Cass. pen., sez. VII, ordinanza 05/10/2020, n. 27488
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seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: STASI ANTONIO nato a CIRO il 11/01/1967 avverso la sentenza del 20/06/2019 della CORTE APPELLO di Cdato avviso alle parti;udita la relazione svolta dal Consigliere M M M;RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO La CORTE d'APPELLO di C, con sentenza in data 20/6/2019, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di C il 9/7/2018, ha escluso la circostanza di cui all'art. 629, comma 2, cod. pen. e, rideterminata la pena, ha confermato nel resto la condanna nei confronti dì STASI ANTONIO per il reato di cui all'art. 629 cod. pen. 1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi: -la violazione di legge in relazione all'art. 629 cod. pen. -la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti nei termini di cui all'art. 629 cod. pen. piuttosto che del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni;-la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta consumazione del reato di estorsione. 2. Il ricorso è inammissibile. 2.1. Nel primo motivo la difesa rileva che il ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna condotta minatoria e che la mera presenza dello stesso non consentirebbe di ritenere che lo stesso, inconsapevole dell'illegittimità della richiesta formulata da uno dei coimputati, abbia comunque concorso nella commissione del reato. La doglianza è manifestamente infondata. La Corte territoriale, infatti, rispondendo la medesima censura già dedotta nell'atto di appello, ora reiterata, ha evidenziato gli elementi (presenza del ricorrente nelle fasi cruciali della vicenda, prima richiesta, verifica della possibilità di denunciare all'assicurazione del falso sinistro, consegna dei soldi) sui quali si fonda la dichiarazione di responsabilità per il reato contestato. La motivazione della sentenza impugnata sul punto, adeguata, logica e coerente, non è sindacabile in questa sede. Alla Corte di cassazione, infatti, è precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito. Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., infatti, è esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428;per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217;Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Rv. 265482;Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507). Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla partecipazione attiva del ricorrente ai fatti, ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una lettura parziale dell'istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente ('esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'"iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione', in questo senso Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217).
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