Cass. civ., sez. II, sentenza 24/10/2018, n. 26992
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la seguente SENTENZA sul ricorso 28829-2014 proposto da: B D, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo studio dell'avvocato M C, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L G;- ricorrente -contro M M, INVECO SRL in persona dell'Amministratore unico sig. C B, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell'avvocato A P, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato F D;- controricorrenti - avverso la sentenza n. 1161/2013 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 21/10/2013;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere R G;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A P che ha concluso per l'accoglimento del terzo motivo del ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata;assorbito il quarto motivo e rigetto dei restanti motivi di ricorso;udito l'Avvocato G L difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;udito l'Avvocato P A difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso ed accoglimento delle proprie difese. FATTI DI CAUSA Con atto di citazione notificato il 19.1.2005, B F D, proprietaria di un immobile in Bergamo, citava in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo la Inveco s.r.l. e M M, proprietari dell'immobile confinante, deducendo la violazione delle distanze dal confine. Chiedeva, pertanto, la condanna dei convenuti alla riduzione in pristino ed il risarcimento dei danni. Instauratosi il contraddittorio, si costituiva l'Inveco s.r.I., resistendo alla domanda, mentre Marina M rimaneva contumace. Con sentenza non definitiva del 13.6.2009, il Tribunale di Bergamo accertava la violazione delle distanze e la sussistenza dei danni;con separata ordinanza rimetteva la causa sul ruolo per la determinazione dell'altezza dell'edificio, ai fini del calcolo del superamento della distanza dal confine e per la determinazione del danno. Espletata CTU, che determinava la misura dell'arretramento in cm757,2, il Tribunale di Bergamo, con sentenza definitiva del 25.2.2011, condannava i convenuti all'arretramento delle parti dell'edificio eccedenti la distanza dal confine e liquidava il danno in C 10.000,00 La sentenza veniva appellata dalla Inveco s.r.l. e da M M, cui resisteva D B, spiegando appello incidentale. La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 21.10.2013, dichiarava inammissibile l'appello proposto da Marina M avverso la sentenza non definitiva, non avendo la medesima proposto tempestiva riserva d'appello;tuttavia, poiché la sentenza non definitiva era stata emessa fuori dai presupposti di cui all'art.278 c.c. e 279 c.c., trattandosi di provvedimento del tutto generico e non eseguibile, non poteva assumere autonomia ed efficacia di giudicato. Accoglieva, quindi, l'appello proposto da Marina M avverso la sentenza definitiva e l'appello proposto dalla Inveco s.r.I.;in riforma della i sentenza impugnata, rigettava la domanda della Buffoli, regolando le spese di lite secondo il principio della soccombenza. Rilevava il giudice d'appello che il terreno su cui insistono gli edifici prospettano su via Nullo, che collega la parte bassa alla parte alta della città e che la costruzione è caratterizzata da forte pendenza;l'edificio sorge su un muro alto tre metri, con funzione di contenimento del pendio naturale, tagliato dalla strada, nel quale si apre l'accesso ai garages interrati. L'edificio è situato nella "zona di completamento e/o sostituzione", nella quale, a norma dell'art.36 gli edifici di nuova costruzione "in fregio alle vie" devono rispettare una distanza dal confine non inferiore alla metà dell'altezza dell'edificio. Il giudice d'appello, considerando che l'edificio era situato in "zona acclive", ovvero caratterizzato da forte pendenza, riteneva applicabile l'art.26 NTA, in base al quale l'altezza va calcolata " a partire dal piano dello spiccato della fronte a valle nel suo punto più basso", ovvero partendo dalla parte emergente fuori terra. Così calcolata l'altezza, escludendo i garage interrati, il giudice d'appello escludeva che vi fosse violazione delle distanze. Dall'interpretazione sistematica degli strumenti urbanistici, e segnatamente dell'art.50 R.E e dell'art.26 delle N.T.A, il giudice d'appello faceva discendere l'affermazione secondo cui gli strumenti urbanistici prevedono regole diverse per gli edifici in "zona piana" ed in "zona acclive", ovvero su terreni in pendenza. Nella specie, secondo la corte territoriale, è a- applicabile l'art.26 comma 3 NTA , che disciplina l'altezza degli edifici situati in zona acclive, mentre l'art.50 RE, secondo cui l'altezza va misurata dalla quota del marciapiedi / non fa riferimento alla distinzione tra "zona piana" e "zona acclive", limitandosi a dettare norme diverse per la zona collinare. Mentre il tribunale aveva considerato l'art.50 norma speciale