Cass. civ., sez. III, sentenza 10/08/2004, n. 15406
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La disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli IlL. mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Presidente -
Dott. L E - reL. Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. P G B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COLOMBO ALBERTO, BARONE GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA VIA N RICCIOTTI 9, presso lo studio dell'avvocato V C, che li difende unitamente all'avvocato S R, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
FESTORAZZI PIERLUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G B VICO 1, presso lo studio dell'avvocato P M, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCO P M, LORENZO P M, C F, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3155/00 della Corte d'Appello di MILANO, sezione 3^ civile emessa il 10/10/2000, depositata il 19/12/00;RG. 2199/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/04 dal Consigliere Dott. E L;
udito l'Avvocato V C;
udito l'Avvocato P M LORENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Eduardo Vittorio SCARDACCIONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso per decreto ingiuntivo Alberto C e Giuseppe B, premesso che, unitamente a Pierluigi F, si erano costituiti fideiussori solidali a favore della Banca popolare Pesarese e Ravennate per i crediti da questa vantati nei confronti della Tag Automazione s.r.L. (d'ora in poi: Tag) e che essi avevano versato alla detta Banca complessive L. 43.560.000, mentre nulla era stato versato dal F, chiedevano la condanna di quest'ultimo al pagamento della sua quota, pari a L. 14.520.000, di cui L. 8.040.000 a favore del C e L. 6.480.000 a favore del B. Emanato dal presidente del Tribunale di Milano il chiesto decreto ingiuntivo, il F, con atto di citazione notificato il 4 ottobre 1994, proponeva opposizione, eccependo in compensazione il suo maggior credito nei confronti del C e del B per garanzie prestate per i debiti della stessa società Tag, anche a favore della Banca Agricola Mantovana e della C;in relazione alle somme versate ed ai titoli da lui dati in pegno alle banche e poi venduti, il F chiedeva la condanna solidale del C e del B al pagamento della somma di L. 135.586.281, da compensare poi con i crediti per cui era stato emesso il decreto ingiuntivo.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza depositata il 13 novembre 1997, rigettava l'opposizione del F. Proposto appello dal F e costituitisi il C ed il B, la Corte di appello di Milano, con la sentenza depositata il 19 dicembre 2000, ha riformato la pronunzia di primo grado, ritenendo che le tre parti in causa hanno "prestato fideiussione omnibus per il medesimo debitore Tag s.r.L. e per un medesimo debito, costituito da tutti i debiti esistenti e futuri della stessa verso le banche dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura";la Corte ha, pertanto, applicato l'art. 1954 c.c., affermando il diritto del F ad ottenere dagli altri due fideiussori solidali la quota parte (un terzo ciascuno) di quanto da lui pagato alle tre banche sopra menzionate, anche con il ricavato della vendita dei titoli da lui dati in pegno alle banche;la Corte, quindi, ha confermato il decreto ingiuntivo, ma ha anche accolto la domanda di regresso proposta dal F, operando la compensazione chiesta da quest'ultimo e condannando il C a pagare la somma di L. 80.640.000 ed il B la somma di L. 82.200.000, oltre gli interessi ed i due terzi delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano Alberto C e Giuseppe B hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo quattro motivi, a cui Pierluigi F ha resistito con controricorso. I ricorrenti hanno presentato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il pruno motivo i ricorrenti, deducendo "violazione e falsa applicazione degli artt. 1954, 1851, 2697 e ss., 2786, 2794 c.c., 116 c.p.c.", formulano due diverse censure.
Con la prima censura sostengono che "l'art. 1954 c.c. non è applicabile alle escusse garanzie pignoratizie", costituite da pegni irregolari a garanzia di una apertura di credito, onde il F non avrebbe potuto disporre dei titoli da lui dati in pegno per venderli. Ma, anche se i titoli fossero stati oggetto di pegno regolare, l'art. 2794 c.c. avrebbe impedito la restituzione dei titoli da parte delle banche creditrici della società Tag, il cui debito da scoperto di conto corrente persisteva. Le fideiussioni prestate dalle parti "non potevano comprendere anche le aperture di credito successive e specifiche", e per i relativi conti la banca aveva richiesto la garanzia reale del pegno su titoli. Con la seconda censura i ricorrenti criticano il rigetto della tesi da loro sostenuta secondo cui i titoli dati dal F in pegno alla C erano collegati a patti parasociali tra i soci, ed in particolare tra il F ed il B, onde al primo non poteva essere riconosciuto il diritto di regresso.
1.1.- La prima censura è infondata e la seconda censura è inammissibile.
