Cass. pen., sez. VII, ordinanza 10/08/2021, n. 31290

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VII, ordinanza 10/08/2021, n. 31290
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 31290
Data del deposito : 10 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: MESSINA VINCENZO MARIO nato a ERICE il 22/03/1997 avverso la sentenza del 28/09/2020 della CORTE APPELLO di PALERMOdato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere G D G;

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Trapani in data 11/02/2020, che dichiarava V M M colpevole di tentato omicidio ai danni di M A e di detenzione e porto illegali della rivoltella usata per la commissione del primo delitto e, ritenuta la continuazione e tenuto conto della riduzione di pena per il rito, lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione.

2. Avverso tale sentenza M propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione. Col primo motivo di impugnazione la difesa deduce violazione degli artt. 56, 575 e 582 cod. pen. Osserva il difensore che nel caso di specie la parte corporea attinta (il pollice della persona offesa) esclude l'idoneità dell'azione delittuosa all'evento letale e il dolo in ordine all'ipotesi omicidiaria;
e che la motivazione della Corte territoriale al riguardo stride con i principi della giurisprudenza di legittimità. Col secondo motivo di ricorso il difensore deduce violazione degli artt. 62 bis e 56 cod. pen. Ci si duole che la sentenza impugnata non abbia riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione del parziale risarcimento del danno, avvenuto tramite l'invio di due vaglia postali al domicilio della vittima, e non abbia applicato la massima estensione della riduzione per il tentativo. Lamenta il difensore che non si è tenuto conto, altresì, ai fini della individuazione della pena, della modesta lesione personale cagionata, della lontananza dell'imputato da ambienti malavitosi e dell'occasionalità del gesto delittuoso. Il difensore insiste per l'annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata rileva che: - il concentrarsi dell'attenzione di parte appellante sul fatto che l'unico colpo esploso abbia raggiunto Mandili in zona tutt'altro che vitale "provocandogli una piccola ferita lacero contusa" non è appropriato al caso di specie, vertendosi in tema di ferita da difesa (perché Mandili aveva, come distintamente rammentato, sollevato le braccia a difesa del corpo e della testa) e soprattutto a carico di un bersaglio che, dopo avere superato lo stupore indotto dal comparirgli dinanzi di M che gli puntava addosso l'arma e cercava di sparare, si stava dando a concitata e scomposta fuga;
- ciò che rileva è il ricordo espresso da Mandili circa l'atteggiamento iniziale del prevenuto che, prima di potere avere contezza del malfunzionamento dell'arma, gli si era piazzato davanti a circa un metro di distanza al massimo, e gli aveva puntato la pistola al petto;
- l'imputato non aveva quindi preso di mira il pollice della vittima, ma una zona vitale, sede di cuore e polmoni, ed attinse la mano di Mandili solo perché costui era in movimento (nonché, a quanto rivelato dal diretto interessato e dai fotogrammi estrapolati dalla videosorveglianza, impegnato in un principio di colluttazione con Manzo);
- il fatto poi che la ferita cagionata sulla mano fosse piccola dipende unicamente dall'impatto solo parziale del proiettile sui tessuti (il proiettile stesso, infatti, non risulta mai essere stato rinvenuto), rilevando piuttosto il fatto che la ferita sia stata refertata come trapassante, a riprova della capacità di penetrazione del proiettile, esploso altresì a distanza ravvicinata, sufficiente a raggiungere il cuore o un polmone se lo sparo fosse riuscito all'imputato al primo tentativo;
- del pari il fatto che l'imputato non si sia scoraggiato ai primi segni di malfunzionamento del revolver, ma abbia insistito reiteratamente, almeno tre volte, nel cercare di produrre lo sparo è ampiamente rappresentativo, oltre che di un dolo intenso, della assoluta fiducia e convinzione di M sul potere e dovere esplodere colpi di pistola a distanza ravvicinata su un bersaglio che avrebbe dovuto in tesi essere, sul momento, facile da attingere, dato, questo, perfettamente coerente non solo con l'intento omicidiario, ma anche con la univocità e l'idoneità omicidiaria della condotta conseguente (perfettamente consona, del resto, a quanto egli aveva gridato ad alta voce qualche istante prima);
- è indubbio che l'imputato abbia posto in essere una condotta oggettivamente idonea a conseguire l'effetto di porre in serio pericolo la vita di Mandili, con lo specifico intento di raggiungere quel risultato o, quanto meno, rappresentandosi il risultato come indifferente rispetto a quello, alternativo, di procurargli qualche seria preoccupante lesione;
- la pessima condotta processuale del prevenuto, consistita nell'ammannire a più riprese ricostruzioni mendaci dei fatti nel tentativo di eludere l'accertamento della verità, e la manifesta sproporzione tra le riferite motivazioni del gesto omicidiario (M si sentiva squadrato da Mandili) e la gravità di quest'ultimo, nonché la preoccupante ed esplicita connotazione velleitaria di controllo del territorio che accompagnò l'agire del prevenuto ("qui comando io") sono elementi che consentono di escludere l'attenuazione della pena invocata tramite il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
- il grado di progressione dell'azione criminosa, essendosi gli eventi arrestati praticamente sul limite della effettiva consumazione, impedisce la riduzione per il tentativo nella misura massima e giustifica la riduzione nel minimo di un terzo operata dal primo Giudice . A fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente si limita a confutarle nei termini di cui sopra e ad insistere aspecificamente sulla assenza dell'idoneità e della univocità degli atti, nonché della volontà omicidiaria, e sulla sussistenza di elementi positivi v-da giustificare un trattamento sanzionatorio più favorevole, invitando ad una rilettura degli elementi fattuali, preclusa in questa sede. Va, invero, osservato, quanto alla invocata rivisitazione del trattamento sanzionatorio, che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l'onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l'esame di tutti i parametri fissati dall'art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell'apprezzamento del giudice impugnato. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen..
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi