Cass. pen., sez. V, sentenza 14/04/2021, n. 14013
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MESSINA ANTONIO ALFIO nato a CATANIA il 04/12/1988 avverso l'ordinanza del 07/08/2020 del TRIB. LIBERTA' di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;lette/sentite le conclusioni del PG VINCENZO SENATORE , RITENUTO IN FATTO 1.M A A ricorre, per mezzo del difensore di fiducia, avverso l'ordinanza del 7.8.2020, con la quale il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato il provvedimento del Giudice delle indagini preliminari della medesima città del 24.7.2020, applicativo nei suoi confronti della misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 216, 219 e 223 del R. D. n. 267 del 1942, ovvero a plurime condotte di bancarotta patrimoniale, documentale ed impropria (di cui ai capi A, B e C dell'imputazione provvisoria). 2. Il ricorrente censura l'ordinanza impugnata deducendo quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo denuncia la assoluta coincidenza delle contestazioni contenute nel capo A ( in cui viene contestato il reato di bancarotta patrimoniale di cui all'articolo 216 R.d. 267/42 ), rispetto a quelle contenute nel capo B ( nel quale è contestato il delitto di cui all'articolo 223 comma 2 nr. 2 R.d. 267/42 richiamando le medesime condotte di cui al capo A che precede ovvero quelle distrattive ). Tale totale sovrapposizione - inammissibile a tenore della giurisprudenza di questa Corte che richiede, ai fini dell'integrazione anche del reato di cui al comma 2 n. 2 dell'art. 223, che le condotte non si siano esaurite nelle azioni distrattive già ricomprese nello schema della bancarotta di cui all'art. 216, ma si siano verificati autonomi e differenti comportamenti dolosi i quali siano stati causa del fallimento - si traduce, peraltro, nell'ambito della impugnata ordinanza, nella totale assenza di motivazione in relazione al delitto di cui al capo B, al punto che il Tribunale del Riesame si limita ad osservare che si tratta di una imputazione meramente provvisoria, cristallizzandosi la formulazione della stessa solo al momento dell'esercizio effettivo dell'azione penale ( e, poi, nelle conclusioni, ad un sintetico richiamo alle manovre distrattive, corredato da alcune massime di questa Corte ).In relazione a tale considerazione la difesa ribadisce l'assenza di motivazione in relazione ai gravi indizi sullo specifico delitto contestato al capo B, che ha reiterato il vizio già presente nella ordinanza genetica parimenti carente al riguardo. 2.2.Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al reato di bancarotta per distrazione ( per essere essa meramente apparente, riproduttiva della impostazione del G.i.p. senza considerare quanto detto dalla difesa anche nella memoria difensiva e quanto risultante dalla documentazione prodotta ). Nella memoria difensiva si era, in particolare, evidenziato che l'unica "colpa" dei soci della fallita DO.SI.AN . era stata quella di avere affiancato C Antonio, già collaboratore, ed a sua volta titolare di una ditta individuale che operava anche in collaborazione con la Do. SI. AN. s.r.l. in subappalto, il cui apporto era poi diventato via via sempre più concreto. I contrasti insorti successivamente con il C avevano determinato la fuoriuscita del ricorrente, unitamente al socio Zingale, dalla fallita. In particolare ai soci M-Zingale veniva trasferita una parte delle attività della fallita ( solo due delle numerose qualificazioni ) mentre gli altri contratti in corso rimanevano in capo alla Do.SI.An. s.r.I.. Nello specifico, la cessione di due qualificazioni (unitamente ai relativi lavoratori ed alla quota T.f.r. di questi ultimi) si rendeva necessaria al fine di consentire alla Catania Impianti di essere iscritta all'albo dei fornitori Telecom. Anche nel corso della gestione C la fallita continuava ad operare, come documentato dall'accertamento tributario subìto per gli anni 2015 e 2016. Nulla sapeva M della grave situazione debitoria di C, mentre la circostanza dello svolgimento dell'attività anche dopo la cessione del ramo d'azienda smentiva la tesi accusatoria dello svuotamento della fallita e dimostrava che la società non solo non era stata svuotata ma non era neppure in default perché altrimenti non avrebbe potuto più lavorare, mentre, invece, aveva proseguito i contratti rimasti in capo alla stessa, in particolare quello con la SIELTE ( circostanze evincibili anche proprio dall'accertamento tributario subito dalla società in relazione agli anni 2015 e 2016, recuperato a tassazione ). 