. In particolare, il Consiglio distrettuale di Bologna ha evidenziato l'esistenza di un problema di garanzia di terzietà del «soggetto giudicante», secondo i principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost., richiamati dall'art. 10 del regolamento del Consiglio nazionale forense n. 2/2014, ritenendosi, per l'effetto, nell'impossibilità di pronunciare sulla condotta tenuta dall'avvocato Z nei propri confronti. 2. — Il Consiglio nazionale forense, con sentenza depositata il 17 luglio 2021, ha dichiarato la competenza disciplinare del Consiglio distrettuale di Bologna. Ha osservato, in particolare: che, nel sistema disciplinare forense, la garanzia di terzietà dell'organo decidente è tutelata attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione, istituti che consentono la sostituzione di singoli componenti del consiglio distrettuale di disciplina, ferma restando la competenza generale dell'organo, senza che possano configurarsi istituti che incidano su quest'ultima e che consentano il trasferimento della stessa ad altri consigli distrettuali;che non è previsto né può trovare applicazione l'istituto della rimessione, di cui all'art. 45 c.p.p., che prevede «il trasferimento ad altro giudice» in caso di gravi situazioni locali;che, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, «i/ richiamo, contenuto all'art. 59, lett. n), I. n. 247 del 2012, al rito penale è nei limiti della compatibilità, laddove l'istituto appena menzionato - di Sez. U. -RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 carattere eccezionale in quanto deroga al giudice naturale - resta nella specie inapplicabile». 3. — La nominata sentenza è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte dell'avvocato Z, il quale ha depositato pure memoria. L'impugnazione non è stata resistita. Il pubblico ministero ha concluso per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. — Il ricorso per cassazione è così strutturato. A seguito della trascrizione della sentenza impugnata, è deplorato l'uso di espressioni non pertinenti che sarebbero in essa contenute. Tale trattazione, che occupa le pagine da 6 a 8 del ricorso, è introdotta dalla rubrica «Divieto di uso di espressioni sconvenienti ed offensive da parte del CNF: violazione dei principi essenziali». Le parti immediatamente successive dell'atto di impugnazione sono introdotte da tre rubriche: «Violazione di tutte le regole CEDU/Diritti fondamentali»;«Il protagorismo assoluto che pare dominare la fase disciplinare»;«Violazione della Convenzione di Roma, della Carte di Nizza e della Convenzione di Lisbona». La relativa trattazione occupa le pagine da 8 a 21 del ricorso e in essa è riprodotta, in lingua francese, la pronuncia n. 596 del 2021 della Corte EDU. Seguono due motivi, che sono qualificati come «ulteriori alle citate censure e doglianze». Lo svolgimento di detti motivi è contenuto nelle pagine da 21 a 28 del ricorso. Il primo mezzo è titolato: «Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 45 c.p.p. in relazione all'art. 59, lett. n), I. professionale;art.360, n. 3 c.p.c.». Vi si deduce che il Consiglio nazionale forense avrebbe dovuto disporre la rimessione del procedimento disciplinare al Consiglio distrettuale di disciplina di Ancona, posto che il cit. art. 59, lett. n), richiama le norme della procedura penale. Viene precisato che la natura amministrativa del procedimento non preclude che si Sez. U. -RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 4 vengano a creare quelle situazioni di grave tensione locale cui allude l'art. 45 c.p.p.;sottolinea il ricorrente come il Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna «non fosse, come confessoriamente ammesso, assolutamente la sede più adatta per la celebrazione di processi disciplinari» nei suoi confronti. Il secondo motivo è rubricato: «Violazione, nella decisione impugnata, degli artt. 3 e 47 della Costituzione;in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.». Si sostiene, in sintesi, che il presidente del consiglio di disciplina non possa giudicare su questioni che concernono infrazioni deontologiche commesse a danno dei propri membri e che l'assenza di un istituto come la ricusazione del presidente medesimo renda evidente il grado di complessità della questione, invece trattata con una motivazione stereotipata. 2. — Il ricorso è nel complesso infondato. 2.1. — Non integrano validi motivi di ricorso le deduzioni svolte da pagina 6 a pagina 21 del ricorso. Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso;il singolo motivo, infatti, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore: la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202;in senso sostanzialmente conforme: Cass. 29 maggio 2012, n. 8585;Cass. 22 settembre 2014, n. 19959;Cass. 14 maggio 2018, n. 11603). In particolare, il principio di specificità di cui all'art. 366, n. 4, c.p.c. richiede, per ogni motivo l'indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l'illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, Sez. U. - RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronuncia (Cass. 18 agosto 2020, n. 17224). Nel caso in esame l'istante ha formulato le proprie doglianze in modo generico. Egli ha inoltre trascurato di considerare i ristretti limiti entro cui le disposizioni di rango costituzionale (tra cui sono da ricomprendere le norme della CEDU) possono costituire oggetto del motivo di impugnazione di cui all'art. 360, n. 3 c.p.c.. Questa Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell'applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l'eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. Sez. U. 12 novembre 2020, n. 25573;Cass. 15 giugno 