Cass. civ., sez. I, sentenza 15/09/2005, n. 18239
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L'esclusione della tutela restitutoria nell'ipotesi in cui l'attività di trasformazione del suolo privato non sia riconducibile ad alcun fine di pubblico interesse legalmente dichiarato (fattispecie cosiddetta di occupazione usurpativa) non è configurabile neppure ipotizzando l'applicazione retroattiva dell'art. 43 del t.u. espropriazioni, approvato con d.P.R. n. 327 del 2001, che ha introdotto l'istituto della cosiddetta acquisizione sanante, ove sia accertato che l'occupazione illegittima del bene, per mancanza o annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, sia anteriore all'entrata in vigore del t.u., giacché l'art. 57 dello stesso prevede la non applicabilità delle disposizioni del testo unico "ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza", e non consente di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di pubblica utilità, e neppure la distinzione, ove il progetto sia antecedente a tale data, tra procedure espropriative "in itinere" e procedure viziate in radice o caducate da un annullamento giurisdizionale.
L'ammissibilità della tutela restitutoria nell'ipotesi in cui l'attività di trasformazione del suolo privato non sia riconducibile ad alcun fine di pubblico interesse legalmente dichiarato (fattispecie cosiddetta di occupazione usurpativa) va estesa agli interventi astrattamente qualificati da finalità di edilizia residenziale pubblica, posto che l'art. 3 della legge n. 458 del 1988, che esclude la restituzione degli immobili a tal fine utilizzati, va interpretato nel senso che l'operatività dell'esclusione resta subordinata alla preventiva esistenza di una dichiarazione di pubblica utilità valida ed efficace al momento della costruzione dell'immobile, a ciò inducendo sia il tenore della norma, che, con dizione analoga a quella dell'art.42, terzo comma, Cost., introduce uno specifico vincolo di scopo ("per finalità di edilizia residenziale..."), che è da escludere in assenza della dichiarazione, sia la caratterizzazione della fattispecie dalla norma considerata, di annullamento o di declaratoria di illegittimità "del provvedimento espropriativo", che necessariamente presuppone l'esistenza della dichiarazione di pubblica utilità, sia l'interpretazione recepita dalla Corte costituzionale (sentenze n. 384 del 1990 e n. 486 del 1991), che considera la norma come una sostanziale applicazione al settore specifico della edilizia residenziale pubblica di quella particolare, ma diversa, fattispecie acquisitiva alla mano pubblica di beni privati costituita dalla figura della cosiddetta occupazione appropriativa, caratterizzata dall'esistenza di detta dichiarazione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L G - Presidente -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. S S - rel. Consigliere -
Dott. D C S - Consigliere -
Dott. P S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PEDICINI G e P F, elettivamente domiciliati in ROMA VIA SISTINA 121, presso l'avvocato C C, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato A P, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE di FOGLIANISE;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n. 24089/01 proposto da:
COMUNE di FOGLIANISE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI 52, presso l'avvocato G CARLO PARENTI, rappresentato e difeso dall'avvocato F S, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
PEDICINI G e P F;
- intimati -
avverso la sentenza n. 435/01 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 23/02/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2005 dal consigliere Dott. S S;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giudice presso il Tribunale di Benevento, con provvedimento del 28 novembre 1999, rigettò il ricorso con cui Giovanni e Franceso P, rispettivamente proprietario ed usufruttuario di una porzione di fondo occupata senza titolo dal comune di Foglianise, in eccedenza di mq. 39 rispetto alla contigua porzione di mq. 111, di cui era stata autorizzata l'apprensione a fini espropriativi, avevano chiesto la reintegrazione nel possesso: sul rilievo che anche la maggiore estensione dovesse ritenersi acquisita dall'amministrazione espropriante per effetto della c.d. occupazione espropriativa, all'opera di p.u. nel frattempo realizzata anche su di essa. L'impugnazione dei P è stata respinta dalla Corte di appello di Napoli, con sentenza del 23 febbraio 2001, in quanto sa) anche con riguardo alla minore area di mq. 39 si era realizzata la occupazione acquisitiva a favore del comune per la sua irreversibile trasformazione nell'opera pubblica già eseguita;
e d'altra parte anche per il disposto dell'art. 3 della legge 458 del 1988, in tal caso il proprietario dell'immobile ha diritto esclusivamente al risarcimento del danno per l'illegittima e definitiva occupazione del bene;
b) la fattispecie in esame si inquadra comunque nell'ambito di applicazione dell'art. 938 cod.civ. che prevede la c.d. accessione invertita, poi estesa ed applicata in via generale anche per il pericolo che la condanna ripristinatoria potrebbe risultare eccessivamente onerosa per il debitore (art. 2058 cod.civ.);
c) nessun risarcimento del danno spettava infine agli appellanti sia perché costoro non avevano formulato la relativa domanda anche nel caso di rigetto di quella di restituzione del terreno, sia perché non ne avevano precisato l'ammontare.
