Cass. civ., SS.UU., sentenza 05/07/2004, n. 12269

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Al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dall'art. 5, quinto comma, D.L. n. 726 del 1984, convertito in legge n. 863 del 1984, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi, e così anche la disciplina di cui all'art. 1 D.L. n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989, tenuto conto, da un lato, che il sistema contributivo regolato dal predetto art. 5, comma quinto, D.L. n. 726 del 1984 è applicabile, giusta il tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi ed è condizionato, in particolare, dall'osservanza dei prescritti requisiti formali, e considerato, dall'altro, che risulterebbe privo di razionalità un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l'osservanza del principio del minimale, con l'applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e nel contempo esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il contratto di lavoro "part time", mostrano, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere a tale contratto particolare per il perseguimento di finalità non istituzionali, agevolando così di fatto forme di lavoro irregolare.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 05/07/2004, n. 12269
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12269
Data del deposito : 5 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IANNIRUBERTO Giuseppe - Primo Presidente f.f. -
Dott. DUVA Vittorio - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. MENSITIERI Alfredo - Consigliere -
Dott. CRISCUOLO Alessandro - Consigliere -
Dott. LUPO Ernesto - Consigliere -
Dott. PROTO Vincenzo - Consigliere -
Dott. PREDEN Roberto - Consigliere -
Dott. FOGLIA Raffaele - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLO DE ANGELIS, MICHELE DI LULLO, NICOLA VALENTE, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
AE BR, elettivamente domiciliata In ROMA VIA PISISTRATO 11, presso lo studio dell'avvocato GIANNI ROMOLI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCESCO ROMANO, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 270/01 della Corte d'Appello di TRENTO, depositata il 24/07/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/04 dal Consigliere Dott. Raffaele FOGLIA;

udito l'Avvocato Francesco ROMANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, con conferma dell'orientamento di gran lunga prevalente della Sezione lavoro.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Trento, IE AE, dipendente della ditta G. AL, esponeva di aver trasformato, a far data dal 1.9.1987 il proprio rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo parziale, e di aver comunicato tale cambiamento all'Inps. Sennonché, questo Istituto, nel liquidarle la pensione di anzianità, aveva tenuto conto di una base retributiva media settimanale decisamente inferiore a quella prevista dall'art. 5, c. 11 della legge 19.12.1984, n. 863, non essendo stata la ricorrente in grado di
esibire il contratto scritto di part-time.
Ciò premesso la AE chiedeva la riliquidazione della pensione di anzianità e la condanna dell'Istituto al pagamento degli arretrati, con accessori di legge.
La domanda veniva accolta dal Tribunale adito con sentenza a sua volta confermata dalla Corte di appello di Trento sul presupposto che il contratto part-time intercorso tra le parti doveva ritenersi nullo, per mancanza del requisito della forma scritta previsto ad substantiam dal citato art. 5, e che per il periodo durante il quale il rapporto aveva comunque avuto svolgimento, dovevano conservarsi gli effetti del contratto invalido, ai sensi dell'art. 2126 c.c. sia in relazione agli aspetti retributivi che a quelli contributivi. Secondo il Giudice del gravame, la non convertibilità del contratto part-time nullo in contratto a tempo pieno operava anche nei confronti dell'Inps al quale i contributi spettano in funzione dell'effettiva consistenza del rapporto e, quindi, della retribuzione effettivamente corrisposta (cita Trib. Milano, 7.11.1998, Riv. Crit. Dir. Lav., 1999, 181).
Avverso la sentenza di appello l'Inps ha proposto ricorso per Cassazione articolato in un unico motivo, cui resiste la AE con controricorso.
Essendosi registrato un contrasto all'interno della Sezione Lavoro della Corte, gli atti del giudizio sono stati trasmessi al Primo Presidente il quale ne ha ritenuto opportuno la rimessione a queste Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deducendo la violazione dell'art. 5 della legge n. 863 del 1984 e dell'art. 1 della legge 7.12.1989, n. 389, l'Istituto ricorrente rileva - in contrasto con quanto ritenuto nella sentenza impugnata - che il principio di proporzione tra retribuzione e contribuzione è affermato dalla legge n. 863/84 in riferimento soltanto al contratto di lavoro part-time che soddisfi i requisiti dettati dalla medesima legge, mentre, nel caso di contratto nullo, l'aspetto contributivo torna ad essere disciplinato dalla regola generale dettata dall'art. 1 della legge n. 389/89, che impone di correlare la base contributiva
al minimale di retribuzione giornaliera.
A giudizio dell'intimata, invece, pure in caso di contratto part-time nullo, gli effetti conservativi dei diritti del lavoratore previsti dal citato art. 2126 c.c. si estendono ai profili contributivi: in sostanza, anche nel caso di contratto part-time privo di forma scritta, il minimale contributivo dovrebbe essere individuato sulla base della retribuzione oraria, come previsto dall'art. 5 della legge n. 864/84 per il rapporto di lavoro a tempo parziale che si fondi su
un valido contratto scritto.

