Cass. pen., sez. I, sentenza 10/03/2023, n. 10332

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 10/03/2023, n. 10332
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10332
Data del deposito : 10 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: ABBATE DOMENICO nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 27/04/1970 MESSINA RENZO nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 06/06/1969 avverso l'ordinanza del 28/03/2022 del TRIB. LIBERTA' di MESSINA udita la relazione svolta dal Consigliere D C;
sentite le conclusioni del PG ASSUNTA COCOMELLO, che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l'avv. CICCIARI, che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso e deposita, in udienza, motivi nuovi e memoria difensiva nell'interesse di A D;
udito l'avv. A R, che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso;
udito l'avv. LO PRESTI, che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATI-0 1. Con ordinanza del 28 marzo 2022, il Tribunale del riesame di M Cztatila ha rigettato le richieste di riesame proposte da D A e R M avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare della custodia in carcere, emesso nei loro confronti dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 2 marzo 2022 in relazione al reato di omicidio premeditato.

2. Il procedimento penale nell'ambito del quale sono stati emessi i menzionati provvedimenti attiene all'uccisione di S R, avvenuta nel 1990, episodio criminoso per il quale sono stati emessi — rispettivamente, nel 1991, nel 2011 e nel 2017 (gli ultimi due a seguito di reiterata riapertura, su impulso della madre della vittima, delle indagini preliminari) — tre successivi decreti di archiviazione per essere rimasti ignoti gli autori del gravissimo fatto di sangue. Le indagini, nuovamente riaperte nel 2019 grazie al deposito di informativa contenente le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia M C e Carmelo D'Amico, si sono sviluppate mediante l'acquisizione di elementi che hanno indotto il Giudice per le indagini preliminari e, quindi, il Tribunale del riesame ad avallare, sia pure nella prospettiva tipica del giudizio cautelare incidentale, la prospettazione accusatoria, che inserisce D A e R M nel novero degli autori dell'omicidio. Secondo tale impostazione, D A, 1'8 aprile 1990, prelevò la vittima, che si trovava presso l'abitazione di M L S, e, con il proprio motociclo, la portò al cospetto di R M, per poi condurla, unitamente al correo, nella frazione di Gala del comune di Barcellona P.G., dove, alla presenza di altri complici, ebbe luogo l'uccisione, a colpi di arma da fuoco, di R, il cui cadavere venne, infine, sepolto nella vicina contrada Praga.

3. Il Tribunale del riesame ha disatteso la richiesta di riesame avanzata da entrambi gli indagati e condiviso i giudizi di gravità indiziaria e dì pregnanza cautelare già espressi dal giudice procedente.

3.1. Ha, tra l'altro, respinto la deduzione diretta a sanzionare con l'inutilizzabilità gli atti di indagine successivi ai decreti di archiviazione disposti nell'ambito del procedimento per l'omicidio di S R, iscritti nei confronti di persone ignote, in mancanza di un decreto di autorizzazione alla riapertura delle indagini da parte del Giudice per le indagini preliminari.Al riguardo, ha posto l'accento sul tenore letterale dell'art. 414 cod. proc. pen., che attribuisce al Giudice per le indagini preliminari la competenza all'autorizzazione alla riapertura delle indagini dopo l'adozione di decreto di archiviazione «emesso a norma degli articoli precedenti», locuzione che circoscrive l'applicazione dell'istituto alle ipotesi di decreto di archiviazione emesso nell'ambito di procedimenti nei confronti di persone note, ciò che convince, in forza di argomento a contrario, che non vi sia necessità di apposito decreto di riapertura nel caso in cui il decreto di archiviazione sia stato, invece, pronunziato in un procedimento a carico di ignoti. Né — secondo il Tribunale del riesame — può pervenirsi ad opposta conclusione sulla base della ponderazione dell'eventuale individuabilità in senso sostanziale degli indagati, valutazione sottratta al suo vaglio, come indirettamente, ma univocamente, confermato dal consolidato indirizzo ermeneutico che inibisce al giudice della cautela (e, quindi, non solo al Giudice per le indagini preliminari, ma anche al Tribunale del riesame) di operare la retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato in capo a soggetti noti. D'altro canto, aggiungono i giudici peloritani, l'eccezione difensiva è, nel merito, priva di pregio, posto che solo con il deposito, risalente al 16 settembre 2019, dell'informativa della Sezione anticrimine dei Carabinieri di M la locale Procura della Repubblica ha acquisito elementi idonei a giustificare l'iscrizione, per l'omicidio di S R, di G G, successivamente aggiornata con l'inserimento degli odierni ricorrenti.

