Cass. civ., sez. I, sentenza 11/06/2003, n. 9358

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 11/06/2003, n. 9358
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9358
Data del deposito : 11 giugno 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo



TYNO

9 N⚫ TV V IE 'N 9841/6/0% V S IV NOIZVULSIDEN VA VINILVA . 29/4/03: aula B;
oggetto: elezioni amministra r.g.n. 24987/02;
ud 09358 REPUBI CA TAALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

404 20522 composta dai magistrati presidente G L consigliere G G rel. F M F 66 G M Brruti C P G ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M C, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Adriana n. 15, presso l'on. avv. A C, che, con gli avv.ti M e S N, lo difende per procura in calce al ricorso; ricorrente

contro

Comune di Castelplanio, in persona del sindaco F B e del M segretario comunale dott. L A, elettivamente domiciliato in 8 0 8 3 1 1 0 0 2 Roma, viale Mazzini n. 9, presso il sen. prof. avv. G C, che, con l'avv. C P, lo difende per procura a margine del controricorso; resistente e nei confronti di A M; intimata per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Ancona n. 446 del 24 luglio-7 settembre 2002; sentiti il cons. G, che ha svolto la relazione della causa; l'avv. S N, per il ricorrente, e l'avv. G C, per il Comune; il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale V G, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO M C, eletto consigliere del Comune di Castelplanio in esito alle elezioni amministrative del giugno del 1999, ha impugnato davanti al Tribunale di Ancona, ai sensi dell'art. 69 quinto comma del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, la deliberazione consiliare del 19 aprile 2001, con cui era stato dichiarato decaduto dalla carica, a norma dell'art. 63 primo comma n. 4 di detto decreto legislativo, per lite pendente con il Comune. M 2 Ha dedotto fra l'altro il Civerchia che la controversia con il Comune, rivolta a denunciare davanti al Tribunale amministrativo regionale delle Marche l'illegittimità di provvedimento municipale di diniego di contributi per la ricostruzione di immobili agricoli danneggiati dal terremoto, era sostanzialmente venuta meno il 14 marzo 2001, quando, avendo promesso in vendita ad un terzo detti immobili, aveva depositato presso la segreteria del Giudice amministrativo dichiarazione di rinuncia ex art. 46 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642. L'impugnazione è stata respinta dal Tribunale, con sentenza dell'8 maggio 2002, in sede di riassunzione della causa dopo che una precedente decisione era stata dichiarata nulla per vizio di costituzione del Collegio giudicante. La Corte d'appello di Ancona, con pronuncia resa il 7 settembre 2002 in contraddittorio del Comune ed anche di A M nominata consigliere in surrogazione del Civerchia, ha rigettato il gravame di quest'ultimo. Detta dichiarazione di rinuncia, ha fra l'altro osservato la Corte d'appello, non aveva al momento prodotto conseguenze di ordine processuale, e non aveva attitudine, in termini evidenti e come tali apprezzabili in via delibativa anche nella presente causa, a determinare l'estinzione del processo davanti al Tribunale amministrativo, in quanto era accompagnata dalla richiesta di estromissione del rinunciante dal giudizio, in tesi destinato a proseguire nei confronti del 3 promissario acquirente dei beni danneggiati dal terremoto in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso. L'equivocità della rinuncia, ha aggiunto il Giudice d'appello, era confermata dalla nota di deposito del relativo atto, ove si ribadiva lo scopo della prosecuzione della contesa nel rapporto con detto promissario, del quale peraltro appariva dubbio, alla luce dei limitati effetti del preliminare di vendita, il subingresso nell'eventuale credito del promittente verso il Comune. L'appellante, ha infine rilevato la Corte d'Ancona, doveva rimborsare le spese del secondo grado al Comune, non sussistendo ragioni di deroga al principio della soccombenza. Le spese medesime erano invece da compensarsi nel rapporto con la M, la cui partecipazione alla causa era da ritenersi superflua, in assenza di effettive controdeduzioni. Il Civerchia, con ricorso notificato il 27 settembre 2002, ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'Ancona, formulando due motivi d'impugnazione. Il Comune ha replicato con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo del ricorso, si ripropone e si sviluppa l'assunto dell'idoneità della rinuncia all'azione davanti al Tribunale amministrativo ad elidere, sotto il profilo sostanziale, il conflitto di interessi con il Comune, e, quindi, ad eliminare la situazione d'incompatibilità con la carica di consigliere municipale. 4 La rinuncia, osserva il ricorrente, aveva tutti i requisiti prescritti per l'estinzione del relativo giudizio;