2.2.1.La difesa lamenta, altresì, la mancata valorizzazione da parte del Tribunale della ricostruzione alternativa della scelta di recedere, avendo il collegio insistito nell'asserire che l'attribuzione del valore delle quote sia oscuro e distorto senza, tuttavia, spiegare le ragioni di tale convincimento. Di contro, il valore si basava su ben individuati indici di mercato ed era tutt'altro che sproporzionato. Contesta, la difesa, l'affermazione secondo cui la dismissione dei beni in favore dei soci sarebbe avvenuta omettendo il soddisfacimento dei debiti sociali rimasti insoluti, essendo smentita tale tesi dal fatto che dallo stato passivo risulta che gli unici debiti erano quelli maturati in epoca successiva alla fuoriuscita del ricorrente dalla compagine sociale;in altri termini al momento delle cessioni — a differenza di quanto si afferma nei provvedimenti - l'esposizione della DO.SI.AN . era assolutamente fisiologica rispetto al volume d'affari ed anche i debiti vero l'Erario non rappresentavano affatto la voragine sostenuta, riconducibile piuttosto all'attività svolta successivamente alla cessione dal C. 2.2.2.11 ricorso passa, poi, in rassegna le singole contestazioni di distrazioni nel seguente ordine. A. Cessione di ramo di azienda ( relativo alle due qualificazioni con la ditta Sielte, sub-appaltante della Telcom ) . Sul punto la difesa segnala che il prezzo di euro 15.000 non era il corrispettivo versato, bensì il residuo da corrispondere, tenuto conto dell'importo di oltre euro 50.000 pagati con bonifico bancario dalla Catania Impianti risultante dall'accollo del T.F.R. dei dipendenti ceduti dalla fallita. Nessuna finalità di svuotamento era sottesa a tale operazione dal momento che la fallita non si trovava al tempo della cessione del ramo di azienda in decozione, tanto che essa aveva continuato a lavorare anche dopo il 9.12.2013, avendo fatturato nell'anno 2014 nei confronti delle società subappaltatrici di Telecom il considerevole importo di euro 1.394.000 ( come desumibile dall'esame degli estratti conto del 2014 in atti );di talchè non era corretto parlarsi di svuotamento della fallita. B. Cessione degli immobili. La motivazione del Tribunale, secondo cui questa operazione aveva privato la società di un attivo da destinare a garanzia dei creditori, è del tutto apparente, dal momento che, in realtà, con quella operazione i soci uscenti non conseguivano nemmeno il valore nominale delle quote e, soprattutto, liberavano la società di debiti ipotecari per il complessivo importo di euro 571.891,24 gravanti sui detti immobili. C. Pagamento di fatture false. Anche rispetto a tale punto la difesa lamenta il vizio della motivazione, essendosi il Tribunale limitato a ipotizzare, in assenza di prova al riguardo, che le somme di cui agli accertati versamenti per complessivi euro 556.681,02, per pagamento in contanti di fatture emesse nel 2012 e 2013 in favore della ditta individuale C e della "ASD Aci Sant'Antonio Calcio", fossero state restituite al soggetto pagatore. D. Restituzione dei finanziamenti al socio 2:ingale A. Il Tribunale ha ritenuto il complessivo importo di euro 99.995, restituito al socio, frutto di distrazione sul presupposto - per la difesa errato - che a tale restituzione si potesse procedere solo a seguito di riduzione del capitale. La difesa, nel ribadire che l'importo del prestito originariamente eseguito dal socio era di euro 99.995 - come risultante dalle movimentazioni del conto corrente che, ove esaminato nella sua interezza, avrebbe consentito di appurare che i finanziamenti nel tempo non erano circoscritti alla somma di euro 59.495 ma ammontavano ad euro 99.995 ovvero esattamente alla somma poi oggetto di restituzione - eccepisce che al momento della avvenuta restituzione la società non versava in condizioni di dissesto economico, tali da richiedere la sua messa in liquidazione, di talchè era stata legittima la restituzione, e in ogni caso risultava finanziato l'intero importo poi ottenuto in restituzione.E. Prelievi in contanti. Sul punto si lamenta il vizio della motivazione perché il Tribunale si sarebbe limitato a valorizzare la sola circostanza dell'avvenuto prelievo, senza apparente giustificazione, senza in alcun modo soffermarsi sulla effettiva destinazione delle somme ( attribuendo peraltro al M anche prelievi successivi alla cessazione della carica di amministratore risalente al 30.4.1.4 ) . Nella parte finale del motivo, il ricorrente dispiega difesa anche in relazione alla contestata bancarotta fraudolenta documentale. La difesa, sul punto, evidenzia che M aveva mantenuto la carica di amministratore fino al giugno 2014, mentre solo il 27.12.2014 l'amministratore C aveva denunziato, peraltro in periodo non sospetto rispetto alla declaratoria di fallimento, sopraggiunta nel 201.8, lo smarrimento delle scritture contabili. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso la difesa, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, formula eccezioni finalizzate a smentire la sussistenza del dolo e, in particolare, la tesi accusatoria secondo cui la cessione di azienda fosse finalizzata a svuotare la fallita. Risultano bonifici bancari effettuati dalla Catania Impianti — e dunque dagli indagati - alla Do.Si.An. s.r.l. per complessivi euro 1.752.885 dal 30.5.2014 al 31.3.2016 ( dato emergente dagli estratti conto e ciò nonostante trascurato dalla G.d.F. e dai provvedimenti ) in conseguenza di lavori subappaltati dalla prima alla seconda. Su tale punto la difesa lamenta il silenzio del Tribunale, segnalando che l'importo conferito dalla Catania Impianti alla fallita è notevolmente superiore all'importo complessivo delle contestate distrazioni pari a complessivi euro 180.880,93;da tale circostanza si sarebbe dovuto inferire la mancanza di dolo rispetto alle condotte distrattive;in ogni caso il versamento di quelle somme dalla Catania Impianti alla Do.Si.An. s.r.l. dimostra che non era stata messa in atto alcuna strategia di svuotamento della fallita che, anzi, era stata poi rimpinguata con una così ingente somma.
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