Cass. civ., sez. I, sentenza 12/06/2020, n. 11344

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 12/06/2020, n. 11344
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11344
Data del deposito : 12 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 5498/2016 R.G. proposto da DALLA ROSA PAOLO, in proprio e nella qualità di liquidatore p.t. della DALLA ROSA & TREVISIN COSTRUZIONI EDILI S.N.C. in liquidazione, e PASQUALI ANNAMARIA, rappresentati e difesi dagli Avv. S T, Jacopo To- gnon e G M, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultima in Roma, via Giulianello, n. 26;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO DELLA DALLA ROSA & TREVISIN COSTRUZIONI EDILI S.N.C. IN LIQUIDAZIONE, DI DALLA ROSA PAOLO E PASQUALI ANNA MARIA, in persona del curatore p.t. Dott. O G, rappresentato e difeso dagli Avv. A P e D B D P, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via F. Cesi, n. 72;
U`')

- controricorrente -

e BETON CANDEO S.R.L. e

IMMOBILIARE GEMINI DI MICHELOTTO GIULIANO

8( C. S.A.S.;
- intimate - avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 72/16, depositata il 19 gennaio 2016. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2020 dal Consigliere G M;
uditi gli Avv. P P, per delega dell'Avv. G M, e D B d P;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S D M, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto dell'8 luglio 2015, il Tribunale di Padova, su istanza della Beton Candeo S.r.l. e dell'Immobiliare Gemini di Michelotto Giuliano & C. S.a.s., dichiarò risolto il concordato preventivo della Dalla Rosa & Trevisin Costruzioni Edili S.n.c. in liquidazione, per grave inadempimento, pronun- ciando contestualmente sentenza di fallimento della società e dei soci Paolo Dalla Rosa e Anna Maria Pasquali.

2. Il reclamo proposto dai falliti è stato rigettato dalla Corte d'appello di Venezia con sentenza del 19 gennaio 2016. A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la nullità della pronuncia di risoluzione, in quanto adottata con decreto anziché con sentenza e non recante la sottoscrizione dell'estensore, rilevando che in te- ma di annullamento o risoluzione del concordato preventivo la disciplina prevista dagli artt. 137 e 138 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, richiamata dall'art. 186, trova applicazione solo in quanto compatibile, ed osservando che, a differenza di quanto accade nel concordato fallimentare, la risoluzio- ne o l'annullamento non comporta automaticamente la riapertura del falli- mento, con la conseguente esclusione della necessaria compresenza delle due statuizioni in un unico provvedimento, incidente sullo status del debito- re ed avente la stessa forma della dichiarazione di fallimento. Premesso inoltre che il piano concordatario prevedeva una cessio bono- rum meramente liquidatoria, con previsione del pagamento integrale dei crediti ,r::deducibili e di que!!i privilegi:2U e del 45% dei crediti chirografari, ha richiamato la sentenza di primo grado, la quale, dopo aver rilevato che nel corso della liquidazione le prospettive erano decisamente peggiorate, in quanto le aste disposte per la vendita dei beni immobili erano andate deser- te, aveva dato atto dell'avvenuto superamento del termine per l'adempi- mento, ed aveva concluso per l'oggettiva impossibilità del concordato di as- solvere la sua funzione di assicurare ai creditori una soddisfazione non irri- soria in tempi ragionevoli. Ciò posto, la Corte ha rilevato che i reclamanti si erano limitati ad af- fermare apoditticamente il carattere meramente indicativo della previsione dell'art. 161, secondo comma, lett. b) [recte: lett. e)], della legge fall., in- trodotto dall'art. 33, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, trascurando la portata innovativa di tale disposizione, volta a sopperire alla difficoltà di ancorare e delimitare l'azione di risoluzione, non più esercitabile dopo un anno dalla scadenza del termine fissato per l'adempimento, nonché a tutelare i creditori chirografari, ai quali è preclusa l'azione di risoluzione nel caso in cui il ricavo della vendita si discosti anche notevolmente dalla percentuale indicata nel piano concordatario. Ha inoltre escluso che alla li- quidazione concordataria possa trovare applicazione la durata ragionevole prevista dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 per l'esecuzione immobiliare, a- vuto riguardo alla libera determinazione della tempistica proposta dal debi- tore ai creditori ed alla diversità dei due istituti. Precisato infine che il fallimento era stato dichiarato su istanza proposta non solo dall'Immobiliare Gemini, che non era titolare di un credito liquido ed esigibile, ma anche della Beton Candeo, titolare di un credito incontesta- to, la Corte ha rilevato che non era stato censurato l'accertamento dell'in- solvenza della società debitrice, il cui patrimonio residuo risultava sufficiente a soddisfare soltanto in parte i creditori, ritenendo inoltre legittima l'esten- sione automatica del fallimento alla Pasquali, in qualità di socio di una socie- tà in nome collettivo, ed escludendo che l'eventuale simulazione della pre- detta posizione fosse opponibile ai creditori, in qualità di terzi di buona fede.

