Cass. civ., SS.UU., sentenza 11/03/2013, n. 5941
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L'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera g), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 presenta natura di illecito di mera "condotta" e non di "evento", sicché la menzione nel capo di incolpazione delle conseguenze dannose prodotte dal comportamento trasgressivo del magistrato incolpato non è strettamente necessaria, valendo soltanto a connotarne ulteriormente la gravità e potendo, dunque, essere apprezzata anche al fine di escludere l'applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 3 del medesimo d.lgs. n. 109 del 2006.
Integra l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera g), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, il comportamento di un P.M. che abbia richiesto il rinvio a giudizio di taluni imputati pur essendo consapevole dell'intervenuta prescrizione dei reati contestati, giacché tale consapevolezza imponeva al magistrato - e non gliene dava semplice facoltà - di chiedere l'emissione del provvedimento di archiviazione, sulla base di un principio generale regolatore del processo penale (del quale costituiscono espressione gli artt. 129 e 411 cod. proc. pen.), che esige l'immediata declaratoria delle evidenti ragioni di proscioglimento, ancorché per motivi di estinzione del reato, risultando, inoltre, tale contegno espressione di un grave fraintendimento della funzione dell'udienza preliminare, la quale è priva di carattere "esplorativo", posto che la sua finalità è quella di verificare la sufficienza degli elementi di indagine ai fini del rinvio a giudizio, e non di ricercare elementi indiziari o di prova di eventuali altri reati concorrenti.
È inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio "a quo" la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione ed al principio di eguaglianza - dell'art. 379 cod. proc. civ. in combinato disposto con il d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nella parte in cui esso prevede (in forza del richiamo generale, per il giudizio di cassazione nella materia dell'illecito disciplinare dei magistrati, alle disposizioni del codice di procedura civile) che il P.G. presso la Suprema Corte prenda la parola per ultimo, ciò che non consentirebbe alla difesa dell'incolpato - ignara delle posizioni dell'organo requirente - di organizzare un'adeguata difesa. (Nella specie, il difetto di rilevanza della questione sollevata è stato motivato sulla base della constatazione che le conclusioni rassegnate dal P.G. nel corso dell'udienza pubblica di discussione erano per l'accoglimento del ricorso del magistrato incolpato, dispensando, così, la difesa dello stesso dall'esercizio della facoltà prevista dall'art. 379, quarto comma, cod. proc. civ. di "presentare brevi osservazioni per iscritto").
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. T R M - Presidente di sez. -
Dott. R R - Presidente di sez. -
Dott. P L - rel. Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. I A - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20671-2012 proposto da:
T.G. , elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell'avvocato G G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato R T, per delega in atti;
- ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 92/2012 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 04/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. L P;
uditi gli avvocati G G, T R;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. A U, che ha concluso per l'accoglimento del secondo e terzo motivo, assorbiti gli altri.
FATTO E PROCESSO
Il dott. G..T. , Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa all'esito di complesse indagini avviate nell'anno 2001, chiese in data 9.2.2009 il rinvio a giudizio di n. 127 medici sotto le imputazioni di truffa e falso ideologico, per aver disposto numerosi ricoveri ospedalieri, in assenza di effettiva necessità, presso alcune case di cura di quella città, così indebitamente gravando il Servizio Sanitario Nazionale delle relative prestazioni. La richiesta non venne accolta dal G.U.P. che, all'udienza preliminare del 30.4.2010, la dichiarò nulla per abnormità, consistita nell'assenza di alcuna indicazione sulle date di consumazione dei reati, restituendo gli atti al P.M. Riformulati da quest'ultimo ufficio (in persona di diverso magistrato) gli addebiti, con le rispettive indicazioni del tempus commissi delicti, su richiesta dello stesso organo requirente il giudice pronunziò decreto di archiviazione in data 10.5.2010, per estinzione di tutti i reati per prescrizione. Venuto a conoscenza, attraverso la stampa, dell'esito della vicenda giudiziaria, il dott. T. , che da tempo era stato trasferito con funzioni analoghe alle precedenti alla Procura della Repubblica di Catania, si rivolse a varie autorità giudiziarie con un esposto del 12.5.2010, nel quale si doleva sia dei toni, ritenuti diffamatori, dell'articolo giornalistico, sia di quelli, a suo avviso irriguardosi nei propri confronti, della motivazione contenuta nel provvedimento adottato dal G.U.P. il precedente 30/4.