1.2.- Per quanto attiene alla prima censura, la sentenza impugnata non ha accertato che tra il F e le banche siano stati stipulati contratti di pegno irregolare, il quale presuppone che i titoli dati in pegno non siano stati individuati o che sia stata conferita alla banca la fecoltà di disporne (art. 1851 c.c.), onde l'affermazione apodittica dei ricorrenti sulla natura irregolare dei pegni, oltre ad essere nuova, implica comunque un accertamento di fatto precluso in questa sede.
Per effetto del pegno (regolare) il costituente non perde la proprietà del bene pignorato ed il diritto di disporne. La sentenza impugnata ha motivatamente accertato che "non furono gli istituti di credito a soddisfarsi nelle forme che i contratti di pegno e la legge mettevano a disposizione del creditore pignoratizio", ma fu il F "di sua iniziativa e spontanea volontà (sollecitato, ovviamente, dalla banca che chiedeva il rientro delle esposizioni" della Tag) "a disporre la vendita dei titoli dati in pegno e ad ordinare il versamento del ricavato a riduzione o estinzione dello scoperto accumulato dalla Tag s.r.l. sui c/c di cui era intestataria". Anche questi fatti costituiscono accertamenti di merito ampiamente e correttamente motivati dalla sentenza impugnata. Infine, la Corte di appello ha accertato che le fideiussioni omnibus prestate dal F, dal C e dal B per tutti i debiti della società Tag (di cui i tre erano soci) verso le banche si riferivano a "tutte le obbligazioni contratte o da contrarre ..., su tutti i conti intrattenuti dalle parti", e quindi comprendevano anche i crediti garantiti dai pegni costituiti a favore delle stesse banche.
1.3.- In ordine alla seconda censura, la sentenza impugnata, esaminando i documenti prodotti dagli odierni ricorrenti, ha motivatamente escluso che il versamento di circa 200 milioni di lire effettuato dal F alla C fosse collegato a patti parasociali, ritenendo invece che esso sia stato "eseguito da un garante personale a estinzione dei debiti della società garantita". La censura dei ricorrenti consiste nella prospettazione di una diversa interpretazione della prodotta documentazione, che non è consentita a questa Corte di legittimità, onde la censura stessa è inammissibile.
2.- Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo la violazione degli artt. 1946 e 19S4 c.c. e vizi di motivazione, censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che i tre soci abbiano prestato una confideiussione, che invece andava esclusa "per carenza del necessario presupposto costituito dall'esistenza del medesimo debito", dato che i debiti garantiti erano diversi con riguardo alla molteplicità dei creditori (tre banche), ai distinti conti correnti ed alla differente natura delle garanzie prestate (personale o, come le dazioni di pegno, reale).
Il motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello ha accertato che il F, il C ed il B prestarono "fideiussione omnibus per il medesimo debitore Tag s.r.l. e per un medesimo debito, costituito da tutti i debiti esistenti e futuri della stessa verso le banche dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura". Quindi, secondo l'accertamento del giudice del merito, i tre soci della società Tag garantirono lo stesso debitore (la società) per tutti i debiti assunti dalla stessa verso le tre banche. Questi debiti della società erano garantiti anche dalle costituzioni di pegno, onde, come ha rilevato la Corte di appello, le parti in causa "erano, nel medesimo tempo, fideiussori e datori di pegno delle banche". La sentenza impugnata è giuridicamente corretta, poiché non vi è incompatibilità tra la garanzia personale e la garanzia reale di uno stesso credito, onde la costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria prestata a favore del medesimo.
L'accertamento della esistenza di una confideiussione tra i tre soci della Tag è motivato. E, d'altro canto, i ricorrenti hanno agito contro il F (con il ricorso per ingiunzione) indicandolo espressamente come fideiussore solidale, sia pure limitatamente ai debiti della società Tag verso una sola delle tre banche;ma la Corte di appello ha ritenuto che anche le fideiussioni prestate dai tre soci a favore delle altre due banche avessero un analogo contenuto.
3.- Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo nullità della sentenza e del procedimento, formulano due censure affatto diverse, che vanno separatamente esaminate.
3.1.- Con la prima censura i ricorrenti ritengono che sia errata l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui "gli appellati C e B non oppongono alle domande di regresso formulate dal F, ne' in via di azione ne' in via di eccezione, proprie ragioni di rivalsa per garanzie reali escusse o pagamenti effettuati quali garanti". I ricorrenti affermano di avere "paralizzato" la domanda riconvenzionale del F nella comparsa di risposta in primo grado e nella comparsa conclusionale del giudizio di appello. La censura è infondata.
L'eccezione di compensazione (in risposta alla domanda riconvenzionale proposta dal F con l'opposizione a decreto ingiuntivo) non è stata formalmente opposta dal C e dal B in primo grado.
