Cass. pen., sez. VI, sentenza 16/06/2020, n. 18352

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 16/06/2020, n. 18352
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18352
Data del deposito : 16 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M . C.A. nato in [...] il [...] avverso la sentenza del 23/01/2020 della Corte di appello di Veneziavisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Gaetano De Annicis;
lette le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Marco Dall'Olio, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, Avv. Antonio Bondi, che ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso e, in via subordinata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 -bis, comma 1, lett. c), della legge 22 aprile 2005, n. 69.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 gennaio 2020 la Corte di appello di Venezia ha disposto la consegna di M. C.A. all'Autorità giudiziaria portoghese in esecuzione di un mandato di arresto europeo esecutivo emesso in data 17 novembre 2016 dal Giudice di diritto della Contea di Lisbona Ovest in relazione ad una sentenza di condanna definitiva alla pena di anni due di reclusione per il reato di abuso sessuale in danno della minore I.C. pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale misto di Sintra in data 8 giugno 2006 e divenuta irrevocabile il 30 giugno 2006. 2. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di M.C.A. deducendo i motivi qui di seguito sinteticamente indicati.

2.1. Con il primo motivo si deducono violazioni di legge in ordine alla sussistenza di un serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta a trattamenti inumani o degradanti in ragione delle situazioni di sovraffollamento carcerario e maltrattamento dei detenuti da parte degli organi di Polizia, che emergerebbero da un rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) - pubblicato dal Consiglio d'Europa il 27 febbraio 2018 - sulle condizioni in cui versano gli istituti di pena portoghesi. Al riguardo, in particolare, si evidenzia come la risposta fornita dalle Autorità portoghesi alla richiesta di informazioni supplementari inviata il 17 settembre 2019 dalla Corte d'appello di Venezia appaia del tutto generica ed insufficiente rispetto ai criteri enunciati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, là dove si prevede l'esigenza di specificare quali siano l'istituto ed il relativo regime di detenzione, con l'indicazione dello spazio minimo disponibile per ciascun detenuto all'interno della cella ove si trova ristretto.

2.2. Con il secondo motivo si deducono analoghi vizi in ordine al mancato rispetto, da parte delle Autorità giudiziarie dello Stato di emissione, delle norme relative alla notifica al difensore portoghese del I C. I-del provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena emesso con ordinanza in data 11 maggio 2007, successivamente passata in giudicato il 27 giugno 2011. Si assume, al riguardo, la incompatibilità della disciplina dell'udienza relativa all'incidente di esecuzione secondo la normativa portoghese rispetto ai principii stabiliti dagli art. 6 CEDU e 111 Cost., essendo stata siffatta udienza celebrata senza alcuna notifica al difensore e senza alcuna valutazione della capacità economica dell'imputato di far fronte, con i propri mezzi, ai presupposti di solvibilità legati al rispetto delle prescrizioni di carattere economico per la concessione del relativo beneficio.

2.3. Con il terzo motivo si deducono violazioni di legge in ordine alla denegata sussistenza della condizione ostativa di cui all'art. 18, lett. n), della legge n. 69/2005, per quel che attiene alla valutazione dalla Corte distrettuale operata sia sulla procedibilità in Italia del reato che sulla prescrizione della pena.Si assume, al riguardo, che la sentenza impugnata non solo ha omesso di esaminare, per quel che attiene al primo dei profili testè evidenziati, il disposto dell'art. 10, comma 1, cod. pen., i cui requisiti rendono pienamente giudicabile il reato de quo in Italia, ma ha erroneamente interpretato, inoltre, l'art. 172, commi 1 e 5, cod. pen., computando il periodo decennale di prescrizione a partire dalla data di definitività del provvedimento di revoca del beneficio, laddove il dies a quo per il calcolo di tale termine deve coincidere con il verificarsi del presupposto della revoca e non con il successivo provvedimento giudiziale, che ha carattere meramente ricognitivo di tale evenienza. Ne discende, ad avviso del ricorrente, che il relativo termine decennale di prescrizione è iniziato a decorrere dallo spirare dei novanta giorni dalla data della irrevocabilità della sentenza di condanna, richiesti per il risarcimento dei danni in favore della persona offesa, ossia dal 28 settembre 2006, con il logico corollario che il dies ad quem per la definitiva prescrizione della pena - ossia il 28 settembre 2016 - è intervenuto prima dello spirare del termine finale, che era quello dell'atto interruttivo rappresentato dal momento della emissione del m.a.e. nei confronti del ricorrente, ossia il 17 novembre 2016. 2.4. Con il quarto motivo, infine, si deducono violazioni di legge in ordine al mancato scomputo dalla pena da eseguire del periodo di carcerazione preventiva già sofferto dal ricorrente, che è stato rimesso in libertà il 12 settembre 2019, dopo essere stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal 16 maggio 2019 (con la successiva sostituzione della misura custodiale con quella degli arresti domiciliari in data 22 maggio 2019): dalla complessiva pena di anni due di reclusione, pertanto, la Corte d'appello avrebbe dovuto detrarre il periodo di tempo - pari a complessivi 121 giorni - trascorso in applicazione della misura coercitiva custodiale patita in Italia.

2.5. In via subordinata, il difensore ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, comma 3, 117, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lett. b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117, nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.

3. Con ordinanza del 5 marzo 2020 questa Corte ha disposto l'acquisizione, tramite il Ministero della giustizia, di informazioni ai sensi dell'art. 16, comma 2, della legge n. 69 del 2005 in merito: a) all'ordinanza in data 11 maggio 2007, con la quale è stata dall'Autorità portoghese revocata la sospensione della pena, ed al conseguente provvedimento, emesso in data 27 giugno 2011, con il quale la detta ordinanza è passata in giudicato;
b) alle decisioni di condanna ed agli eventuali altri provvedimenti emessi nei confronti della persona richiesta in consegna ai sensi dell'art. 172, comma 7, cod. pen.;
c) all'individuazione dell'istituto di detenzione ove dovrebbe essere scontata la pena irrogata.

4. Con requisitoria pervenuta nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 22 maggio 2020 il P.G. ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

5. In data 5 giugno 2020 il difensore del C. Avv. Antonio Bondi, ha fatto pervenire in Cancelleria conclusioni scritte, replicando alle argomentazioni svolte dal P.G. sia in ordine alla carenza della documentazione ricevuta dallo Stato di emissione a seguito dell'ordinanza di questa Corte del 5 marzo 2020, sia riguardo all'assenza dei presupposti necessari per dar luogo alla richiesta di consegna;
ha pertanto ribadito la fondatezza dei motivi articolati nel ricorso, dei quali ha chiesto l'accoglimento con il conseguente rifiuto della consegna, proponendo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale in relazione all'ordinanza n. 10371 del 4 febbraio 2020, emessa da questa Suprema Corte in altro procedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve pertanto rigettarsi con le precisazioni di seguito indicate.

2. Deve essere preliminarmente esaminato, per il suo carattere pregiudiziale e logicamente assorbente di tutte le altre questioni, il terzo motivo di ricorso, là dove involge, in particolare, l'apprezzamento in ordine alla concreta giudicabilità del reato in Italia. La doglianza ivi prospettata fa leva sul fatto che l'art. 4, n. 4, della decisione quadro 2002/584/GAI stabilisce un motivo facoltativo di rifiuto in tema di competenza giurisdizionale dello Stato membro e di prescrizione del reato o della pena, rinviando alla normativa interna dello Stato di esecuzione ("se l'azione penale o la pena è caduta in prescrizione secondo la legislazione dello Stato membro di esecuzione e i fatti rientrano nella competenza di tale Stato membro in virtù del proprio diritto penale").In effetti, la formulazione della causa ostativa descritta nell'art. 18, lett. n), della legge n. 69 del 2005, pur prevedendo un motivo obbligatorio e non facoltativo di rifiuto, si pone sostanzialmente in linea con il dettato della norma europea, introducendo l'opponibilità del motivo nell'ipotesi in cui "....i fatti per í quali il mandato d'arresto europeo è stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena o della pena". Si tratta, pertanto, di profili non alternativi, ma concorrenti, la cui effettiva ricorrenza ai fini della configurabilità del rifiuto deve essere, secondo la decisione quadro e la disposizione normativa interna che vi ha dato attuazione, congiuntamente apprezzata nell'ambito della vicenda storico-fattuale oggetto della relativa proceduta di consegna. E' altresì noto che il motivo di rifiuto di cui all'art. 18, lett. n), legge cit. opera esclusivamente nell'ipotesi in cui vi sarebbe stata effettivamente la possibilità di giudicare il fatto

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