3.2. Il Tribunale del riesame ha, poscia, stimato la solidità del compendio indiziario raccolto a carico di D A e R M.

3.2.1. Dalle indagini espletate nell'immediatezza della sparizione di S R emerse, invero, che egli fu visto per l'ultima volta 1'8 aprile 1990, giorno in cui, intorno alle ore 14:30, si portò, unitamente alla sorella D ed alla compagna E A, presso l'abitazione dell'amico M L S, insieme al quale, verso le 15:15, si recò, dopo avere nutrito i cani di L Scala, in località Centineo, a casa di F P, cognato del noto esponente mafioso G C, capo dell'omonimo clan che, in quel periodo, contendeva al gruppo dei cc.dd. «barcellonesi» la primazia sul territorio della cittadina tirrenica. In questo contesto temporale, A D giunse, a bordo di una motocicletta di grossa cilindrata, a casa di L Scala, ove apprese da D R che il fratello era uscito con M L S. A, udita la notizia, si accomiatò, per poi fare ritorno verso le ore 17:00 allo scopo di condurre con sé R il quale, montato sulla motocicletta, si allontanò con lui, non senza avvertire la compagna che prevedeva di assentarsi per breve tempo. Il padre di S R, Pietro, non avendo più notizia del figlio, si portò, insieme ad un amico del giovane, Salvatore G, a casa di A, il quale gli riferì di essersi recato con S nella piazza di Barcellona P.G., dove contava di incontrare R M, il quale aveva manifestato il desiderio di parlare con R;
la contingente assenza, nel luogo convenuto, di M aveva, però, indotto A ad accompagnare R, su sua indicazione, nei pressi delle case popolari di Fondaco Nuovo, dove lo aveva lasciato. A R, fratello di S, riferì, poi, di essersi messo alla ricerca del fratello, girando per le vie di Barcellona P.G., nella mattina del 9 aprile 1990, appena appresa la notizia della scomparsa del congiunto, ed aggiunse che, nel rientrare a casa, alle ore 11:00 circa, si era imbattuto in Salvatore G e R M, i quali, dopo avergli chiesto notizie del fratello, lo avevano invitato a salire a bordo della loro autovettura per continuare la ricerca che, tuttavia, non aveva dato frutti, sicché A R si era separato dai due i quali, nel giro di mezz'ora, lo avevano raggiunto a casa per confermargli che ogni tentativo si era, sino a quel momento, rivelato vano. A R specificò, nondimeno, di aver udito, mentre i due scendevano le scale allontanandosi dalla sua abitazione, M rivolgersi a G dicendogli «tu a S non lo hai visto». Tale dato è stato valorizzato dai Tribunale del riesame per la sua indubbia valenza suggestiva e perché, una volta inserito nel contesto enucleato grazie alle dichiarazioni che i collaboratori di giustizia avrebbero reso a distanza di molti anni, accredita l'assunto che vede M e G in possesso di più approfondite e precise informazioni in merito alla scomparsa di S R. I giudici siciliani hanno, inoltre, osservato che la frase si palesa ancora più eloquente se iscritta nella cornice delineata dal testimone, il quale aveva appena informato i due che, con ogni probabilità, sarebbero stati presto convocati dai Carabinieri, e se si considera che essa è stata carpita nel momento in cui G e M erano in procinto di lasciare casa di R, ragionevolmente convinti di non essere osservati né sentiti.