prevista per gli edifici "in fregio alla strada", prescindendo dalla distinzione tra zona piana e zona acclive, la Corte d'Appello riteneva che le due disposizioni dovessero essere coordinate e che l'art.26 delle NTA integrasse la lacuna dell'art.50 R.E. in ordine all'omessa distinzione tra zona piana e zona acclive.Per la cassazione della sentenza propone ricorso D B sulla base di quattro motivi, illustrati con memorie, ex art.378 c.p.c.;hanno resistito, con distinti controricorsi la Inveco s.r.l. e Marina M. Con ordinanza del 28.3.2018, questa Corte disponeva l'acquisizione del fascicolo d'ufficio e rimetteva la causa alla pubblica udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE Deve essere preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di specificità dei motivi, di chiarezza e sinteticità espositiva e per violazione delle indicazioni contenute nel Protocollo redatto il 17.6.2013 dal Primo Presidente della Corte ed il Primo Presidente del Consiglio Nazionale Forense in ordine alla tecnica di redazione degli atti processuali nel giudizio di cassazione. L'eccezione non è fondata. Il ricorso consente di cogliere il contenuto delle censure rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, sicchè non può dirsi contrario alle esigenze di chiarezza. Indubbiamente l'eccessiva prolissità del ricorso, articolato in quarantotto pagine, è contrario al protocollo citato, che, tuttavia, è uno strumento di soft law, in quanto contenente raccomandazioni per la redazione degli atti processuali, dalla cui violazione non derivano però sanzioni di carattere processuale. Con il primo motivo di ricorso, D B deduce la violazione degli artt.278, 279 comma II 340 c.p.c. e del'art.2909 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto ammissibile l'appello avverso la sentenza definitiva, nonostante la dichiarazione di inammissibilità dell'appello avverso la sentenza non definitiva che, contrariamente a quanto stabilito dalla corte territoriale, aveva un contenuto decisorio. La M contestava che la sulla sentenza non definitiva non potesse formarsi il giudicato, perché priva di contenuto decisorio e non eseguibile, osservando come la decisione riguardasse i criteri applicabili per il computo delle distanze, l'accertamento della violazione delle distanze e l'esistenza del danno risarcibile. Il Tribunale aveva rimesso la causa in istruttoria per la nomina del CTU, al solo fine di accertare l'entità dell'effettivo superamento della distanza e per determinare l'ammontare del risarcimento. La sentenza non definitiva, avendo un contenuto decisorio ed autorità di giudicato, rendeva inammissibile l'appello avverso la sentenza definitiva, per non avere la M fatto riserva di appello. Il motivo non è fondato ma la motivazione va corretta ai sensi dell'art.384 c.p.c. L'art. 279 c.p.c. (nel testo operante ratione temporis nella fattispecie in esame), applicabile sia alle cause di attribuzione collegiale che a quelle di attribuzione monocratica, dispone che l'organo giudicante, quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, pronuncia ordinanza;quando, invece, definisce in tutto o in parte il giudizio, decidendo il merito ovvero questioni di giurisdizione o di competenza o questioni pregiudiziali o preliminari, pronuncia sentenza. Pertanto, al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di ordinanza, e sia, quindi, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione adottata dal giudice che lo ha pronunciato, bensì al contenuto sostanziale del provvedimento stesso e, conseguentemente, all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre. Costituiscono sentenze - soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato - i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio (Cass.20.12.2005 n. 28233;Cass. 22 novembre 2003, n. 17780;Cass. 23 maggio 2003, n. 8190). In tal senso, è stato affermato che la cassazione, anche se con rinvio, della sentenza non definitiva, che abbia pronunciato positivamente sull'an debeatur, comporta la caducazione della sentenza sul quantum, dipendendo quest'ultima totalmente dalla prima, che della sentenza definitiva costituisce il fondamento logico-giuridico non sostituibile, ex post, dalla nuova pronuncia in sede di rinvio, neppure se contenente statuizioni analoghe a quella della sentenza cassata. (Cassazione civile, sez. III, 31/01/2006, n. 2125). Ed ancora, la S.C. ha precisato che a seguito della cassazione della sentenza con cui il giudice del merito abbia limitato la pronuncia alla condanna generica e disposto - con separata ordinanza - che il procedimento continuasse per l'ulteriore istruttoria riguardante l'eventuale liquidazione del danno, il giudice del rinvio può pronunciarsi solo su quei punti della controversia che siano inscindibilmente collegati e dipendenti dalle parti cassate, e non anche, pertanto, sul quantum dei danni. (Cassazione civile, sez. III, 16/03/2012, n. 