Cass. pen., sez. I, sentenza 24/01/2022, n. 02557
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DI MAIO GIUSEPPE nato a MADDALONI il 22/03/1956 avverso l'ordinanza del 12/10/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLIudita la relazione svolta dal Consigliere V S;lette/~e le conclusioni del PG LUC/1 11P Jrt ft C,Hr: Ha C E i Egb Is.. t(o ø et gi /LP RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, emessa il 12 ottobre 2020, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha dichiarato non luogo a provvedere sull'istanza proposta da G D M avente ad oggetto il differimento della pena per gravi motivi di salute, anche nella forma della detenzione domiciliare, e ha dichiarato inammissibili l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale e l'istanza di detenzione domiciliare generica, in relazione all'espiazione della pena detentiva residua, come scaturente dal provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore delle Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 27 gennaio Il Tribunale ha, in primo luogo, constatato che il condannato aveva rinunciato alla domanda di differimento della pena, anche nella forma della detenzione domiciliare umanitaria, per motivi di salute. In secondo luogo, per quanto concerne la residua domanda di misure alternative, il giudice del merito ha ritenuto determinante, sul piano della stessa ammissibilità della domanda, il rilievo che tutti i reati commessi da D M e per i quali era in esecuzione la pena residua - reati oggetto delle sentenze identificate rispettivamente sub 1) e sub 2) nel suddetto provvedimento del 27 gennaio 2020 - rientravano nel novero di cui all'art. 4-bis I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), di guisa che, non avendo l'istante dedotto alcuna collaborazione con la giustizia oppure l'impossibilità o l'inesigibilità della collaborazione, la domanda delle suddette misure non era ammissibile. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di D M che, premesso di non voler censurare la declaratoria di non luogo a provvedere sull'istanza di differimento della pena, ne ha chiesto l'annullamento nel resto affidando l'impugnazione a un unico motivo, con cui lamenta l'erronea applicazione degli artt. 4-bis, 47, 47-ter Ord. pen. e 591 cod. proc. pen. e il corrispondente vizio di motivazione. Riassunta la vicenda esecutiva fino all'emissione del provvedimento di cumulo del 27 gennaio 2020, la difesa evidenzia che con tale ultimo provvedimento il competente Procuratore della Repubblica aveva precisato, ai soli fini dell'accesso ai benefici penitenziari, che la pena relativa ai reati oggetto della sentenza sub 1) era stata interamente espiata: da tale affermazione - si argomenta - avrebbe dovuto trarsi che nessun reato ostativo residuasse. In tale prospettiva, segnala la difesa, D M non aveva riportato alcuna condanna per reati ostativi di natura mafiosa e, in particolare, era stato assolto per quanto concerneva la contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 dl. 13 maggio 1991, n. 152. In ordine, poi, alla condanna per il reato di cui all'art. 319-ter cod. pen., essa riguardava il titolo per il quale il provvedimento di cumulo aveva dato atto dell'avvenuta espiazione della relativa pena, oltre alla considerazione che il fatto era risalente al 2007, con condanna divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore della legge 9 gennaio 2019, n. 3, il cui art. 1, comma 6, lett. b), era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo (da Corte cost., sent. n. 32 del 2020). La difesa ha aggiunto che lo stesso provvedimento che aveva sancito la continuazione dei reati accertati dalle due sentenze succitate aveva riportato i reati oggetto di esse, correttamente non indicando l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, stanti le assoluzioni conseguite nel merito dall'imputato. Pertanto, si argomenta, i giudici di sorveglianza hanno ritenuto l'ostatività dei reati senza esaminare le relative sentenze, nei limiti in cui li avevano accertati. Il ricorrente rileva, poi, un ulteriore profilo di contraddittorietà nel fatto che l'ammissibilità dell'istanza era stata trattata e superata nelle prime udienze del procedimento, mentre alla fine ci si era concentrati sulla valutazione delle condizioni di merito, residuando una pena detentiva di anni uno, mesi sette, giorni dieci, per i soli reati di cui agli artt. 476-479 cod. pen., in relazione a cui il Procuratore generale aveva reso, nell'udienza camerale, parere favorevole all'ammissione del condannato all'affidamento in prova;elementi prospettati come confermativi del fatto che la pena da espiare al momento della decisione consentiva l'accesso alle misure alternative. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, reputando la valutazione alla base della decisione assistita una da motivazione adeguata circa la natura ostativa ex art. 4-bis Ord. pen. dei reati la cui pena era in espiazione, completata dal riferimento alla carenza di elementi dimostrativi della rescissione dei legami di D M con la criminalità organizzata.
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