Qualora si volesse ritenere tale eccezione inclusa nella narrazione dei fatti contenuta nella comparsa di risposta, essa, comunque, doveva essere riproposta in appello, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., tenuto conto che la sentenza di primo grado (che aveva rigettato l'opposizione) non aveva pronunziato sulla stessa eccezione e la domanda riconvenzionale del F era stata riproposta con l'appello.
Tale proposizione (o, almeno, riproposizione) dell'eccezione di compensazione doveva avvenire non oltre la precisazione delle conclusioni, non potendo essere effettuata con la comparsa conclusionale, che ha un contenuto illustrativo delle domande ed eccezioni già formulate dalle parti. Con tali conclusioni, invece, gli appellati C e B hanno chiesto, in via principale, la conferma della sentenza di primo grado e, in via subordinata, l'accoglimento della loro tesi difensiva (erroneamente proposta con appello incidentale) su un altro argomento a sostegno del rigetto dell'appello del F (diverso però dalla eccezione di compensazione).
3.2.- Con la seconda censura i ricorrenti rilevano che la sentenza impugnata è andata "oltre le richieste fette dall'appellante", il quale aveva chiesto la condanna solidale del C e del B alla somma di L. 117.732.948 (L. 132.252.949 meno L. 14.520.000, somma oggetto del decreto ingiuntivo), mentre la Corte di appello ha condannato il C al pagamento di L. 80.640.000 ed il B al pagamento di L. 82.200.000, e quindi alla somma complessiva di L. 162.840.000 (che è maggiore di L. 117.732.948).
La censura è fondata.
Come risulta dalle conclusioni formulate dall'appellante F (trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata), questi ha chiesto la condanna solidale di Alberto C e di Giuseppe B alla somma complessiva di L. 132.252.948, che è stata anche successivamente specificata nei tre addendi (relativi ai pagamenti effettuati a favore delle singole banche), aventi una diversa decorrenza di interessi: L. 50.359.581, L. 15.000.000, L. 66.893.367. La determinazione precisa ed analitica del credito fatto valere dal F contro gli altri due confideiussori rende una mera formula di rito la successiva precisazione "ovvero quell'altra somma maggiore o minore di ragione o di giustizia", la quale pertanto non può considerarsi idonea ad ampliare l'oggetto della domanda giudiziale oltre l'importo di L. 132.252.948 indicato in modo specifico e costituente la somma precisa dei tre crediti singolarmente individuati.
La Corte di appello, nel ritenere sussistente il credito vantato dal F nei confronti del C e del B, ha escluso la solidarietà tra detti due debitori, condannando ciascuno di essi ad importi che, sommati, raggiungono l'importo di L. 162.840.000 (a cui bisogna aggiungere l'importo del decreto ingiuntivo emesso a favore del C e del B, che la sentenza impugnata ha compensato con i crediti del F).
La sentenza impugnata va, perciò, cassata nella parte in cui ha accolto la domanda del F oltre l'importo complessivo di L. 132.252.948, costituente l'oggetto della domanda stessa. 4.- Con il quarto motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione previsto dall'art. 360 n. 5 c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata abbia considerato soltanto quanto escusso dalle banche al F, e non anche quanto escusso sui titoli dati in pegno dai ricorrenti, ed in particolare dal C alla C (180 milioni di lire).
Il motivo di ricorso è infondato.
La sentenza impugnata non ha considerato le somme versate per le fideiussioni prestate dal C e dal B (oltre il pagamento posto a base del decreto ingiuntivo) perché, come è stato sottolineato dalla Corte di appello (e come si è già detto: v. retro, 3.1), il C ed il B non hanno opposto in compensazione i crediti da toro vantati nei confronti del F, non avendo esercitato l'azione di regresso, ne' avendo formulato l'eccezione di compensazione.
5.- In conclusione, il ricorso proposto dal C e dal B va accolto nella sola seconda censura dedotta con il terzo motivo, mentre va rigettato in tutte le altre censure.
6.- Poiché per ridurre l'importo della condanna del C e del B a favore del F all'entità della domanda proposta da quest'ultimo non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito (art. 384, primo comma, ultima ipotesi, c.p.c.).
Tenuto conto che l'esclusione della solidarietà del debito del C e del B (ritenuta dalla sentenza impugnata) non è stata censurata con il ricorso per cassazione (onde essa va tenuta ferma), il credito fatto valere dal F nei confronti dei due debitori in solido (di L. 132.252.948) va diviso per due, onde esso è di L. 66.126.474 per ciascuno di essi. Tale credito va detratto delle somme di cui il C ed il B sono singolarmente creditori per effetto del decreto ingiuntivo (confermato dalla Corte di appello, che ha operato anche la compensazione con il maggiore credito del F), e quindi dell'importo di L.