4236). Il giudicato formale della condanna generica, preclude il riesame delle questioni ricomprese nell'oggetto di tale giudizio, con la conseguenza che nel giudizio sul quantum non possono essere eccepiti fatti estintivi, modificativi o impeditivi, antecedenti la pronuncia sull'an. Analogamente, il giudice resta vincolato dalla sentenza non definitiva (anche se non passata in giudicato) sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno (Cassazione civile, sez. I, 19/02/2018, n. 3945). L'orientamento consolidato di questa Corte riconosce, pertanto, l' idoneità delle sentenze sull'an a passare in giudicato. Nella specie, la sentenza non definitiva del Tribunale di Bergamo aveva contenuto decisorio, poiché accertava la violazione delle distanze, rimettendo la causa in istruttoria per la sua determinazione ed il diritto al risarcimento, da determinarsi all'esito dell'accertamento sull'entità della violazione. Tanto premesso, la corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto, escludendo che la sentenza .-Idefinitiva fosse suscettibile di passare in giudicato per il suo contenuto del tutto generico e per l'impossibilità di essere portata in esecuzione, mentre la sentenza, risolvendo una questione preliminare di merito/aveva natura decisoria. Era onere della M, pertanto, formulare riserva d'appello ai sensi dell'art.361 c.p.c., per impedire il passaggio in giudicato della decisione. Tuttavia, l'inammissibilità dell'appello non pregiudica Marina M, poiché alla stessa, condannata dal Tribunale in solido con la IVECO s.r.l. alla demolizione ed al risarcimento dei danni in forma generica, si estendono gli effetti derivanti dall'accoglimento dell'impugnazione proposta dalla predetta società avverso la sentenza sfavorevole emessa nei confronti di entrambe le convenute. Come è stato affermato da questa Corte, in tema di limiti soggettivi del giudicato, il disposto degli art. 1306 e 1310 c.c. - i quali prevedono con riferimento alle obbligazioni solidali, e quindi ad un rapporto con pluralità di parti, ma scindibile, che i condebitori i quali non abbiano partecipato al giudizio tra il creditore ed altro condebitore possano opporre al primo la sentenza favorevole al secondo (ove non basata su ragioni personali) - costituiscono espressione di un più generale principio, operante a fortiori con riguardo a rapporti caratterizzati da inscindibilità, secondo cui alla parte non impugnante si estendono gli effetti derivanti dall'accoglimento dell'impugnazione proposta da altre parti contro una sentenza sfavorevole emessa nei confronti di entrambi (Cassazione civile, sez. III, 27/05/2009, n. 12260;Cass. 26 ottobre 1994 n. 8779.) Il motivo va, pertanto rigettato, e la sentenza va corretta nella motivazione, in quanto l'appello, ancorchè inammissibile, non pregiudica i diritti di Marina M, alla quale vanno estesi gli effetti della decisione favorevole derivanti dall'accoglimento della INVECO s.r.I., considerata l'inscindibilità del rapporto.Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art.2909 c.c. in relazione all'art. 360 n.3 c.p.c., per avere la corte territoriale violato il giudicato amministrativo formatosi con la sentenza N. 754/1991 del Consiglio di Stato, che aveva annullato la concessione edilizia dei contro ricorrenti anche per violazione della distanza tra i confini. L'eccezione non è ammissibile perché non ritualmente proposta con /ricorso) 3 incidentale. Secondo il principio consolidato di questa Corte, alla quale il collegio intende dare continuità, la parte rimasta, in tutto o in parte, soccombente, ove non proponga impugnazione della sentenza che la pregiudica assume un comportamento incompatibile con la volontà di far valere, nel giudizio di impugnazione, la relativa questione anche se a carattere pregiudiziale, poiché essa dà luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall'art. 279, comma 2, nn. 2 e 4, c.p.c. In tal modo, la parte soccombente presta acquiescenza alla sentenza, con conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 324 e 329, comma 2, c.p.c. (Cassazione civile, sez. I, 27/02/2017, n. 4908;Cass. Civ., sez. 01, del 23/09/2016, n. 18693) In particolare, la Corte ha precisato che la "vis expansiva" del giudicato - che, essendo inteso ad assicurare la certezza delle situazioni giuridiche e la stabilità delle decisioni, non è soggetto ad eccezione di parte potendo essere rilevato d'ufficio in ogni stato e grado del processo - non può essere disgiunta dalle regole che governano il processo, sicchè il rilievo anche officioso del giudicato può risultare precluso quando la relativa questione sia a sua volta coperta da giudicato, in quanto la decisione con cui il giudice ne abbia negato la sussistenza non abbia formato oggetto di gravame e sia perciò formalmente passata in giudicato. Sulla base di tale principio, la Corte ha disatteso la prospettazione del ricorrente secondo il quale il giudice