3. Avverso la predetta sentenza la Dalla Rosa & Trevisin, il Dalla Rosa e la Pasquali hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. curatore del fallimento ha resistito con con- troricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Con ordinanza del 3 aprile 2017, la causa, originariamente avviata alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., è sta- ta rimessa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile, ai sensi dell'art. 380-bis, terzo comma, cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione d'inammissibilità dell'impu- gnazione, sollevata dalla difesa del curatore in relazione alle modalità di re- dazione del ricorso, ed in particolare all'esposizione sommaria dei fatti di causa, che, in quanto consistente nella pedissequa riproduzione dei provve- dimenti di primo grado, del reclamo e della sentenza impugnata, investe questa Corte della lettura integrale degli atti del giudizio, senza individuare specificamente i profili fattuali rilevanti ai fini della comprensione dei motivi d'impugnazione. E' pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato dalla giurispru- denza di legittimità, il rispetto dell'art. 366, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. postula che il ricorso contenga una narrazione chiara ed esauriente, an- che se non analitica o dettagliata, della vicenda sostanziale e processuale, dalla quale risultino tutti gli elementi necessari a consentire di prendere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alla sentenza impugnata, sen- za dover accedere ad altri atti del processo (cfr. Cass., Sez. VI, 28/05/2018, n. 13312;
3/02/2015, n. 1926;
Cass., Sez. I, 31/07/2017, n. 19018). Tale onere non può tuttavia ritenersi inadempiuto per il solo fatto che l'esposi- zione dei fatti di causa sia costituita da un mero assemblaggio degli atti processuali, realizzato mediante l'integrale riproduzione del loro contenuto, trattandosi di una modalità di redazione del ricorso che non impedisce di per sé la comprensione dei profili fattuali e giuridici rilevanti ai fini della decisio- ne, a condizione che, come accade nel caso in esame, gli stessi, non specifi- cati nella narrativa dell'atto, emergano comunque con chiarezza dall'illustra- zione dei motivi d'impugnazione (cfr. Cass., Sez. V, 4/04/2018, n. 8245;
18/09/2015, n. 13363;
Cass., Sez. VI, 30/10/2015, n. 22185).

2. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 132, 135, 137, 138 e 186 della legge fall., censu- rando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità del provvedimento di risoluzione del concordato, adottato con decreto, anziché con sentenza. Precisato che la questione non riguarda il nomen juris del provvedimento, ma la necessità della sottoscrizione del relatore e della mo- tivazione, sostengono che la forma della sentenza non è incompatibile con la disciplina dettata dall'art. 186, contestando inoltre la pertinenza del rife- rimento al provvedimento di omologa del concordato, per il quale l'art. 180 della legge fall., oltre a richiedere espressamente la forma del decreto, pe- raltro motivato, esclude l'impugnabilità, a differenza di quanto accade per il provvedimento di risoluzione. Ribadiscono l'irrilevanza della diversità di ef- fetti tra la risoluzione del concordato preventivo e quella del concordato fal- limentare, alla luce dell'espresso richiamo dell'art. 137 da parte dell'art. 186, nonché della contestualità, rilevabile nel caso in esame, tra la dichiara- zione di fallimento e la risoluzione del concordato.

