Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/03/2020, n. 05645

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/03/2020, n. 05645
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 05645
Data del deposito : 2 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24851/2012 R.G. proposto da 'Ì-3 STREPARAVA HOLDING S.P.A., in persona del legale rappresentante, iCA rappresentatp,e difesa, giusta procura speciale delp maggio 20151autenticata dal notaio notertaRotondo, dall' avv. A R, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Castro Pretorio, n. 122

- ricorrente -

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 98/26/11 della Commissione Tributaria regionale della Lombardia depositata il 19 settembre 2011 udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 dicembre 2019 dal Consigliere P A P C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa P M, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. B R, per delega dell'avv. A R;
udito il difensore della parte controricorrente, avv. G G FATTI DI CAUSA L'Agenzia delle entrate, sulla base dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione redatto in data 29 settembre 2006, emetteva avviso di accertamento nei confronti della società Streparava Holding s.p.a., recuperando a tassazione, per l'anno d'imposta 2003, ai fini IRPEG e IRAP, rispettivamente gli importi di euro 196.833,00 e 24.604,00 e, ai fini I.V.A., una maggiore imposta pari a euro 14.554,00 ed irrogando sanzioni. La ripresa a tassazione relativa ad IRPEG e IRAP riguardava corrispettivi percepiti dalla società contribuente quali royalties per lo sfruttamento di marchi e know how concessi dalla stessa in uso alla propria controllata olandese, Streparava International B.V., e da quest'ultima a sua volta concessi in sub-licenza alla controllata spagnola Streparava Iberica S.L., ritenuti non corrispondenti al «valore normale» di cui all'art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986 e all'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986. Il rilievo relativo all'I.V.A. concerneva tre fatture (nn. 500476, 500477 e 500478 del 30 maggio 2003), recanti la dicitura «non imponibile art. 8/a», per le quali si riteneva mancante la prova dell'avvenuta esportazione, non essendo stati dalla contribuente rinvenuti i corrispondenti DAU (Documenti amministrativi unici), né i documenti di trasporto con il timbro della dogana di uscita attestante l'avvenuta esportazione o il visto sostitutivo della dogana di partenza frontaliera. Avverso il suddetto atto impositivo ricorreva la società contribuente deducendo il difetto di motivazione dello stesso, la violazione degli artt. 12 della I. n 212 del 2000, 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, 65, 93 e 102 del d.P.R n. 917 del 1986 e, nel merito, la infondatezza di tutti i rilievi contestati;
in subordine, chiedeva che, in caso di pronuncia ad essa sfavorevole, la debenza e la riscossione delle maggiori imposte pretese fossero subordinate al preventivo espletamento e completamento delle speciali procedure tese ad evitare la doppia imposizione. La Commissione provinciale adita, con la sentenza n. 45/15/08 del 28 marzo 2008, rigettava integralmente il ricorso e avverso tale decisione proponeva appello la contribuente. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettava l'appello, confermando l'avviso di accertamento. Osservava che nessuna rilevanza poteva essere attribuita alla circostanza che la contribuente avesse fruito, per l'anno d'imposta 2000, del condono fiscale tombale, avendo l'Amministrazione finanziaria eccepito la novità dell'eccezione, sollevata soltanto in grado di appello, per violazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, e disattendeva le eccezioni di ordine formale prospettate dalla contribuente, per avere l'Ufficio compiutamente indicato le ragioni giuridiche poste a fondamento dell'avviso di accertamento. Considerava, quindi, legittimo l'accertamento operato dall'Agenzia delle entrate, affermando che «è norma di comune esperienza che la legislazione fiscale italiana è meno favorevole nei confronti dei contribuenti di quanto lo siano le legislazioni tributarie di altri Paesi» e che «è altresì evidente la sproporzione sussistente tra il compenso corrisposto dalla società iberica a quella olandese e quello corrisposto alla società verbalizzata dalla società olandese». In merito alle tre fatture in contestazione, sottolineava che anche nel giudizio di appello la contribuente aveva prodotto fotocopie della documentazione relativa all'esportazione.Ricorre per la cassazione della suddetta decisione la Streparava Holding s.p.a., affidandosi a tredici motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la contribuente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato di cui all'art. 112 cod. proc. civ. e lamenta che la Commissione regionale, nel respingere l'appello, avrebbe tralasciato di esaminare che, dovendo l'operazione essere unitariatamente considerata, l'accertamento avrebbe dovuto interessare anche l'anno 2000, nel quale era stato stipulato il contratto di concessione in licenza, anno ormai coperto dal condono tombale, avendo la società aderito alla sanatoria di cui all'art. 9 della legge n. 289 del 2002. La censura è infondata. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass, sez. 1, ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;
Cass., sez. 5, n. 29191 del 6/12/2017;
Cass., sez. 2, ord. n. 20718 del 13/8/2018). I giudici regionali, respingendo integralmente l'appello, hanno, sebbene implicitamente, disatteso tutte le eccezioni sollevata dalla contribuente, e quindi anche quella con cui si evidenziava la necessità che l'accertamento dovesse estendersi anche all'anno 2000, sicchè non è ravvisabile la violazione denunciata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deducendo, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, sostiene che i giudici di appello, nel respingere l'eccezione relativa al condono tombale, hanno implicitamente inteso decidere anche la questione con la quale si prospettava la necessità di considerare l'operazione nella sua interezza, che non costituiva domanda nuova perché già sollevata nelle difese svolte in primo grado. Formula, quindi, il seguente quesito di diritto: «dica codesta Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se, ove eccepito già in I grado che l'accertamento dovesse riguardare l'intera operazione nel suo complesso e partire dall'anno 2000, anno nel quale l'operazione medesima era stata posta in essere, ciò costituisca o meno domanda nuova, con conseguente obbligo della C.T.R. di pronunciare nel merito sul punto. Dica pertanto, codesta Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se, nell'ambito del contenzioso tributario, incorra in nullità del procedimento e della sentenza per violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. dell'articolo 57 d.lgs. n. 546/1992 la decisione (impugnata) la quale stabilendo che "Nessuna rilevanza può essere attribuita alla circostanza che parte contribuente abbia fruito per l'anno d'imposta 2000 del condono fiscale tombale, atteso che l'Ufficio ne ha chiesto la declaratoria di inammissibilità a norma dell'art. 57 del d.lgs. n. 546/92, trattandosi di domanda nuova. Pertanto questo Collegio ritiene di non poter tener conto, ai fini della decisione, della presente causa, del condono tombale fruito per l'anno 2000 dalla parte contribuente, sotto il profilo dell'incontrovertibilità delle conseguenze scaturenti per gli anni successivi, tra cui quello del 2003, da un atto stipulato nell'anno 2000", ritenga domanda nuova l'eccezione che l'operazione andasse considerata nel suo complesso e l'accertamento avrebbe dovuto innanzitutto avere ad oggetto l'anno 2000».