Dalle suesposte vicende, portate a conoscenza della Procura Generale presso questa S.C., scaturì l'azione disciplinare a carico del dott. T. , al quale vennero contestati gli addebiti di cui al D.Lgs. n.109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. d) e g) per avere
chiesto, pur essendo consapevole, per sua stessa ammissione (desunta dal contenuto del citato esposto), dell'intervenuta prescrizione dei reati, il rinvio a giudizio degli imputati, così inutilmente gravando di inutili, laboriose ed onerose attività processuali gli uffici di segreteria e cancelleria interessati, oltre che di spese di difesa gli imputati medesimi, in tal modo incorrendo in "grave violazione di legge (prevista dal combinato disposto degli 523215523A::1998-06-19" href="/norms/codes/itatextcyjtowm69965vk/articles/itaartlmfjs90wcjafegv?version=7fd6f08a-f268-5fec-8598-3834c279fca3::LR800F5E8787523215523A::1998-06-19">artt. 405, 408, 411 c.p.p.) determinata da ignoranza inescusabile", essendo risultate "le motivazioni addotte dal magistrato nell'esposto del 12 maggio 2010...incongrue ed inconferenti, in quanto disancorate dai dati normativi e, dunque, assolutamente inadeguate rispetto allo scopo dichiarato".
Tali motivazioni erano state indicate dall'esponente nell'intento di "evitare che una richiesta di proscioglimento per intervenuta prescrizione potesse però trovare riscontro in una formulazione di segno diverso (sul merito cioè piuttosto che sulla maturata prescrizione), rimanendo in tal caso preclusa alla Pubblica Accusa l'esperibilità di rimedi adeguati", sicché il rinvio a giudizio avrebbe consentito "che all'udienza fissata potessero trovare spazio le parti contrapposte, compresa la parte civile, rimanendo aperta la via, in caso di proscioglimento nel merito, alle impugnazioni previste dalla legge".
Nel corso dell'interrogatorio reso al P.G. l'incolpato precisò che l'azione penale era stata da lui esercitata al duplice scopo di individuare le esatte date di consumazione dei reati e di poter contestare anche l'intravisto e non prescritto delitto di associazione per delinquere. Tratto a giudizio della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, all'esito del dibattimento conclusosi con le richieste assolutorie, sia del P.G. che della difesa, il dottor T. , con sentenza del 1/6- 4/7/2012, venne dichiarato colpevole dell'addebito ascrittogli, nella parte ritenuta integrante l'illecito disciplinare di cui al D.P.R. n.109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g) ed assolto da quello di cui
alla lettera d), con irrogazione della censura, sulla scorta delle seguenti essenziali ragioni:
a) per sua stessa ammissione, contenuta nell'esposto del 12.5.2010, il magistrato era consapevole dell'intervenuta prescrizione dei reati ascritti agli imputati;
b) conseguentemente, con la richiesta di rinvio a giudizio, aveva violato l'art. 411 c.p.p., imponente al P.M. di chiedere l'archiviazione;
c) nessuna ragione di pubblico interesse, connesso all'eventualità di un'archiviazione ex art. 408 c.p.p. della notitia criminis per ritenuta manifesta infondatezza, avrebbe potuto giustificare la scelta operata dall'incolpato, considerato che il provvedimento di archiviazione, anche se dovuto a ragioni di merito, non avrebbe potuto spiegare alcuna efficacia in qualsiasi altro procedimento;
d) incongrue risultavano, altresì, le successive giustificazioni addotte, considerato che le finalità dell'udienza preliminare sono limitate alla valutazione del fondamento dell'accusa e non alla ricerca della data dei reati o della configurabilità di altri, mentre nell'ipotesi di incompletezza delle espletate indagini, comportanti impossibilità, addebitabile al P.M.., di decidere allo stato degli atti, il giudice avrebbe potutoci sensi dell'art. 421 bis c.p.p., indicare le ulteriori indagini da compiersi, informandone il
P.G., ai fini della eventuale avocazione;
e) pur avendo comportato le trasgressioni ascritte le contestate conseguenze dannose, le stesse non avevano inciso direttamente nei rapporti tra il magistrato e le parti o il personale di cancelleria, nè i comportamenti potevano ritenersi abitualmente o gravemente scorretti nei relativi confronti, sicché andava escluso l'illecito di cui alla lettera d);