di prime cure aveva trascurato l'esistenza di un giudicato amministrativo circa l'inefficacia di un decreto di esproprio, osservando che la decisione di merito, che aveva dichiarato irrilevante la questione, non aveva formato oggetto di gravame (Cassazione civile, sez. I, 13/03/2018, n. 6087;Cass. Civ., sez. 01, del 30/07/2015, n. 16171). Nella specie, l'odierna ricorrente aveva fondato la domanda introduttiva sul giudicato amministrativo formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato n.754/91, che aveva riconosciuto la violazione delle distanze. (pag.4 della sentenza non definitiva). Il Tribunale aveva, invece,ritenuto che "le vicende amministrative pregresse alla presente causa non rilevano, se non in termini storici, rispetto alla questione, eminentemente di diritto privato, del presente giudizio".(pag.5 della sentenza di primo grado). La decisione del primo giudice non è stata censurata con appello incidentale, sicchè sulla questione del giudicato si è formato il giudicato. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art.26 comma e 3 della NTA, dell'art.50 del R.E. e dell'art.36 comma 2 e 3 delle NTA, dell'art.873 c.c., in relazione all'art.360 n.1 e 3 c.p.c. Il ricorrente contesta l'interpretazione della corte territoriale nei limiti in cui attribuisce alla "zona acclive" un criterio di specialità ai fini del computo delle distanze, mentre, al contrario/ assumerebbero rilevanza altri criteri, in particolare l'ubicazione dell'edificio nell'ambito delle zone previste dal PRG. Poiché l'edificio è stato realizzato in zona "piana" e non in "zona collinare" ed in fregio alla strada, dovrebbe trovare applicazione l'art.50 R.E;l'altezza doveva quindi essere calcolata dal piano del marciapiede, anche considerando che si trattava di edificio in fregio alla strada. In sostanza, la critica alla sentenza impugnata, si incentra sulla modalità di calcolo legato all'orografia del terreno e non alla ubicazione secondo lo strumento urbanistico, da cui risulta che l'edificio è situato in "zona piana" ed "in fregio alla strada". Il motivo è fondato.Ai fini della corretta applicazione delle norme urbanistiche, è essenziale prendere le mosse dalla ubicazione dell'edificio, situato, secondo quanto accertato dalla corte territoriale, su una strada che collega la parte "bassa" della città di Bergamo alla parte "alta". Il terreno sul quale insiste l'edificio è caratterizzato da forte pendenza, prospetta sulla strada e sorge su un muro alto circa tra metri, nel quale si apre l'accesso ai garages interrati. Il terreno sul quale è stato realizzato l'edificio è compreso nella "zona di completamento e/o sostituzione", nella quale, a norma dell'art.36ígli edifici di nuova costruzione "in fregio alle vie" devono rispettare una distanza dal confine non inferiore alla metà dell'altezza dell'edificio. L'interpretazione delle norme urbanistiche deve, pertanto, tenere conto dell'ubicazione dell'edificio, situato nella parte bassa della città, e della sua posizione "in fregio alla strada". L'Art.26 delle N.T.A. prevede che: "Ai fini delle prescrizioni di PRG, l'altezza di un edificio in zona piana è quella compresa tra il piano di spiccato e l'intradosso dell'ultimo piano abitabile. Per piano di spiccato si intende la quota di marciapiedi per gli edifici in fregio alle strade...». In zona acclive, l'altezza è computata a partire dal piano dello spiccato della fronte a valle". Dalla lettura coordinata delle disposizioni si evince che l'altezza va calcolata dal piano dello spiccato all'intradosso dell'ultimo piano;per piano dello spiccato si intende la quota di marciapiede per gli edifici in fregio alla strada. La norma detta quindi una precisa disposizione per il calcolo dell'altezza degli edifici in fregio alle strade. Non si giunge a diversa conclusione considerando la zona acclive, dove il "il piano dello spiccato della fronte a valle nel suo punto più basso" coincide sempre con il marciapiedi. - AncheURegolamento Edilizio, emanato in data successiva alle Norme Tecniche di attuazione, nel disciplinare l'altezza degli edifici in relazione alle zone previste dal PRG, prevede che l'altezza vada misurata partendo dal piano marciapiedi stradale e che " nel caso di costruzioni in fregio ad una via in pendenza l'altezza si misurerà sulla mezzana della fronte". La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione delle norme urbanistiche, integrative dell'art.873 c.p.c., in quanto non ha tenuto conto della disciplina dettata dagli artt. l'art.26 comma 3 della NTA e dall'art.50 del R.E. con riferimento al calcolo dell'altezza degli edifici in fregio alla strada. Il motivo va, pertanto accolto;la sentenza va cassata e rinviata innanzi alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità. Va dichiarato assorbito il quarto motivo, con il quale si censura il regolamento delle spese di lite.
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