2.1. Preliminarmente, va rilevato che l'art. 366-bis cod. proc. civ. non è applicabile nella fattispecie ratione temporis, trattandosi di disposizione abrogata dall'art. 47 della legge n. 69/2009, che si applica alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge.

2.2. Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi. I giudici di appello, aderendo alla tesi difensiva dell'Ufficio, hanno considerato «nuova», perché introdotta solo in grado di appello, l'eccezione con la quale la contribuente ha dedotto che l'anno d'imposta 2000 fosse ormai coperto dal condono tombale di cui alla legge n. 282 del 1992, ma non la diversa questione relativa alla necessità di considerare l'operazione nella sua interezza, sulla quale si sono implicitamente pronunciati, rigettandola. Ne discende che non è ravvisabile il dedotto vizio di violazione di legge.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 9 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto infondate le eccezioni e difese svolte in ordine al contestato transfer pricing. Richiamando le argomentazioni difensive già esposte in primo ed in secondo grado, deduce che i giudici di merito ritengono che il transfer pricing si fondi su una presunzione rispetto alla quale occorre valutare la ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti, mentre dalla giurisprudenza di legittimità è dato evincere che l'Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto dimostrare che le operazioni poste in essere dalla società italiana rispondessero al fine precipuo di trasferire materia imponibile all'estero e, quindi, che l'imposizione fiscale in Italia fosse all'epoca effettivamente superiore rispetto a quella dei Paesi di residenza delle consociate estere, prova che non è stata offerta nel caso di specie, essendosi l'Agenzia delle entrate nelle proprie controdeduzioni limitata a riportare «brevi cenni sul fisco olandese», del tutto generici e sprovvisti di qualsiasi riscontro. Lamenta, quindi, che i giudici di appello hanno fondato il loro convincimento non su prove fornite dall'Agenzia delle entrate, ma su meri richiami a supposte «norme di comune esperienza», e che l'Amministrazione non ha svolto una valutazione del «valore normale», ma ha recepito, quale valore di controllo, il corrispettivo pattuito tra altre società all'interno del medesimo gruppo, ossia il corrispettivo pattuito tra la controllata olandese e la sua controllata spagnola, senza prendere in considerazione le specifiche caratteristiche e differenze delle due operazioni. Evidenzia, al riguardo, che: a) la transazione presa a comparazione per la verifica della congruità del prezzo di trasferimento del diritto di licenza del marchio non può essere considerata una «transazione di controllo», trattandosi di operazione tra soggetti non indipendenti;
b) nel raffrontare i corrispettivi non si è tenuto conto dei costi di gestione della controllata olandese;
c) l'analisi di congruità doveva essere effettuata in base ad una stima previsionale e non a consuntivo, come ritenuto dall'Agenzia;
d) nel comparare le due transazioni l'Agenzia non aveva tenuto conto delle peculiari clausole contrattuali, ed in particolare della mancanza di esclusiva e del pagamento anticipato del corrispettivo;
e) il riferimento al tasso del 3 per cento da applicare al fatturato del licenziatario per quantificare il «valore normale» non poteva considerarsi attendibile sia perché non era un calcolo effettuato su stime previsionali, sia perché avrebbe dovuto essere revisionato alla luce di altri criteri. Formula, quindi, il seguente quesito di diritto: «dica, pertanto, codesta Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se, nell'ambito del contenzioso tributario, incorra in violazione e falsa applicazione ex art. 75 e art. 9 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 la decisione (impugnata) che ritenga legittimo un accertamento del valore normale fondato sulla "norma di comune esperienza che la legislazione fiscale italiana è meno favorevole nei confronti dei contribuenti di quanto lo siano le legislazioni tributarie di altri Paesi" e sulla evidenza della "sproporzione sussistente tra il compenso corrisposto dalla società iberica a quella olandese e quello corrisposto alla società verbalizzata, dalla società olandese", facendole ritenere circostanze che giustificherebbero la legittimità dell'operato dell'Ufficio».
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