Cass. civ., sez. III, sentenza 03/08/2004, n. 14813

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Per gli enti pubblici, la mancanza della deliberazione autorizzativa a stare in giudizio incide sulla legittimazione processuale ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento; il suo difetto, tuttavia, comporta solo l'inefficacia e non anche, l'invalidità della costituzione dell'ente, con la conseguenza che la produzione del relativo documento può intervenire anche in Cassazione, sanando così retroattivamente i vizi prodottisi nelle fasi precedenti, sempre che non sia già intervenuta una pronuncia del giudice di merito in ordine al riscontrato difetto di legittimazione processuale.

Non è rilevabile d'ufficio in sede di legittimità l'eventuale inammissibilità della eccezione proposta per la prima volta in appello, in riferimento al nuovo testo dell'art. 345 cod.proc.civ. nuova formula, nel testo risultante dopo la novellazione contenuta nell'art. 52 della legge 26 novembre 1990,n.353, qualora la questione non sia stata sollevata dal controricorrente.

Rientra nei poteri del presidente di un ente autonomo che, ai sensi del decreto legislativo istitutivo dello stesso, ne abbia la rappresentanza legale, quello di dare disdetta del contratto di locazione stipulato dall'ente, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione.

La proroga biennale stabilita dall'art. 11, comma secondo bis, legge 8 agosto 1992 n. 359, della scadenza contrattuale dei contratti di locazione stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, concerne soltanto gli immobili adibiti ad uso di abitazione, com'è desumibile sia dalla Relazione al Parlamento sul D.L. 11 luglio 1992 n. 333, (che chiarisce di voler incidere sulla disciplina dell'equo canone, destinato progressivamente ad esser liberalizzato, onde assicurare una più adeguata possibilità di reddito all'edilizia abitativa, a fronte dell'inasprimento fiscale sulla proprietà immobiliare, introdotto con il medesimo decreto legge, per prevenire la contrazione della disponibilità di alloggi abitativi da condurre in locazione ed assicurare la continuità degli investimenti nel settore) sia da ragioni di ordine esegetico, desumibili dal richiamo contenuto nel comma secondo dell'art. 11 precitato, all'art. 24 legge 27 luglio 1978 n. 392, concernente l'aggiornamento del canone di immobili ad uso abitativo, e non dall'art. 32, e dall'omessa previsione, per la stipula degli accordi in deroga, dell'assistenza delle organizzazioni di categoria dei conduttori commercianti, artigiani e professionisti (vedi Corte Costituzionale 21 luglio 1993 n. 323).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 03/08/2004, n. 14813
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14813
Data del deposito : 3 agosto 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Presidente -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. L A - Consigliere -
Dott. L P M - rel. Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S L, elettivamente domiciliato in Roma, Via Crescenzio n. 63, presso lo studio dell'avv. M T, difeso dall'avv. R M, giusta delega in atti.


- ricorrente -


contro
Mostra d'Oltremare S.p.A. (già Ente Autonomo Mostra d'Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo), in persona del suo legale rappresentante prof. R C, elettivamente domiciliata in Roma, Via Boncompagni n. 71/C, presso lo studio dell'avv. S C, che la difende, giusta delega in atti.


- controricorrente -


avverso la sentenza n. 3119/00 della Corte d'appello di Napoli, sezione terza civile, emessa il 24 novembre 2000 e depositata il 20 dicembre 2000 (R.G. 2982/99);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11 maggio 2004 dal relatore consigliere dott. M L P;

udito l'avv. M T (delegato dall'avv. R M);

udito il P.M., nella persona del sost. Proc. Gen. Dott. F R, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. L'Ente Autonomo Mostra d'Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo (E.A.M.O.) intimò, in data 9 maggio 1997, a L S licenza per finita locazione e lo citò a comparire per la convalida davanti alla Pretura di Napoli.
Espose:
- che aveva concesso in locazione a Giuseppina Torrente un terreno da adibire a campi da tennis;

- che il rapporto, decorrente dal 4 gennaio 1985, era venuto a scadenza il 30 giugno 1992 e si era rinnovato tacitamente fino al 29 giugno 1998;

- che nel contratto era succeduto, nella qualità di conduttore, L S;

- che con lettera raccomandata del 13 dicembre 1996 aveva manifestato al detto conduttore la propria volontà di non rinnovare ulteriormente il contratto.