la sua efficacia non era infirmata dalle ulteriori istanze che l'accompagnavano, eventualmente invalide, ma non tali da viziare la volontà del rinunciante di ottenere detta estinzione, e nemmeno dal contenuto della nota di deposito, la quale costituiva atto separato e successivo, del resto di pertinenza del difensore e non della parte. Il motivo è infondato. L'incompatibilità con la carica di consigliere municipale per lite pendente con il comune (art. 3 della legge 23 aprile 1981 n. 154 e poi art. 63 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267), trovando base logica nel contrasto di interessi che tale pendenza determina con il connesso pericolo di interferenze sull'espletamento del mandato elettorale, postula una contesa effettiva, non meramente formale, di modo che va esclusa quando la domanda giudiziale risulti manifestamente infondata od addirittura pretestuosa, ovvero quando il relativo procedimento, pur in assenza di conformi provvedimenti, sia nella sostanza esaurito, per cessazione della materia del contendere o per altra vicenda all'uopo idonea, quale la rinuncia della parte istante. Il riscontro di dette circostanze deve ritenersi consentito al giudice della causa elettorale, tenendosi conto del favor electionis nonchè dell'eccezionalità e tassatività delle situazioni d'incompatibilità, anche in assenza di provvedimenti del giudice dell'altra causa, alla condizione che l'indagine in proposito resti nell'ambito di un esame sommario e delibativo, senza alcuna M 5 sostituzione del primo di quei giudici in apprezzamenti riservati al secondo. Ne deriva, con specifico riferimento al caso in cui la lite pendente sia determinata dall'impugnazione dinanzi al tribunale amministrativo di una deliberazione municipale sfavorevole alle posizioni personali del consigliere eletto, che la rinuncia di quest'ultimo alla propria iniziativa può segnare la rimozione della situazione d'incompatibilità, indipendentemente dall'adozione da parte di detto tribunale di un provvedimento che ne prenda atto, solo se risulti prima facie valida ed efficace, sì da rendere scontato quel provvedimento, a fronte d'inequivoca volontà dell'istante di abbandonare l'impugnazione. La cessazione dell'incompatibilità, pertanto, non è ravvisabile in presenza di una rinuncia dal contenuto complesso, nella quale coesistano dichiarazioni equivoche o non agevolmente conciliabili, dato che, in tale ipotesi, l'efficacia dell'atto sul processo non è delibabile dall'esterno, in termine di certezza, ma presuppone valutazioni che soltanto il giudice del processo medesimo può compiere. Ai riportati criteri, in linea con i principi fissati in materia da questa Corte (v. sentt. 4 febbraio 1986 n. 690, 17 aprile 1992 n. 4724, 30 aprile 1992 n. 5216), si è attenuto il Giudice d'appello, il quale ha puntualmente rilevato che l'atto del Civerchia di rinuncia all'impugnazione davanti al Tribunale amministrativo era contraddittorio, е comunque non era apprezzabile quale 6 sopravvenienza chiaramente tale da eliminare la contesa, in quanto dichiaratamente mirava anche alla prosecuzione della stessa con il preteso successore a titolo particolare nel diritto controverso, previa estromissione del rinunciante, e dunque previa pronuncia di detto Tribunale sui presupposti al riguardo occorrenti. Le considerazioni svolte dal ricorrente, per sostenere che l'applicazione di corretti criteri ermeneutici e delle regole generali in tema d'invalidità parziale dell'atto negoziale avrebbero dovuto portare a ritenere tamquam non esset detta ulteriore istanza, non compatibile con la rinuncia, non sono pertinenti, in quanto non mettono in discussione, ed anzi implicitamente riconoscono che la rinuncia medesima non si presentava all'evidenza idonea a comportare la chiusura della lite, richiedendo valutazioni esorbitanti dai compiti del giudice della causa elettorale. Il secondo motivo del ricorso è inerente alle spese processuali. Ricordando i lunghi tempi della presente controversia per i vizi della prima delle sentenze pronunciate dal Tribunale di Ancona, il ricorrente esprime doglianza per l'omessa compensazione delle spese del giudizio di secondo grado, a suo avviso giustificata quantomeno dall'intervenuta rettifica in appello dell'erronea motivazione in diritto resa dalla seconda sentenza di detto Tribunale. Il motivo non è scrutinabile, dato che il carattere discrezionale del potere del giudice del merito di apportare deroga alla regola della soccombenza, negando alla parte vittoriosa il rimborso delle spese processuali (art. 92 secondo comma cod. proc. civ.), osta in radice alla M 7 sindacabilità in questa sede del mancato esercizio del potere medesimo (v., ex pluribus, Cass. s.u. 15 novembre 1994 n. 9597). In conclusione il ricorso deve essere respinto, con la conseguenziale condanna del Civerchia al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

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