Cass. civ., sez. I, sentenza 04/11/2003, n. 16497
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8 Z T N A D I - S 9 - /03 E 1 UBBLICA ITALIANA N 6 O 8 2 1 649 E H IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N T 1 CORTE SUPRIM 8 SAZIONE 5 SEZ ONE DIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: R. G. N. 7280/01 Presidente Dott. G O Consigliere Dott. G M Cron.33716 Consigliere Dott. S S Consigliere Rep. Dott. S D P Cons. Rel. Ud. 25/06/03 Dott. L M ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: A S, elettivamente domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione con l'avv. Matteo -Calabrò del Foro di Palermo che lo rappresenta e difende giusta delega in atti; - ricorrente - contro LO GIUDICE M T, elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione con l'avv. G M del Foro di Palermo, che la rappresenta e difende giusta delega in atti; - controricorrente - 36 e nei confronti del 8 1 3 0 1 0 2 Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo e contro A G - intimati - avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo n. 924 del 30.10.2000. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza 25 del 15 06.03 dal Relatore Cons. L M. Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele Ceniccola che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione del 17.9.1981 A S conveniva innanzi Ca al Tribunale di Termini Imerese la moglie L G Maria Teresa ed il minore A G al fine di ottenere tanto il disconoscimento della paternità del minore stesso, nato il 4.4.1981 dalla L G che egli aveva sposato il 26.2.1981, quanto l'annullamento del matrimonio per errore (inficiante il vincolo in ragione dell'avere egli incolpevolmente ignorato lo stato di gravidanza della L G). Si costituivano la convenuta ed il curatore del minore -nominato - ed era espletata istruttoria. dal Tribunale 1'8.11.1981 All'esito, con sentenza 1.2.1999, l'adito Tribunale rigettava le domande tutte. La pronunzia era quindi impugnata da A S e si costituiva la L G nel mentre rimaneva contumace A G (medio tempore 2 divenuto maggiorenne). L'adita Corte di Appello di Palermo rigettava l'appello e confermava l'impugnata sentenza. Affermava la Corte in motivazione che: 1) Non poteva ritenersi la nullità della prima sentenza per aver utilizzato i risultati della CTU dichiarata nulla per vizio nel contraddittorio dato che il Tribunale - che aveva fatto capo ai risultati di precedente perizia aveva solo tratto argomento dal rifiuto dell'attore di sottoporsi alle rinnovate operazioni peritali. 2)Le conclusioni della prima CTU non lasciavano margini di dubbio sulla dimostrazione della paternità dell'attore (stimata in un W% 99,980 compreso tra 6,301% e а 6,398%). 3) Con riguardo alla pretesa incompatibilità tra epoca della nascita del figlio (4.4.1981) ed inizio dei rapporti sessuali tra i futuri coniugi, la tesi dell'A che datava tale inizio al settembre 1980 non era persuasivamente- confortata da prove. 4) Doveva poi valutarsi l'ammissione della L G - di non aver avuto rapporti con l'A prima dell'Agosto 1980 - con riguardo alla di lei precisazione di aver avuto il 13.8.1980 le ultime mestruazioni ed in relazione al fatto oggettivo della nascita a termine del bimbo: al proposito appariva plausibile un errore della L G nell'aver indicato data e consistenza delle ultime mestruazioni, con la conseguenza per la quale, collocati i primi rapporti sessuali ad inizio Agosto 1980, ed escluso il carattere mestruale del modesto flusso del 13.8.1980 (come la L G aveva 3 precisato), ne discendeva la nascita a termine il 4.4.1981 del bimbo. 5) Quanto alla prova dei rapporti della L G con altri uomini all'epoca del concepimento, essa non era stata data in modo persuasivo ed anzi era drasticamente contraddetta dalle risultanze della CTU e dal rifiuto dell'attore di sottoporsi a nuovi accertamenti: al proposito, la genericità ed inconsistenza della offerta disponibilità in appello a sottoporsi a nuove analisi escludeva l'opportunità di procedere alla rinnovazione. 6) Andava pertanto respinto tanto il motivo afferente il disconoscimento quanto quello relativo alla domanda di annullamento del matrimonio, fondata sull'errore len connesso alla pretesa ignoranza della paternità. Per la cassazione di tale sentenza- notificata il 9.1.2001 - l'A ha proposto ricorso il 5/6/7.03.01 nei confronti della L G, dell'A G e del P.M. proponendo sette motivi. L'intimata L G ha resistito con controricorso 27.3.2001 illustrato in memoria. Gli altri intimati non hanno espletato difese. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rigettato, nessuna delle sette censure sulle quali si fonda meritando accoglimento. Con il primo motivo si denunzia falsa applicazione dell'art. 235 c.c. per avere la Corte solo formalmente corretto i primi 4 giudici (che avevano ricondotto al disconoscimento di cui all'art. 235 c.c. una azione dichiaratamente espletata ai sensi dell'art. 233 c.c.) e mancato - in sostanza - di rilevare che esso attore non avrebbe certo dovuto provare i rapporti "adulterini" della propria moglie all'epoca del concepimento del disconoscendo ma avrebbe soltanto dovuto provare la propria "non paternità” (prova che era stata raggiunta con il semplice giustapporsi delle date ammesse dalla L G). La censura è infondata. La Corte di merito non ha affatto applicato all'azione dell'A né forma né "sostanza” della ma si è azione di disconoscimento di cui all'art. 235 c.c. Ca nella piena consapevolezza dell'esigenza di accertare mossa- la paternità del piccolo