2. L S si oppose alla convalida eccependo:
- che l'azione era inammissibile perché proposta dall'ente pubblico in assenza della deliberazione e dell'autorizzazione del consiglio di amministrazione;

- che il contratto prevedeva una durata iniziale di sette anni e sei mesi con clausola di tacito di rinnovo, sicché alla prima scadenza il rapporto si era rinnovato per altri sette anni e sei mesi e quindi fino al dicembre 1999;

- che doveva essere computata la proroga biennale di cui alla legge n. 359 del 1992. 3. Il Pretore rilevato che il consiglio di amministrazione dell'E.A.M.O., con atto n. 689 del 12 settembre 1997, aveva deliberato la proposizione del giudizio e che, pertanto, si era verificata un'ipotesi di sanatoria a norma dell'art. 182, secondo comma, c.p.c., emise ordinanza provvisoria di rilascio e, proceduto
al mutamento del rito, accolse la domanda indicando però quale data di cessazione del rapporto quella del 30 dicembre 1999, sul presupposto che il contratto, alla prima scadenza, si era rinnovato per altri sette anni e sei mesi e cioè per una durata pari a quella contrattualmente pattuita;
negò che potesse essere applicata la proroga biennale di cui all'art. 11 del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, poiché il contratto aveva ad oggetto una locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo.


4. Contro la sentenza propose appello L S deducendo:
- l'invalidità della disdetta perché sottoscritta dal presidente dell'ente, privo dei poteri di rappresentanza negoziale oltre che processuale;

- l'inidoneità della disdetta a determinare la cessazione del rapporto, atteso che ai sensi della clausola n. 5 del contratto di locazione per evitare la rinnovazione del contratto era necessario che fossero intervenute "particolari circostanze", che avrebbero dovuto essere indicate, tali da indurre l'ente a non rinnovare il rapporto;

- l'applicabilità della proroga biennale di cui alla legge n. 359 del 1992. 5. All'appello resistette l'ente locatore.


6. La Corte d'appello respinse l'impugnazione osservando:
- che la disdetta poteva essere data anche da un mandatario;

- che il difetto di rappresentanza processuale iniziale del presidente dell'ente doveva ritenersi sanato per effetto della delibera di ratifica del consiglio di amministrazione dell'ente;

- che la soggezione della disdetta, per effetto dell'accordo contrattuale, alla sussistenza di particolari circostanze doveva ritenersi limitata alla prima scadenza non potendo ipotizzarsi tale limite per ogni successiva scadenza;

- che la proroga biennale era limitata alle sole locazioni abitative.

7. L S ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta sentenza.


8. Al ricorso ha resistito con controricorso la S.p.A. Mostra d'Oltremare (già Ente Autonomo Mostra d'Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo).


9. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
10. Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 75,77 e 182 c.p.c.. Si deduce, che "la mancanza della deliberazione autorizzativa a stare in giudizio non integra un requisito di efficacia ma di validità dell'atto, insanabile ex post;
l'instaurazione di un procedimento legale ed il conferimento dell'incarico ad un legale rappresentante rientra nei tipici atti di straordinaria amministrazione ed andava pertanto autorizzato preventivamente alla proposizione dell'azione;
e v'è di più: era la stessa disdetta che non poteva validamente intervenire ad opera di un soggetto non autorizzato oltreché sprovvisto di mandato e dei sottostanti poteri negoziali;
sicché, in difetto di valida disdetta, doveva rigettarsi la domanda". 11. La censura è infondata.
11.1. Ai sensi dell'art. 2 del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 1314, recante "Trasformazione dell'Ente autonomo mostra triennale
delle terre italiane d'oltremare in Ente autonomo mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo" (pubblicato nella G.U. n. 266 del 15 novembre 1948), l'ente locatore, prima della sua successiva trasformazione in S.p.A. Mostra d'oltremare, era amministrata da un presidente che ne aveva la rappresentanza legale e da un consiglio di amministrazione.
Stante detta qualità di rappresentante legale dell'ente, deve ritenersi che il presidente avesse il potere (in mancanza di prova di limitazione delle sue attribuzioni) di dare disdetta del contratto di locazione stipulato dall'ente da lui rappresentato, atteso che la disdetta rientra tra gli atti di ordinaria amministrazione (v. Cass. n. 3095 del 1968), e ciò supera le osservazioni mosse dal ricorrente
alla sentenza impugnata.
11.2. Quanto alla mancata autorizzazione al presidente di promuovere il giudizio ed agli effetti che da tale mancanza il ricorrente pretende derivare, sia con riferimento al potere di conferire la procura al difensore, sia con riferimento alla legittimazione ad agire in giudizio, è sufficiente ricordare che, con riferimento agli enti pubblici, ove sia richiesta l'autorizzazione a stare in giudizio da parte di organo diverso da quello che abbia la rappresentanza dell'ente, la mancanza della autorizzazione non comporta la invalidità degli atti compiuti dal rappresentante legale ma soltanto la loro inefficacia, sanabile con effetto retroattivo, anche con riferimento al conferimento della procura, qualora successivamente alla introduzione del giudizio l'organo cui compete abbia concesso l'autorizzazione a stare in giudizio (Cass. n. 6166/98, tra le tante).
12. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. e dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978. Si deduce che la Corte d'appello, nell'interpretare la clausola con la quale si era pattuito il rinnovo del contratto ove non fossero intervenute particolari circostanze tali da indurre l'ente ad evitare il rinnovo medesimo, non aveva tenuto conto dei canoni di interpretazione dettati dagli artt. 1362, 1363, 1367, 1369 e 1371 del c.c. e non aveva considerato che il ricorrente si era obbligato ed
aveva realizzato una serie di opere che lasciavano intendere una natura duratura del rapporto;
si deduce che già per legge il contratto avrebbe dovuto essere rinnovato alla prima scadenza in assenza di uno dei motivi indicati nell'art. 29 della legge n. 392 del 1978, cosicché appariva illogico affermare che la clausola si
riferisse solo alla prima scadenza contrattuale e non anche alle successive scadenze. Pertanto, con la disdetta, anche se successiva alla prima, l'ente locatore avrebbe dovuto indicare le particolari ragioni che lo avevano indotto a richiedere la cessazione del rapporto, riproducendosi anche per le successive scadenze il medesimo meccanismo previsto dall'art. 29 della legge n. 392 del 1978. 13. La censura è infondata.
13.1. In via preliminare si osserva che il giudice d'appello, pur avendo rilevato la novità della deduzione del Salemme in ordine alla pretesa rinnovazione del contratto per effetto della clausola contrattuale, ha ritenuto di doverla comunque esaminare, ravvisando nella stessa una "eccezione" diretta a "paralizzare la domanda dell'appellato vittorioso".
Questo punto della decisione non è stato impugnato dalla controricorrente per cui è inibito a questa Corte il rilievo d'ufficio dell'eventuale inammissibilità della nuova eccezione in appello, in riferimento all'art. 345 del c.p.c. nel testo risultante dopo la sostituzione dell'originario articolo, per effetto dell'art. 52 della legge 26 novembre 1990 n. 353, in vigore dal 30 aprile 1995,
ai sensi dell'art. 92, secondo comma, della stessa legge, come modificato dall'art. 6 del d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, convertito, con modificazioni, con la legge 6 dicembre 1994 n. 673, applicabile nella fattispecie trattandosi di giudizio iniziato in data 9 maggio 1997.
13.2. La clausola di cui si discute, riprodotta nella sentenza impugnata, è del seguente tenore: "La locazione sarà rinnovata anche tacitamente per eguale periodo, tranne che non intervengano particolari circostanze che inducano l'ente ad evitare il rinnovo". 13.3. La Corte d'appello, stante il tenore della clausola, ha ritenuto che "le sopravvenute esigenze" non potevano che "riguardare il primo rinnovo" come era "reso palese dal contenuto del patto in analisi" ed ha aggiunto che "il primo rinnovo poteva essere denegato per sopravvenienza di particolari circostanze, ma non già essere imposto un rinnovo in eterno se siffatte circostanze non si fossero verificate".