1. La questione e i termini del contrasto.
In ordine alla questione relativa alla applicabilità o meno, al contratto di lavoro part time nullo per difetto della forma scritta, della particolare (e più favorevole, per il datore di lavoro) disciplina in tema di contribuzione previdenziale, dettata, per il contratto di lavoro a tempo parziale validamente stipulato, dall'art. 5, c. 5 della legge n. 863 /84, si sono delineati due orientamenti
contrastanti.
Oggetto del contrasto è l'individuazione dei criteri per determinare la base contributiva, e di conseguenza l'ammontare dell'obbligo contributivo gravante sul datore di lavoro, in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato che si sia effettivamente svolto con le modalità del contratto part time, al quale sia applicabile ratione temporis la regolamentazione dettata dal d.l. n. 726 del 1984, nell'ipotesi in cui il contratto di lavoro sia nullo per
difetto della forma scritta, prevista ad substantiam dall'art. 5, comma quinto, del suddetto decreto legge.
Pur essendosi univocamente sostenuto in giurisprudenza che il dipendente, in applicazione del principio contenuto nell'art. 2126 cod. civ., abbia diritto ugualmente alla retribuzione e a tutti i
trattamenti che derivano dallo svolgimento del rapporto lavorativo, in proporzione alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato, da una parte si sostiene che, qualora il datore di lavoro si sia sottratto all'applicazione della normativa di garanzia in favore del lavoratore, dettata dal predetto decreto, non possa usufruire, sul piano contributivo, della disciplina più favorevole in esso contenuta, con la conseguenza, quanto alla contribuzione, nomerebbero ad applicarsi le norme ordinarie;
dall'altra parte si sostiene che sia l'aspetto contributivo che quello retributivo, pur in presenza di una causa di nullità del contratto, devono regolamentarsi tenendo conto del lavoro effettivamente prestato, sicché il datore di lavoro, pur in ipotesi di contratto di lavoro part-time nullo per difetto di forma, non potrebbe essere obbligato al versamento dei contributi sulla base della disciplina ordinaria dettata per il rapporto di lavoro subordinato (in particolare, dall'art. 7 della legge n. 638 del 1983), ma continui a fruire della trattamento contributivo ridotto dettato per il part- time. 2.- La disciplina del part time.
Il lavoro a tempo parziale ha ricevuto per la prima volta una disciplina specifica con l'art. 5 del d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, poi convenite in legge 19 dicembre 1984, n. 863. Il secondo comma di tale dell'art. 5 di tale decreto legge prevede che "Il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto. In esso devono essere indicate le mansioni e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Copia del contratto deve essere inviata entro trenta giorni al competente ispettorato provinciale del lavoro". La disciplina legale detta una articolata previsione legata alla necessaria forma scritta del contratto e di alcuni suoi contenuti essenziali, ma non indica quali siano le conseguenze in caso di violazione di tale prescrizione (come è previsto invece, ad esempio, nella disciplina del contratto a termine).
La giurisprudenza della Suprema Corte si è uniformemente orientata, invece, nel senso che la forma scritta sia richiesta dalla legge per la validità del contratto, sulla base della chiarezza del dato letterale e della imperatività della norma, nonché della ratto legis, che è quella di fornire una maggior tutela al lavoratore in relazione ad un rapporto che dovrebbe favorire l'espansione dell'occupazione (Cass., 26.7.2002, n. 11108;
Cass., 28.5.2003, n. 8492 ed altre). Se, tuttavia è pacifico che il contratto part-time privo di forma scritta sia nullo per contrarietà a norme imperative, le stesse pronunce non ne ricavano - come la dottrina prevalente - l'automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo pieno, ma affermano che il contratto in sè rimane nullo, anche se tale nullità non produce effetto, ai sensi dell'art. 2126, c. 1, cod.civ., per il periodo in cui il rapporto ha avuto comunque
esecuzione, con il conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione, la quale va peraltro rapportata alla attività lavorativa effettivamente svolta anziché a quella prevista per il contratto di lavoro a tempo pieno.
Il fenomeno dell'avvenuta prestazione di attività lavorativa al di fuori di un valido contratto viene preso in considerazione dall'ordinamento e tutelato come rapporto contrattuale di fatto, ovvero come rapporto le cui obbligazioni derivano da un fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico, e non dal contratto stesso.
Nel caso di specie, il fondamento della tutela, che prevede il sorgere in capo al datore di lavoro di una obbligazione analoga a quella che deriverebbe dal contratto qualora esso fosse valido, è costituito appunto dalla norma contenuta nell'art. 2126 c.c.. L'applicabilità al rapporto della tutela dettata dall'art. 2126 primo comma offre al lavoratore la possibilità di conservare non solo il diritto alla retribuzione, consequenziale al principio della irripetibilità delle prestazioni nei rapporti di durata, ma anche a tutti i trattamenti economici connessi con lo svolgimento della prestazione lavorativa, quale il diritto

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