Per la cassazione della sentenza i P hanno proposto ricorso per tre motivi cui resiste con controricorso il comune di Foglianise;
il quale ha proposto a sua volta ricorso incidentale per contestare la giurisdizione del giudice ordinario e l'impugnabilità dell'ordinanza 28 novembre 1999 adottata dal Tribunale nella fase interdittiva, già affermata dai giudici di appello. Riuniti i ricorsi, le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 29 dicembre 2004 n. 24071, hanno respinto il sudetto ricorso incidentale, dichiarando la giurisdizione ordinaria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso i P, deducendo violazione degli art. 934, 938 e 2098 cod.civ., di diverse disposizioni della legge 2359 del 1865, nonché dell'art. 3 della legge 458 del 1988, denunciano l'erronea esclusione della sanzione restitutoria con riferimento all'area di mq. 39 appresa dal comune di Foglianise al di fuori di qualsiasi procedimento (e provvedimento) ablatorio, caratterizzata dalla carenza di potere ab initio ed in radice di detta amministrazione e costituente, quindi, un mero illecito usurpativo non suscettibile di produrre effetti espropriativi a favore di quest'ultima. Contestano altresì la correttezza del richiamo dell'art. 3 legge 458 del 1988, sia perché la normativa si riferisce esclusivamente alla materia dell'edilizia residenziale pubblica, sia perché il principio generale attribuito a questa disposizione della Corte Costituzionale, sul carattere generale dell'impossibilità di restituzione dell'immobile per il verificarsi dell'accessione invertita, ha invece carattere eccezionale e non è applicabile alla fattispecie i disciplinata, invece, dalla regola contenuta nell'art. 2058 cod.civ.. Per converso, l'amministrazione comunale con il terzo motivo del ricorso incidentale, deducendo violazione dell'art. 1168 cod.civ., nonché omessa e contraddittoria motivazione, chiede che la domanda di restituzione venga respinta sotto altro profilo, costituito dal venir meno dell'immobile rivendicato, a seguito della costruzione stradale.
Il collegio ritiene fondata la doglianza dei P ed assolutamente inconsistente quella del comune.
I giudici di merito, essendo in fatto pacifico che la procedura ablatoria svolta dal comune di Foglianise, per la sistemazione della locale strada "via Crocevia Sala" aveva interessato non l'intero terreno dei P, esteso mq. 150, ma solo la più ridotta area di mq. 111 (già oggetto del decreto di occupazione), erano chiamati ad accertare, come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata, nonché dalla decisione 24071/2004 delle sezioni Unite di questa Corte, se quella residua di mq. 391 illecitamente appresa in mancanza di qualsiasi potere espropriativo, poteva essere restituita o meno ai proprietari per essere stata pur essa utilizzata per la realizzazione dell'opera pubblica.
La Corte di appello ha risolto il problema osservando che se ne era comunque attuata l'irreversibile trasformazione nella strada, per cui era comunque invocabile l'istituto della c.d. occupazione espropriativa in favore dell'amministrazione comunale, che nel caso trovava conferma nelle disposizioni sia della legge 456 del 1988, che dell'art. 938 cod.civ.;
le quali escludono entrambe la restituzione dell'immobile pur illecitamente appreso, al proprietario. Ma così ragionando ha parificato e confuso situazioni nettamente distinte sul piano della fenomenologia giuridica, incorrendo nelle violazioni di legge denunciate dai ricorrenti.
Le Sezioni Unite di questa Corte fin dalla fondamentali sentenza 196 del 1987 e, soprattutto, 3940 del 1988, hanno precisato che l'istituto della c.d. occupazione acquisitivi o espropriativa non deva confondersi con il fenomeno, indeterminato e generico, dell'apprensione sine titolo da parte di un ente pubblico per qualsivoglia ragione o fine pubblico di un bene immobile privato, costituendo invece un fenomeno specifico e qualificato perché caratterizzato quale suo indefettibile punto di partenza da una dichiarazione di p.u. dell'opera e quale suo indefettibile punto di arrivo dalla realizzazione di un bene demaniale o patrimoniale indisponibile (art. 823 e 826 cod.civ.);
nonché dall'inserimento tra questi due poli di un'attività manipolatrice del bene altrui che ne comporta l'inserimento in un nuovo ad inscindibile contesto, anche in senso giuridico e che è posta in deviazione del modello di comportamento dettato dalle leggi in materia, richiedenti la preventiva acquisizione dell'immobile mediante l'adozione del decreto ablativo o la conclusione di un contratto di cessione volontaria. Pertanto, la ricorrenza alternativa di uno di detti presupposti non è sufficiente ad attrarre il fondo privato nella disciplina giuridica dei beni "pubblici", ne' è la mera attività di costruzione o manipolazione del fondo altrui da parte di un ente pubblico che giustifica il sacrificio del diritto dominicale del privato, come ha mostrato di ritenere la Corte di appello incorrendo nella più grave delle contraddizioni con il precetto dell'art. 42 costit.;
il quale pone la regola che la proprietà privata può essere espropriata soltanto "per motivi di interesse generale", e perciò richiede che all'attività di trasformazione sia attribuito in attuazione del precetto costituzionale un vincolo di scopo e cioè di rispondenza in concreto ad un fine di pubblica utilità predeterminato dalla legge, sicché la relativa dichiarazione diviene in tal modo il primo e fondamentale presupposto per procedere al trasferimento coattivo dell'immobile mediante espropriazione (rituale o atipica come e peculiare dell'occupazione acquisitiva). D'altra parte, non è neppur invocabile la disposizione dell'art. 938