f) andava conclusivamente irrogata, per l'illecito accertato la sanzione della censura, in quanto "adeguata alla gravità dei fatti". Avverso la suddetta sentenza il dott. T. ha proposto, a mezzo di difensore di fiducia, ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati con successiva memoria. Non ha resistito il Ministero della Giustizia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p. 1. Va anzitutto esaminata l'eccezione, sollevata nella memoria illustrativa e ribadita nella discussione orale, di illegittimità costituzionale dell'art. 379 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 109 del 2006, nella parte richiamante, per il giudizio di cassazione in materia disciplinare dei magistrati, le disposizioni del codice di procedura civile, per assunta violazione del diritto alla difesa di cui all'art. 24 Cost. e del principio di eguaglianza, laddove, prevedendo che nella discussione orale il Procuratore Generale prenda la parola per ultimo, non consentirebbe all'incolpato, e per lui al suo difensore, di conoscere le posizioni dell'organo requirente e di organizzare la propria difesa, così ponendolo in una situazione di inferiorità processuale. L'eccezione, ancor prima che manifestamente infondata (alla luce della giurisprudenza consolidata di queste S.S.U.U., evidenziante il ruolo di "imparziale tutore della legge" e non più di controparte accusatrice, come nella fase di merito innanzi alla Sezione Disciplinare del C.S.M., svolte dal P.G. in sede di legittimità: v. n. 759/06, n.l9660/03, n. 11 190/03, n.7947/03), va disattesa, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 24 per manifesta irrilevanza nel caso di specie, considerato che le conclusioni rassegnate dal P.G. nel corso della pubblica udienza di discussione, conformi a quelle assolutorie a suo tempo proposte nel giudizio di merito, sono state per l'accoglimento del ricorso, così dispensando la difesa dall'esercizio della facoltà, prevista dall'art. 379 cit., comma 4, u.p. di "presentare brevi osservazioni per iscritto" (diritto di replicala cui previsione, ulteriormente evidenzia l'infondatezza, anche in linea di principio, della questione). p. 2. La parte motiva del ricorso esordisce con una "premessa", integrante un vero e proprio motivo d'impugnazione, qualificato di "ordine generale, di violazione di legge e di carenza di motivazione che coinvolge la decisione nella sua complessiva articolazione". Le doglianze attengono all'assunta mancanza di valutazione, nell'impianto generale della sentenza, in violazione e falsa applicazione degli artt. 25, 27, 101 Cost., art. 2043 c.c., D.Lgs. n. 109, artt. 1 e 5 con connesse omissione, insufficienza, contraddittorietà di motivazione, del "criterio di imputabilità, a titolo di dolo o di colpa, del comportamento qualificato come illecito disciplinare", elemento psicologico indispensabile, nel quadro normativo vigente, comportante, se non l'assimilazione, l'avvicinamento della materia disciplinare a quella penale, che nella specie sarebbe stato del tutto trascurato, finendo con l'addebitare i fatti ascritti a titolo di responsabilità oggettiva. Le censure, palesemente generiche, sono del tutto prive di fondamento, risultando palese dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto fondata l'accusa, limitatamente all'addebito di cui all'art. 2, n. 1, lett. g), per "grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile", prendendo chiara ed argomentata posizione (come si avrà modo di evidenziare nell'esame dei successivi motivi) in ordine sia alla consapevolezza dell'incolpato dell'avvenuta prescrizione di tutti i reati, alla data della richiesta di rinvio a giudiziosa dell'infondatezza giuridica delle motivazioni, dal medesimo addotte al fine di giustificare tale ritenuta "scelta processuale", così palesemente ravvisando nella relativa condotta del magistrato incolpato gli estremi, quanto meno, della colpa grave, integrata appunto dalle ravvisate negligenza ed ignoranza inescusabili, sotto il profilo soggettivo connotanti la fattispecie disciplinare de qua;
donde la palese inconferenza della doglianza secondo cui il criterio adottato sarebbe stato quello della responsabilità oggettiva. p.