3.2.2. L'obiettiva modestia delle evidenze raccolte a seguito delle prime indagini determinò, come sopra anticipato, l'archiviazione del procedimento — rimasto a carico di soggetti ignoti — scaturito dalla scomparsa di S R, reiterata, nel 2011 e, quindi, nel 2017, ad onta delle sollecitazioni provenienti dalla famiglia della vittima.Le indagini sono state, per la terza volta, riaperte nel 2019, grazie al deposito di informativa contenente le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia M C e Carmelo D'Amico. Il primo, escusso a più riprese, ha fornito importanti elementi di conoscenza in ordine alla scomparsa di R, che ha ricondotto ad un caso di «lupara bianca». Ha riferito di aver saputo dell'omicidio da E M, il quale gli ha rivelato che la scomparsa della vittima era da ascrivere ad esponenti dell'associazione mafiosa dei «barcellonesi» e che il movente del delitto risiedeva nella circostanza che la vittima si era resa responsabile del furto di un camion di pneumatici ai danni della ditta V di Merì — alle cui dipendenze R aveva svolto attività lavorativa quale autotrasportatore e che godeva della protezione dei «barcellonesi» — commesso unitamente a N S e M C. Ulteriori dettagli erano poi stati dati a C da Antonio B, sodale dei «barcellonesi» ma, al contempo, confidente dei «chiofaliani», il quale, oltre a confermare le rivelazioni di Marchetta, aveva aggiunto di avere personalmente partecipato all'omicidio, le cui modalità esecutive aveva indicato, focalizzando, in specie, il contributo di D A e R M. A dire di C, B gli aveva, in particolare, raccontato che A, su incarico di G G, aveva prelevato R a casa di un suo amico e lo aveva portato, dapprima, in un luogo dove i due si erano incontrati con tale M, e subito dopo, insieme a M, in contrada Gala di Barcellona, al cospetto di G G, S G ed altri — tra cui lo stesso A B — i quali gli avevano contestato il furto degli pneumatici. Il Tribunale del riesame ha stimato, in accordo con il Giudice per le indagini preliminari, l'attendibilità, già positivamente sperimentata in sede giudiziaria, di C, in quanto titolare di un rango che gli ha consentito di conoscere le dinamiche delittuose dei sodalizi barcellonesi. Ha, vieppiù, rilevato che la narrazione di C ha trovato obiettiva conferma anche con riferimento alla sparizione di M C — da lui indicata quale ulteriore conseguenza della frizione tra i gruppi che si contendevano la leadership mafiosa sulla città del Longano — atteso che, effettivamente, a pochi mesi dalla scomparsa di R, i genitori di C avevano sporto analoga denunzia, esponendo che il figlio, il 24 giugno 1990, si era allontanato a bordo della propria autovettura senza fare più rientro a casa. Della morte di S R ha parlato anche, il 20 novembre 2019, il collaboratore di giustizia N S, già esponente di spicco del clan dei «barcellonesi», il quale ha detto di avere conosciuto e frequentato assiduamente la vittima alla fine degli anni '80 del secolo scorso e specificato che allorquando, nel 1990, egli aveva appreso della sua scomparsa, non aveva acquisito attendibili informazioni in ordine alla responsabilità, in tale vicenda, della compagine criminale di appartenenza. S ha, nondimeno, ricordato che S C gli aveva successivamente confidato che R era stato ucciso perché aveva intrapreso una relazione con la moglie di O I, altro esponente della medesima associazione mafiosa. A fronte dell'obiezione difensiva facente leva sull'incongruenza tra le dichiarazioni di C, a dire del quale S sarebbe stato presente all'incontro, immediatamente precedente al delitto, in cui R era stato chiamato a rispondere del furto degli pneumatici, e quelle dello stesso S, il quale ha, invece, esposto di non conoscere i dettagli dell'omicidio, dei quali è stato edotto a distanza di un notevole torno di tempo, il Tribunale del riesame ha replicato rimarcando che C, in entrambe le occasioni in cui è stato chiamato a riferire del delitto R, si è espresso in termini dubitativi in ordine al confronto cui avrebbe partecipato S, onde non appare ragionevole elevare siffatta circostanza a termine di riferimento riguardo al giudizio di attendibilità del collaboratore. Ha aggiunto che le dichiarazioni di S non contraddicono, ad un apprezzamento complessivo, il narrato di C, posto, in particolare, che il primo, pur non riuscendo a focalizzare il movente del delitto, ha riferito di avere percepito, nella circostanza, di correre il rischio di andare incontro allo stesso destino dell'amico proprio per mano dei «barcellonesi» i quali, in sostanza, sospettavano — come già accaduto per S R e M C — della sua nascosta contiguità con il gruppo rivale. Le dichiarazioni di C trovano riscontro, secondo il Tribunale del riesame, in quanto affermato da Carmelo D'Amico il quale, in ordine all'episodio in contestazione, ha descritto il ruolo, di assoluta centralità, rivestito nell'occasione da R M. D'Amico ha riferito, al riguardo, che M gli ha confidato di avere condotto R al cospetto dei killer e di temere che il padre della vittima, conscio di ciò, potesse vendicarsi uccidendolo. Il collaboratore di giustizia ha, ulteriormente, ricordato che M gli ha parlato dell'omicidio di R sia nell'immediatezza del fatto sia in un secondo momento, precisando che R era stato prelevato da D A, che lo aveva condotto sul luogo dell'esecuzione;
