Cass. civ., sez. I, sentenza 28/08/2004, n. 17195

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 28/08/2004, n. 17195
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17195
Data del deposito : 28 agosto 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D M R - Presidente -
Dott. L M G - rel. Consigliere -
Dott. A M - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COOP CULP COOPERATIVA di PRODUZIONE &. LAVORO ARL, in persona del suo Presidente e legale rappresentante G A, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA

80, presso l'avvocato R C, rappresentati e difesi dall'avvocato V T, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
GENERALI ASSICURAZIONI SPA;
MILANO ASSICURAZIONI SPA;
CENTURION ASSICURAZIONI SPA, ora Spa AXA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

FEDERICO CESI

72, presso l'avvocato G S D M, che le rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 1580/00 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 16/06/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/04/2004 dal Consigliere Dott. M G L;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE

Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell'11-21 novembre 1997 il Tribunale di Napoli, adito dalla Compagnia Unica Lavoratori Portuali - C.U.L.P. - società cooperativa a r.l., rigettava la domanda dalla medesima proposta nei confronti della Assicurazioni Generali s.p.a., della Milano Assicurazioni s.p.a. e della Prudential s.p.a. (successivamente divenuta Centurion s.p.a.), diretta ad ottenere che si dichiarasse l'efficacia delle polizze assicurative stipulate con dette società, l'assenza di prescrizioni o decadenze dai diritti vantati, l'obbligo delle medesime società di tenerla indenne dai danni relativi a tutti gli eventi in cui era stata accertata giudizialmente la sua responsabilità, la loro condanna, nei limiti dei massimali convenuti, al risarcimento del danno in favore degli aventi diritto, ovvero al rimborso delle somme al cui pagamento l'attrice fosse condannata in favore degli aventi diritto, da quantificare in separato giudizio.
Avverso tale pronuncia proponeva appello la C.U.L.P. coop. a r.l. con atto notificato il 29 dicembre 1998, non iscritto a ruolo e riassunto con successivo atto del 25 novembre 1999.
Le appellate, costituitesi, eccepivano l'improcedibilità del gravame, contestando la possibilità di riassunzione dell'appello non iscritto a ruolo.
Con sentenza del 30 marzo - 16 giugno 2000 la Corte di Appello dichiarava l'improcedibilità dell'Appello, rilevando che a seguito della modifica dell'art. 348 c.p.c. introdotta dalla legge n. 353 del 1990, finalizzata alla maggior speditezza del processo e, con
riguardo all'inerzia nel coltivare l'impugnazione, a favorire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, il termine assegnato all'appellante per costituirsi è previsto non più con riferimento all'udienza di comparizione, ma alla notifica dell'atto di appello, onde la notifica di un atto di riassunzione non può valere a rimettere in termini l'appellante, ne' a sanare l'improcedibilità del gravame, già determinatasi in modo automatico per effetto della mancata tempestiva costituzione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la C.U.L.P. coop. a r.l. deducendo un unico motivo. Resistono con unico controricorso illustrato con memoria la Assicurazioni Generali s.p.a., la Milano s.p.a. e la Axa s.p.a., già Centurion s.p.a.. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 165, 166, 168, 171, 181, 307, 348, 359 c.p.c, si deduce l'errore della sentenza impugnata per aver dichiarato l'improcedibilità dell'appello, non considerando che la nuova disciplina dell'appello introdotta dalla legge n. 353 del 1990 deve essere armonizzata con le norme relative al procedimento di primo grado dinanzi al tribunale, in quanto applicabili, e quindi anche con le disposizioni di cui agli artt. 171 e 307 c.p.c, che regolano l'estinzione del processo per inattività delle parti. E poiché nella specie nessuna delle parti si era costituita, il processo era suscettibile di riassunzione nel termine annuale decorrente da quello stabilito per la costituzione dell'appellato. Il motivo deve essere disatteso. Ed invero la questione che la censura propone, che in dottrina trova soluzioni non univoche, è stata già esaminata da questa Suprema Corte nelle recenti sentenze n. 11423 del 2003 e n. 463 del 2002, nelle quali si è affermato che secondo il nuovo testo dell'art. 348 comma 1^ c.p.c., introdotto dall'art. 54 della legge 26 novembre 1990 n. 353,
