Cass. pen., sez. I, sentenza 07/06/2022, n. 21928

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 07/06/2022, n. 21928
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 21928
Data del deposito : 7 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: I TINO nato a PETILIA POLICASTRO il 28/10/1977 avverso l'ordinanza del 18/03/2021 della CORTE APPELLO di CATANZAROudita la relazione svolta dal Consigliere V S;
lette le conclusioni del PG, PIETRO MOLINO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe, emessa il 18 marzo 2021, la Corte di appello di Catanzaro, quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza proposta nell'interesse di T I, intesa a ottenere, ai sensi dell'art. 657 cod. proc. pen., il computo del periodo di carcerazione sofferto - senza titolo, nella prospettazione - dal 13 agosto 2012 al 23 dicembre 2014, a titolo di fungibilità, ai fini della pena da espiare per altro titolo, a seguito della sentenza resa dalla Corte di assise di appello di Catanzaro il 26 novembre 2015, che aveva assolto I dai reati, contestati come commessi il 21 aprile 2012, in relazione ai quali egli era stato detenuto. La deduzione dell'istante è stata così richiamata: I stava scontando la pena di anni sei di reclusione, irrogatagli con la sentenza di primo grado confermata in appello il 18 dicembre 2017 per fatti (relativi all'operazione definita Tabula rasa) che, secondo l'imputazione, erano stati commessi dall'anno 2008;
egli, peraltro, aveva sofferto un ingiusto periodo di custodia cautelare in carcere;
dall'Il agosto 2012 al 23 dicembre 2014, pari a 864 giorni, per il fatto (relativo all'operazione definita Impluvium) contestato come commesso il 21 aprile 2012, in relazione a cui era intervenuta la suindicata sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro del 26 novembre 2015;
il Pubblico ministero nell'emettere il provvedimento di esecuzione della pena detentiva espianda non aveva computato questo periodo di detenzione in quanto la contestazione dell'imputazione per la quale era intervenuta la condanna era di carattere aperto;
tuttavia, risultava accertato che le condotte attribuite a I erano riferite ad alcune intercettazioni telefoniche, intervenute tra il marzo 2011 e il 29 maggio 2012, con la specificazione che dall'esame della sentenza di primo grado si evinceva altresì che le fonti di prova a suo carico erano riferibili al periodo dal 16 aprile 2011 al 13 giugno 2012;
del resto, anche la sentenza di secondo grado non aveva accertato elementi a carico di I successivi al 13 agosto 2012;
pertanto, da quella data, in cui era stato tratto in arresto e detenuto ininterrottamente fino al 20 dicembre 2014, per il fatto relativo all'operazione Impluvium, da cui poi era stato assolto, non sussistevano elementi a suo carico per il delitto riferito all'operazione Tabula rasa in relazione al quale aveva riportato condanna, non bastando in contrario il riferimento formale alla mera data di accertamento, con la conseguente, necessaria applicazione del principio di fungibilità di cui all'art. 657 cod. pen. Tuttavia, il giudice dell'esecuzione ha ritenuto dirimente in senso contrario che l'arresto di I non avesse determinato la cessazione della permanenza del reato associativo da lui commesso, con conseguente inapplicabilità del principio invocato.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di I, il quale ne ha chiesto l'annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui denuncia la violazione dell'art. 657 cod. proc. pen. e il corrispondente vizio di motivazione sulla sussistenza dei presupposti per l'applicazione del principio di fungibilità. Sulla premessa che, nell'istanza, si era specificato come il contenuto delle motivazioni delle sentenze di merito relative al processo Tabula rasa lasciasse evincere chiaramente che le fonti di prova a carico di I avevano apportato elementi riferibili al solo periodo compreso fra il 16 aprile 2011 e il 13 giugno 2012 e come in nessun caso fosse stato accertato alcun fatto successivo all'arresto del 13 agosto 2012, il giudice dell'esecuzione, secondo la difesa, ha raggiunto una conclusione erronea ritenendo semplicemente normale che le intercettazioni fossero cessate per la sopravvenuta carcerazione di I, così finendo per sottrarsi all'accertamento rigoroso del contenuto delle motivazioni delle sentenze di merito, necessario quando il tempus commissi delicti non era indicato esplicitamente nel capo di accusa. In tale prospettiva, il ricorrente rimarca che nel provvedimento impugnato si è trasformata la compatibilità fra detenzione e reato associativo in una presunzione, in virtù della quale il giudice dell'esecuzione ha omesso la verifica dell'effettività della persistenza del contributo, ancorché solo morale, dedotto come apportato all'associazione nel tempo successivo al suo arresto e si è limitato a segnalare l'assenza della prova del recesso dalla consorteria, senza considerare che l'accertamento in sede cognitiva imponeva di concludere per l'anteriorità della commissione del fatto per cui è stata emessa condanna rispetto alla carcerazione ingiustamente sofferta e comunque obliterando che la contestazione aperta del reato permanente non determina l'automatica fissazione della cessazione della permanenza al momento - limite dell'emissione della sentenza di primo grado, ma obbliga il giudice ad appurare se il reato oggetto del capo di imputazione riguardi una fattispecie concreta che si sia esaurita prima o contestualmente al relativo accertamento.

3. Il Procuratore generale ha prospettato il rigetto del ricorso, non avendo, il giudice dell'esecuzione, ritenuto in modo presuntivo la persistenza della condotta associativa dopo l'arresto di I, ma avendo indicato le specifiche ragioni per le quali lo status detentionis non aveva implicato la cessazione della sua partecipazione alla consorteria, posto che la cessazione della partecipazione all'associazione non consegue automaticamente all'arresto dell'associato.

4. Con susseguente memoria, la difesa di I ha replicato alle considerazioni dell'Autorità requirente osservando che proprio il principio di diritto richiamato nella requisitoria consente di ribadire che la verifica avrebbe dovuto essere compiuta sulla base delle risultanze emerse nelle sentenze di cognizione - messe a disposizione del giudice dell'esecuzione dalla parte istante - per stabilire fino a quando si era effettivamente protratta la permanenza, mentre la motivazione si è esaurita in affermazioni apodittiche e congetturali.
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