2018, n. 15879;Cass. 17 febbraio 2014, n. 3708). Tale affermazione merita, per la verità, una precisazione. E' da ritenere, infatti, che il principio valga nelle ipotesi, numericamente preponderanti, in cui la materia controversa sia disciplinata da disposizioni con forza di legge. Può nondimeno accadere che la normativa costituzionale sia di immediata applicazione e che, quindi, l'oggetto del contendere sottoposto all'esame del giudice non evidenzi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale. Si pensi alla norma per cui la retribuzione del lavoratore subordinato deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, oltre che sufficiente ad assicurare allo stesso lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.): disposizione che questa Corte di legittimità reputa di immediata applicazione (cfr. già Cass. 11 maggio 1963, n. 1164, Sez. U. - RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 6 secondo cui la norma in questione, affermando il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità dell'opera prestata e, in ogni caso, ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a lui ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, «si inserisce, senza alcuna riserva o limitazione, nella disciplina dei rapporti in corso alla data della sua entrata in vigore»). Ebbene, deve ritenersi che la norma costituzionale, ove sia di diretta applicazione, assurga a parametro del sindacato di legittimità: per modo che l'interessato possa lamentarne la violazione o la falsa applicazione, a norma dell'art. 360, n. 3, c.p.c.. Ciò detto, il ricorrente non fa menzione di norme di rango costituzionale di immediata applicazione, né argomenta alcunché in proposito: sicché la deduzione da lui svolta prospetta chiari profili di inammissibilità. Né appare possibile, nella presente sede, lamentare, in via generale, la violazione di norme dell'Unione europea. Infatti, se la norma comunitaria è priva di efficacia diretta, il rimedio da esperire non è il ricorso per cassazione, prospettandosi, semmai, la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale con riguardo alla norma nazionale che collida con essa, mentre, nel caso opposto, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della disciplina interna, dovendo tale giudice, nell'ipotesi di contrasto, provvedere all'applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale (in tal senso: Corte cost. ordinanza n. 207 del 2013, ove il richiamo alle sentenze n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012;Corte cost. sentenza n. 269 del 2017, punto 5.1 del Considerato in diritto). L'uno e l'altro rimedio non sono però ipotizzabili ove la parte si limiti a prospettare — come qui accade — l'esistenza di norme sovranazionali che riconoscono determinati diritti, senza chiarire quali siano le norme nazionali, applicabili alla fattispecie controversa, che confliggano con Sez. U -RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 7 esse. 2.2. — Quanto alle restanti censure, è da disattendere quella rubricata come primo motivo. La natura amministrativa del procedimento che si tiene avanti al Consiglio distrettuale di disciplina (per cui cfr. Cass. Sez. U. 6 luglio 2021, n. 19030) porta ad escludere che a tale procedimento sia applicabile un istituto tipicamente giurisdizionale quale quello della rimessione di cui all'art. 45 c.p.p., il quale postula, oltretutto, l'intervento di un organo (la Corte di cassazione) che non ha attribuzioni nella materia che interessa. Mette conto di aggiungere che, del resto, nemmeno con riferimento al procedimento avanti al Consiglio nazionale forense — che ha, esso sì, natura giurisdizionale, in quanto si svolge dinanzi ad un giudice speciale istituito dall'art. 21 del d.lgs. !t. n. 382 del 1944, tuttora operante, giusta la previsione della VI disposizione transitoria della Costituzione (Cass. Sez. U. 24 gennaio 2019, n 2084;Cass. Sez. U. 16 maggio 2013, n. 11833) — trovano applicazione le norme del codice di procedura penale: le uniche ipotesi in cui ciò accade sono quelle in cui la legge professionale vi faccia espresso rinvio, ovvero quelle in cui sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale (Cass. Sez. U. 4 maggio 2010, n. 10692;Cass. Sez. U. 7 ottobre 2010, n. 20773;Cass. Sez. U. 14 gennaio 2020, n. 412;Cass. Sez. U. 6 novembre 2020, n. 24896). 2.3. — Il secondo motivo è inammissibile. Le argomentazioni ivi svolte non appaiono agevolmente comprensibili e sono declinate su di un piano di astrattezza. Il ricorrente infatti lamenta che il presidente del consiglio distrettuale di disciplina non possa «giudicare» su questioni che concernono infrazioni deontologiche di cui sono accusati i membri dello stesso, ma richiama, al riguardo, una funzione del detto Sez. U. -RG 23231/2021 Udienza pubblica 22.2.2022 8 costituzione della sezione competente a giudicare sull'illecito: art. 14, comma 4, del reg. n. 2/2014, sul procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati). Successivamente pone un quesito che prospetta una situazione diversa da quella sopra indicata, facendo riferimento all'illecito deontologico commesso non già dai membri del consiglio di disciplina, ma ai danni dei componenti del medesimo. Tutte queste argomentazioni non sono inoltre accompagnate da precisi riferimenti alla vicenda che qui interessa: il che rende il motivo carente della necessaria specificità. Il mezzo di censura si risolve, poi, in una deduzione di violazione di norme costituzionali che presenta le medesime carenze di cui si è visto (2.1): deduzione che non può, per quanto esposto, avere ingresso. 3. — Nulla deve statuirsi in punto di spese.
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