Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/11/2022, n. 44423

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/11/2022, n. 44423
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 44423
Data del deposito : 22 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da F G nato a Palermo il 29/11/1972 avverso la sentenza del 14 luglio 2021 emessa dalla Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere D T lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, V S, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso per mancanza di interesse all'impugnazione;
letta la memoria di replica del difensore che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, deducendo, altresì, la sussistenza dell'interesse a ricorrere in relazione al procedimento disciplinare promosso a carico dell'imputato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, riformando la sentenza di condanna di G F per il reato di cui all'art. 378 cod. pen., nel quale è stato ritenuto assorbito il reato di cui all'art. 361, commi primo e secondo, cod. pen., ritenuta non contestata l'aggravante di cui all'art. 7 dl. n. 152 del 1991 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del F in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di G F, avv. L B I, deducendo sei motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione, in accoglimento dei quali chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 361, comma secondo, cod. pen. in quanto l'imputato, appartenente alla Polizia di Stato ed in servizio presso il reparto mobile, non può essere considerato quale "ufficiale o agente di polizia giudiziaria", dovendosi, al riguardo, distinguere tra tale "qualità" attribuita, in base al ruolo svolto, agli appartenenti alla Polizia di Stato dall'art. 39 della legge n. 121 del 1981, e la funzione concretamente svolta. Con il secondo motivo eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto del Ministro dell'Interno dell'il. febbraio 1986, in cui si prevede che i Reparti mobili dipendono dal Dipartimento di pubblica sicurezza, per contrasto con l'art. 109 Cost. che prevede che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Con il terzo motivo deduce l'erronea interpretazione dell'art. 361, comma secondo, cod. pen. non configurabile nel caso in esame occupandosi l'imputato esclusivamente dell'esercizio delle funzioni di ordine pubblico. Con il quarto motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 378 cod. pen. per insussistenza del reato, trattandosi di un reato di pericolo concreto e non astratto. Con il quinto motivo deduce la violazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato di favoreggiamento, posto che l'imputato non conosceva gli autori della tentata estorsione. Con il sesto motivo deduce la violazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla credibilità della vittima della tentata estorsione.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, (i cui effetti sono stati prorogati dall'art. 7 del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, convertito dalla legge 16 settembre 2021, n. 126, ed ancora dall'art. 16 del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15), in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale, le parti hanno depositato conclusioni scritte come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.

2. Ritiene preliminarmente il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto dal Sostituto Procuratore Generale, sussiste nella fattispecie in esame l'interesse ad impugnare del F in quanto correlato al conseguimento di un effetto penale più favorevole, quale, appunto, l'invocata assoluzione dal reato ascritto. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, elaborato una nozione di interesse ad impugnare nel procedimento penale che, a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, non è basata sul concetto di soccombenza, quanto, piuttosto, su una prospettiva utilitaristica, ossia sulla finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251693;
Sez. U, n. 42 del 03/12/1995, dep. 1996, Tampini, Rv. 203093). Da ultimo le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che la valutazione dell'interesse ad impugnare, sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l'eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l'impugnante, va operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953 - 02). Per quel che concerne l'interesse dell'imputato a impugnare una sentenza di assoluzione, si ritiene pacificamente che questo manchi ogni qualvolta il proscioglimento sia adottato "perché il fatto non sussiste" o "perché l'imputato non lo ha commesso", poiché in questi casi, ogni epilogo diverso gli sarebbe meno utile (cfr. art. 593, comma 2, cod. proc. pen.). Detto interesse è stato, invece, ritenuto sussistente nell'ipotesi di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, allorché l'impugnazione concerna l'ordine di trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per l'applicazione delle sanzioni relative a un illecito depenalizzato (Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012, Campagne Rudie, Rv. 252693). In linea generale, secondo un orientamento che il Collegio intende ribadire, l'interesse ad impugnare - che deve tendere ad un risultato pratico in rapporto alle situazioni e alle facoltà tutelate dall'ordinamento -assume un contenuto di concretezza tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato - da intendere nella sua lata eccezione, comprensiva anche della motivazione - possa derivare l'eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame. Il che rileva non solo quando l'imputato, attraverso l'impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l'assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli ovvero ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli, come quelli che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dall'efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653 cod. proc. pen.) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 cod. proc. pen.). Stante il principio di unitarietà dell'ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell' ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all'imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l'eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole (Sez. 6, n. 35989 del 01/07/2015, V, Rv. 265604, Sez. 5, n. 37677 del 10/07/2012, Rv. 254557;
Sez. 6, n. 6989 del 30/03/1995, Stella, Rv. 201953).
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