A G n. il 4.4.1981 in costanza di un matrimonio contratto il 26.2.1981 - in un quadro di rispetto per i principi delineati da Cass. 12211/90 e 4281/88 con riguardo alla specificità della azione di disconoscimento del figlio, reputato legittimo, nato prima che siano trascorsi 180 giorni dalle nozze. Nessuna ricerca vi è stata della prova dell' "adulterio” della madre, men che meno accollandone l'onere all'attore in disconoscimento (adulterio che nella azione de qua pervero è stata ritenuta essere espressione equivalente a quella di relazione sessuale con altro uomo diverso dal futuro marito: Cass. 6477/03 e 5248/00) ma la attenta disamina degli elementi di fatto indicativi della paternità contestata e la conclusione per la quale, lungi dal 5 doversi far capo alla regola residuale dell'onere probatorio (nella specie ad oggetto la "non paternità" del disconoscendo da parte dell'attore, come affermato da Cass. 12211/90), nella specie si sarebbe attinta la certezza della sua paternità. Ed a tale risultato la Corte è pervenuta giustapponendo il dato inequivoco e radicale del risultato della prima perizia ematologia alla valutazione critica delle dichiarazioni della Lo Giudice, delle risultanze dell'ATP afferenti la nascita del bimbo, delle dichiarazioni testimoniali, del rifiuto ingiustificato dell'attore di sottoporsi a nuovi accertamenti medici, della inaccoglibilità della offerta di nuova disponibilità a tali Ca accertamenti in sede di appello. Ed all'esito di tale valutazione complessiva - formulata con adeguata e logica motivazione, e pertanto in questa sede insindacabile si è situata la - conclusiva affermazione della esistenza di prova certa e tranquillante della paternità del figlio reputato legittimo. Inammissibili sono, poi, le censure di cui al secondo e terzo motivo del ricorso. Con esse si denunzia la violazione degli artt. 51-52-63 c. 2 c.p.c. perpetrata dal primo giudice con la dichiarazione di inammissibilità della istanza di ricusazione (che invece avrebbe dovuto accogliere nel merito) e dell'art. 115 c. 1 c.p.c. perpetrata dallo stesso giudice con l'omessa rinnovazione della consulenza espressamente invocata ( e che, accolta la ricusazione, avrebbe dovuto disporre). Si tratta - di pretesi errori secondo il tenore letterale dei motivi - 6 commessi dal Tribunale di Termini Imprese e sui quali la Corte di Palermo neanche è stata chiamata a pronunziare in sede di appello (difatti nulla al proposito rinvenendosi nell'impugnata sentenza), si chè non si scorge come di essi potrebbe occuparsi -in spregio alla formazione del giudicato- questa Corte di legittimità. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia la violazione dell'art. 345 c. 3 c.p.c. per avere la Corte di merito negato ingresso alla richiesta di nuova indagine sul DNA sull'erroneo assunto che essa fosse mezzo istruttorio nuovo e non indispensabile. La censura invoca a sproposito la richiamata Cen norma sulle nuove prove in appello, posto che, come ben compreso dalla Corte di Palermo, il diniego alla istanza di rinnovazione de qua nulla aveva a che vedere con le regole delle prove in sede di gravame (la CTU essendo mezzo di ausilio tecnico del Giudice e non mezzo di prova), ma trovava www in questa sede il suo fondamento nella valutazione insindacabile e comunque non contestata o tampoco intesa dal ricorrente di inopportunità di una rinnovazione in un quadro non già di specifiche contestazioni sui risultati della prima indagine bensì di generiche dichiarazioni di sfiducia verso i sanitari dell'ambiente medico palermitano (pag. 8 u.cpv.). Con il quinto motivo l'A lamenta la violazione dell'art. 116 c.p.c. per avere la Corte tratto argomenti dal suo rifiuto di 7 sottoporsi a nuove indagini ad opera del CTU Procaccianti, tal rifiuto non solo non essendo affatto ingiustificato ma essendo fondato sulla seria disponibilità a sottoporsi ad indagini effettuate da qualsiasi altro Istituto. La censura è priva di alcuna consistenza, posto che mira a revocare in dubbio la valutazione di ingiustificatezza correttamente formulata nel quadro del potere di cui all'art. 116 cpv. c.p.c. adducendo una diversa valutazione di merito, quella per la quale una generica dichiarazione di sfiducia verso l'intero Istituto di Medicina Legale dell'Università di Palermo avrebbe dovuto consigliare, di per sé sola, l'affidamento a nuovi centri di indagine delle rinnovande operazioni peritali, una valutazione come rilevato nella disamina del precedente motivo - lache - Corte ha, con adeguata e logica motivazione, del tutto 0 disatteso. Dalla reiezione delle esposte censure discende anche l'infondatezza della censura di cui al sesto motivo, denunziante violazione dell'art. 122 c. 3 n. 5 C.C. per non avere la Corte conseguentemente annullato il matrimonio per errore essenziale: la sentenza -con passaggio (pag. 9 ) evidentemente non inteso dal ricorrente - ha espressamente affermato che la raggiunta certezza della paternità rendeva infondata la ipotesi di errore-vizio quale causa di annullamento del matrimonio pur proposta dall'A, l'errore prospettato incidendo sulla sola questione della 8 paternità e la sua prospettazione rimanendo travolta dalla certezza raggiunta al proposito. Conseguentemente travolta resta la doglianza sulle spese di cui al settimo motivo, fondata ad avviso del ricorrente sulla mal applicata soccombenza, e quindi da disattendere una volta negato ingresso ai precedentemente esaminati motivi del ricorso. Le spese del grado sono regolate, in dispositivo, secondo Сва soccombenza.