2.1. Il motivo è infondato. In ordine alla forma del provvedimento di risoluzione, la sentenza im- pugnata ha correttamente richiamato il principio, enunciato dalla giurispru- denza di legittimità, secondo cui, per effetto della clausola di compatibilità che lo accompagna, il rinvio agli artt. 137 e 138 della legge fall., contenuto nell'ultimo comma dell'art. 186, non può essere esteso alla forma del prov- vedimento di annullamento o risoluzione del concordato preventivo, il quale, a differenza di quello di annullamento o risoluzione del concordato fallimen- tare, non dev'essere pronunciato con sentenza, ma con decreto, avuto ri- guardo alla diversità dei relativi effetti, che non consistono nell'automatica dichiarazione di fallimento, sia perché il concordato preventivo non presup- pone necessariamente lo stato d'insolvenza del debitore, sia perché, come è L stato espressamente ribadito proprio in tema di traumatica cessazione della procedura in questione, l'attuale disciplina della dichiarazione di fallimento non conosce più l'iniziativa ufficiosa (cfr. Cass., Sez. VI, 22/02/2012, n. 2671). Nel contestare tale orientamento, i ricorrenti non sono in grado di addurre nuovi argomenti a sostegno dell'opposta tesi, ma si limitano ad in-- sistere su profili già presi in considerazione dal precedente citato, e segna- tamente sull'espresso richiamo della disciplina del concordato fallimentare, in ordine al quale questa Corte ha posto in risalto la portata della clausola di compatibilità contenuta nell'ultimo comma dell'art. 186 cit., nonché sulla contestualità della dichiarazione di fallimento rispetto alla pronuncia di riso- luzione del concordato, la quale, come si è detto, costituisce un dato mera- mente eventuale, potendo in concreto non verificarsi, ove alla predetta pro- nuncia non faccia riscontro la proposizione di un'istanza di fallimento, oppu- re si accerti che lo stato di crisi dell'impresa che ha dato luogo all'apertura della procedura di concordato non è apertamente sfociato in una situazione di irreversibile incapacità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazio- ni. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che la pronuncia di risoluzione non richiedesse, oltre alla sottoscri- zione del presidente del collegio, quella del relatore, la cui necessità dev'es- sere esclusa, ai sensi dell'art. 135 cod. proc. civ., allorquando, come nella specie, il provvedimento, nonostante la forma collegiale e la natura deciso- ria, che lo rendono sostanzialmente assimilabile ad una sentenza, debba es- sere emesso con decreto, per espressa disposizione di legge (cfr. Cass., Sez. I, 2/10/2015, n. 19722;
Cass., Sez. VI, 2/07/2013, n. 16493;
Cass., Sez. I, 29/01/2010, n. 2134). La natura decisoria della pronuncia di risolu- zione comporta poi, pur in mancanza di un'espressa previsione di legge, il dovere, nella specie puntualmente adempiuto, di esporre compiutamente le relative ragioni, indipendentemente dalla circostanza che la decisione debba essere adottata con decreto, anziché con sentenza, mentre la non impugna- bilità in via autonoma del provvedimento non comporta alcun pregiudizio per il diritto di difesa, dal momento che, nel caso in cui alla risoluzione del concordato faccia seguito la dichiarazione di fallimento, eventuali vizi della prima si riflettono sulla validità della seconda, e possono quindi essere fatti valere come motivi di reclamo nei confronti della stessa, in applicazione a- nalogica del principio di cui all'art. 162 della legge fall. (cfr. Cass., Sez. I, 19/07/2016, n. 14788;
Cass., Sez. VI, 22/02/2012, n. 2671, cit.;
v. anche, in riferimento alla dichiarazione d'inammissibilità, al diniego ed alla revoca dell'ornologazione dei concordato preventivo, Cass., Sez. Un., 15/05/2015, n. 9935;
Cass., Sez. I, 26/09/2013, n. 22083;
30/05/2014, n. 12185).
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