pur non rammentando di avere discusso del fatto anche con A, D'Amico ha, però, ricordato che questi, al pari di M, temeva di essere arrestato per questo fatto.Il Tribunale del riesame ha formulato un giudizio positivo sull'attendibilità di Carmelo D'Amico, collaboratore che, avendo rivestito un ruolo di primo piano nell'associazione, ben può averne appreso le vicende e il cui apporto conoscitivo ha già contribuito all'accertamento giudiziale di numerosi fatti di sangue. Ha, ancora, esposto che le circostanze narrate dal collaboratore al fine di tratteggiare il contesto in cui egli era stato informato dei particolari dell'omicidio hanno trovato rispondenza in alcune pregnanti emergenze oggettive, quale il rinvenimento, cinque mesi prima del duplice omicidio Pirri-Accetta a cui il collaboratore aveva accennato, dei cadaveri di tre appartenenti al clan dei «chiofaliani», la cui uccisione ha ricondotto alla cruenta guerra di mafia che, tra la fine degli anni '80 e la fine del decennio seguente, è derivata dalla contrapposizione tra le due compagini. Il Tribunale del riesame ha stimato la convergenza delle dichiarazioni di D'Amico con quelle di C, il quale aveva individuato il movente nel furto di pneumatici all'impresa della famiglia V, di cui si erano resi responsabili S R, N S e M C, mentre D'Amico ha indicato quale causa del delitto i sospetti che i maggiorenti dell'associazione dei «barcellonesi» nutrivano in ordine all'occulta contiguità di R all'associazione capeggiata da G C. I giudici messinesi hanno ritenuto plausibile il convergente concorso dei due moventi nella deliberazione omicidiaria, potendosi fondatamente ipotizzare che sulla preesistente diffidenza nei confronti di R si sia innestato il convincimento, derivato dalla partecipazione ad un furto ai danni di impresa che si trovava sotto la protezione dei «barcellonesi», che R si fosse avvicinato all'associazione di C. Hanno, d'altro canto, stimato la coerenza con tale ricostruzione dell'estensione dei sospetti in direzione di N S che, a dire di entrambi i collaboratori, ha lui pure corso il rischio di essere ucciso per mano dei «barcellonesi»;
circostanza, questa, indirettamente confermata dal narrato dello stesso S il quale ha, tra l'altro, rammentato che il timore di essere vittima di un agguato ordito dai membri del suo stesso sodalizio mafioso di appartenenza lo aveva indotto, al tempo dei fatti, a lasciare, per un determinato periodo, la terra di origine ed a spostarsi in Liguria. Il Tribunale del riesame ha, sotto altro aspetto, chiarito, in replica a ferma contestazione difensiva, che il tratto di incostanza che connota le dichiarazioni rese da Carmelo D'Amico, precipuamente per quanto concerne la posizione di R M, non ne mina la complessiva attendibilità, giustificata dalla mole dei fatti di sangue (numericamente stimabile nell'ordine della sessantina) sui quali egli ha riversato le proprie conoscenze e della fisiologica progressività nell'affiorare dei ricordi. Il Tribunale del riesame indica, poi, a suggello della robustezza del quadro indiziario, gli esiti delle intercettazioni eseguite nell'ambito di distinto procedimento penale, promosso nei confronti di Carmelo M, e, in specie, i dialoghi tra costui e, rispettivamente, Antonino Rubbà e Mario Italiano, nel corso dei quali, facendosi riferimento a notizie pubblicate sul giornale relative ad un collaboratore che aveva fatto rivelazioni su un caso di lupara bianca ascrivendolo al nipote R M e a D A, Carmelo M ha, tra l'altro, affermato, nel commentare la notizia, che nulla avrebbe potuto essere addebitato al nipote, non essendo mai stato rinvenuto il cadavere e, quindi, che Renzo poteva dormire sogni tranquilli;
affermazione che, notano i giudici del riesame, sembra, nel minimizzare la concretezza del pericolo che R M venisse raggiunto dai rigori della giustizia, dare per scontata la sua responsabilità per il caso di lupara bianca. Il Tribunale del riesame, alla luce del compendio indiziario sin qui sinteticamente evocato, è pervenuto alla conferma del giudizio di gravità indiziaria formulato dal Giudice per le indagini preliminari a carico di R M e D A.
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