13.4. Deve in primo luogo osservarsi che, sebbene siano dedotte dal ricorrente specifiche censure in relazione ai canoni interpretativi che il giudice d'appello avrebbe violato, tuttavia la censura nel suo complesso si risolve nella prospettazione di una diversa interpretazione della clausola contrattuale, atteso che non appaiono censurabili, sotto i profili indicati dal ricorrente, le argomentazioni che il giudice d'appello ha addotto a sostegno del convincimento secondo cui la clausola si riferiva soltanto al primo rinnovo e non ai successivi.
13.5. Assorbente, in ogni caso, appare nella specie l'osservazione che se anche fosse esatto l'assunto, secondo cui la clausola era riferibile non alla prima scadenza del contratto, ma alle successive, non ne deriverebbero le conseguenze che il ricorrente ne vuole trarre e cioè che il meccanismo risolutorio del rapporto avrebbe dovuto operare negli stessi termini di cui all'art. 29 della legge n. 392 del 1978. Infatti, il sistema previsto dall'art. 29, sopra citato, incide esclusivamente sulla prima scadenza del contratto, allorquando il locatore voglia richiedere la cessazione del rapporto ed impedire che esso si rinnovi per l'ulteriore periodo previsto dalla legge. Quando, invece, una clausola come quella indicata riguarda una scadenza successiva alla prima non può essere applicato il meccanismo di cui alla richiamata norma, poiché sono le parti e non la legge - quest'ultima diretta a regolare il diritto del conduttore al rinnovo del contratto solo con riferimento alla prima scadenza - ad avere posto dei limiti al rinnovo ulteriore del contratto. Ammesso che le parti, come sostiene il ricorrente, con l'introduzione della clausola avessero inteso riferirsi alle scadenze successive alla prima, detta clausola si configurerebbe come una condizione meramente potestativa risolutiva, che la giurisprudenza (Cass. sez. 2^, 15 settembre 1999, n. 9840) ritiene legittima, poiché la legge ritiene la nullità della sola condizione meramente potestativa sospensiva (art. 1355 c.c.). Con riferimento all'esercizio della facoltà di non rinnovare il contratto - in attuazione della clausola risolutiva meramente potestativa - la parte che subisce la risoluzione del rapporto può eventualmente denunciare che essa sia stata esercitata, con abuso del diritto, in violazione dei principi di correttezza, affidamento e buona fede, senza altro scopo che quello di nuocere all'altra parte. Ma ciò esula dal presente giudizio in cui tale ipotesi non è stata prospettata dalla parte, la quale si è limitata a sostenere, sulla premessa che la clausola era riferita alle scadenze successive alla prima, che il recesso da parte del locatore doveva avvenire nelle forme ed alle condizioni previste dall'art. 29 della legge n. 392 del 1978. 14. Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa interpretazione della legge n. 392 del 1978 e della legge n. 94 del 1982. La censura investe il punto della sentenza che ha negato l'applicabilità della proroga biennale;
tuttavia essa viene svolta con riferimento alla proroga biennale prevista dall'art. 15-bis della legge n. 94 del 1982 (rectius: del d.l. n. 9 del 1982 convertito con
la legge n. 94 del 1982). 15. Il richiamo alla suddetta normativa appare per un verso poco comprensibile, atteso che il contratto non era soggetto alla disciplina transitoria di cui alla legge n. 392 del 1978, essendo stato stipulato in epoca successiva all'entrata in vigore della suddetta legge, e per altro verso introduce una questione del tutto nuova e pertanto inammissibile in questa sede.
In ogni caso, e con riferimento alla proroga biennale di cui all'art 11, comma 2-bis, del d.l. n. 333 del 1992 (successivamente abrogato
dall'art. 14 della legge 9 dicembre 1998, n. 431), la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che essa "concerne soltanto gli immobili adibiti ad uso di abitazione, com'è desumibile sia dalla Relazione al Parlamento sul d.l. 11 luglio 1992 n. 333, che chiarisce di voler incidere sulla disciplina dell'equo canone, destinato progressivamente ad esser liberalizzato, onde assicurare una più adeguata possibilità di reddito all'edilizia abitativa, a fronte dell'inasprimento fiscale sulla proprietà immobiliare, introdotto con il medesimo decreto legge, per prevenire la contrazione della disponibilità di alloggi abitativi da condurre in locazione ed assicurare la continuità degli investimenti nel settore, sia per ragioni di ordine esegetico, desumibili dal richiamo contenuto nel comma 2 dell'art. 11 precitato, all'art. 24 l. 27 luglio 1978 n. 392, concernente l'aggiornamento del canone di
immobili ad uso abitativo, e non dell'art. 32, e dall'omessa previsione, per la stipula degli accordi in deroga, dell'assistenza delle organizzazioni di categoria dei conduttori commercianti, artigiani e professionisti" (v. in tal senso sent. n. 12236/98, cui adde sent. n. 8959 del 1997 e sent. n. 15143 del 2000). 16. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. 17. Ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese del processo di Cassazione.

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