la mancata costituzione in termini dell'appellante determina automaticamente l'improcedibilità dell'appello, a prescindere dalla condotta processuale dell'appellato, e quindi anche nell'ipotesi in cui questi non si sia costituito nei termini prescritti, senza che possa essere esperito il rimedio della riassunzione ai sensi dell'art. 307 comma 1^ c.p.c, richiamato dall'art. 171 c.p.c. Tale opzione interpretativa (non contraddetta da Cass. 2004 n. 2706, che concerne fattispecie regolata dalla precedente normativa) deve essere in questa sede confermata, atteso che nella nuova regolamentazione della improcedibilità dell'appello, chiaramente conforme alla esigenza - coerente con i principi ispiratori della intera disciplina della legge n. 353 del 1990 - di rendere più spedito l'iter processuale anche in sede di gravame e di favorire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, si è innovato incisivamente rispetto al precedente sistema, il quale non poneva alcuna sanzione immediata alla mancata costituzione in termini dell'appellante, disponendo che alla prima udienza il giudice rinviasse, con ordinanza non impugnabile, ad una prossima udienza e che soltanto la mancata comparizione dell'appellante stesso alla nuova udienza comportasse l'improcedibilità dell'appello, da dichiarare anche d'ufficio: detta disciplina certamente richiedeva, ai fini della declaratoria di improcedibilità, che almeno una delle parti si fosse costituita ed avesse iscritto la causa a ruolo, mentre l'ipotesi della mancata iscrizione a ruolo restava regolata dall'art. 307 c.p.c. (v. sul punto Cass. 2000 n. 2377). Nel quadro delineato dalla normativa introdotta dalla legge n. 353 del 1990 - nel quale l'improcedibilità dell'appello, ai sensi
dell'art. 348 comma 1^ c.p.c., è determinata dal non essersi l'appellante costituito in termini, e non più, come era previsto nel testo previgente (con implicito riferimento all'art. 171 comma 2^ c.p.c), dal non essersi costituito fino alla prima udienza dinanzi all'istruttore - il mero fatto della mancata costituzione dell'appellante nei termini, ancorati unicamente alla notifica dell'atto di appello, vale a rendere improcedibile l'appello stesso, senza che spieghi alcuna rilevanza il comportamento processuale dell'altra parte, e quindi con esclusione dell'applicabilità dell'istituto della quiescenza e della connessa facoltà di riassunzione.
Un'interpretazione sistematica della nuova disciplina impone invero di ritenere che il richiamo alle forme ed ai termini del procedimento dinanzi al tribunale contenuto nel primo comma dell'art. 347 c.p.c. vada riferito alle forme e ai termini rispettivamente previsti per la costituzione dell'attore e del convenuto in primo grado dagli artt. 165 e 166 c.p.c, e non anche alla disciplina dettata dall'art. 171 comma 2^ c.p.c, che si profila del tutto incompatibile - così da
escludere l'operatività del rinvio generale alle norme relative al procedimento dinanzi al tribunale di cui all'art. 359 c.p.c - con il nuovo testo dell'art. 348 c.p.c., stante l'indefettibilità della sanzione in esso prevista, senza possibilità di recupero in ragione della condotta processuale dell'appellato.
Nè può addurre a diverse conclusioni il rilievo della ricorrente secondo il quale la declaratoria di improcedibilità postula necessariamente che del gravame il giudice sia venuto a conoscenza a seguito della costituzione in giudizio e della iscrizione a ruolo ad opera della parte appellata, onde in caso di mancata costituzione di entrambe le parti non potrebbe non operare la possibilità di riassunzione nell'anno dalla scadenza del termine per la costituzione dell'appellato: va per contro rilevato che se il precedente regime, nel consentire all'appellante di costituirsi anche in udienza, ancorava alla fissazione dell'udienza la possibilità di accertare e dichiarare l'improcedibilità, nel sistema attuale la mancata costituzione in termini dell'appellante già comporta il perfezionamento della fattispecie cui per legge consegue l'improcedibilità ed impedisce che il giudizio di appello possa aver corso. Ciò peraltro non esclude che il giudice debba emettere anche di ufficio la relativa declaratoria nell'ipotesi in cui a seguito di tentativo di riassunzione ai sensi degli artt. 171 e 307 c.p.c. - come è avvenuto nella specie - abbia conoscenza del gravame. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.

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