Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/07/2004, n. 13977
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In tema di usi civici, la conciliazione di cui all'art. 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 può legittimamente intervenire anche in sede di procedimento di esecuzione, dinanzi al commissario, della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. I G - Primo Presidente f.f. -
Dott. D V - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. P V - Consigliere -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CUNE Di P, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 180, presso lo studio dell'avvocato M S, rappresentato e difeso dall'avvocato T M, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
C M, COLALÈ M P, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio dell'avvocato L M, rappresentate e difese dall'avvocato D R, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 41/02 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 18/06/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/04 dal Consigliere Dott. A M;
uditi gli Avvocati F R, per delega dell'avvocato T M, L M, per delega dell'avvocato D RSI;
udito il P.M, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele che ha concluso per l'inammissibilità del primo profilo del primo motivo per novità della censura, rigetto del secondo profilo del primo motivo, dichiarazione inammissibilità o in subordine rigetto del secondo motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26 febbraio 1999, il Commissario Regionale per il Riordino degli Usi Civici in Abruzzo dichiarava - all'esito di giudizio instauratoci ufficio, ex art. 29 L. 16 giugno 1927 n. 1766 - proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal Comune di Popoli nei confronti di Ada Colale Rocchi (e, quindi, a seguito del decesso di quest'ultima, nei confronti delle di lei eredi Marcella e M P C), diretta all'accertamento della natura demaniale civica universale dei fondi in tenimento del predetto Comune, località "Capo Pescara", distinti al foglio 17, particelle nn. 7, 16, 128, 129, 130, 131, 132, 203, nonché diretta alla condanna delle menzionate occupanti Colale al rilascio dei terreni medesimi.
Assumeva il Commissario che ogni decisione relativa all'accertamento della "qualitas soli" risultava preclusa per effetto di rituale conciliazione intervenuta nel 1965 tra il Comune ed A G F R (dante causa delle resistenti).
Analoga statuizione pronunciava in ordine a domande riconvenzionali di risarcimento danni spiegate dalla M C, osservando che le domande stesse non erano, comunque, riconducibili "alle questioni previste dagli artt. 1 e 29 della legge 1766/27". Proponeva gravame il Comune assumendo l'invalidità della conciliazione in quanto avente ad oggetto diritti civici demaniali per loro natura indisponibili.
Faceva comunque presente che la particella n. 129 su cui insisteva,in parte,la villa delle Colale non poteva essere ricompresa nella conciliazione, in quanto non formalmente indicata nell'ordinanza commissariale di omologazione del 19.7.1965. Ribadendo la natura demaniale civica universale dei terreni, concludeva l'appellante chiedendo dichiararsi la nullità assoluta o comunque l'annullamento della conciliazione in discorso e per l'effetto dichiarare la natura demaniale civica universale del fondo "de quo" abusivamente occupato dalle appellate con ordine di reintegra in suo favore di tutti i beni suindicati e condanna delle predette al loro immediato rilascio. In estremo subordine chiedeva dichiararsi la natura demaniale civica universale e la conseguente reintegra quanto meno del fondo censito al foglio 17 particella n. 129, con ogni accessione.
Nella contumacia di M P C, resisteva al reclamo M C, chiedendone il rigetto.
Con sentenza del 18 giugno 2002 la Corte d'appello di Roma, Sezione Speciale Usi Civici, rigettava il reclamo condannando l'Ente reclamante a rifondere, in favore della costituita M C, le spese del grado.
Affermava la Corte romana, per quel che ancora interessa in questa sede:
La richiamata conciliazione era intervenuta quando era pendente pregresso giudizio in sede di reclamo (parimente concernente i terreni in oggetto) instaurato da A G F R avverso la sentenza commissariale del 5.12.1964, in epoca in cui non era stata ancora irrevocabilmente accertata, in via giudiziale, la "qualitas soli". Conseguentemente, a fronte della facoltà delle parti di definire la lite con conciliazione ai sensi dell'art. 29 della L. 1766/27, non poteva ritenersi che il Comune, all'epoca
dell'atto transattivo, fosse titolare di diritti civici demaniali (definitivamente accertati come tali) e ne avesse di conseguenza illegittimamente disposto. Nella specie la conciliazione era stata ritualmente formalizzata in data 19 febbraio 1965 non dinanzi alla Corte d'appello, ma dinanzi al Commissario in sede di procedimento di esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva (Cass. 10.7.1930 n. 2575).
L'operato del Sindaco era stato ratificato dal Consiglio Comunale con delibera in data 7.4.1965, cui era seguita l'approvazione il 23 aprile successivo da parte della G.P.A. di Pescara. La conciliazione stessa era stata omologata dal Commissario in data 19.7.1965,in quanto ritenuta conveniente anche per il Comune "e rispondente a ragioni di pubblico interesse" stante, tra l'altro, l'incertezza, nella zona, dei confini fra i fondi di natura civica demaniale e quelli di natura allodiale, ed, infine, approvata dal Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste in data 17.11.1965. La mancata indicazione della particella n. 129 del foglio 17 nel verbale di conciliazione e nel provvedimento commissariale di omologa era frutto di errore materiale, risultando la stessa, su cui insisteva porzione della villa, indicata nella scrittura intercorsa in data 12.2.1965 tra il Guanciali Franchi Rocchi ed il Comune di Popoli. Inoltre, avendo il Commissario nell'ordinanza di omologa fatto espresso riferimento all'esistenza della predetta villa sui terreni oggetto della conciliazione, doveva ragionevolmente ritenersi che la particella in discorso (che era quella di maggior valore economico) fosse ricompresa nell'atto transattivo che in tal senso doveva pertanto essere interpretato.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Comune di Popoli sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso Marcella e M P C. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 29 della legge 16 giugno 1927 n. 1766 in relazione alla legge 10 luglio 1930 n. 1078. Assume il ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte romana,la definizione transattiva sottoscritta in data 19.2.1965 dal Franchi Rocchi ed esso Comune doveva ritenersi illegittima sotto molteplici profili. Innanzi tutto, operando la conciliazione esclusivamente nell'ambito del procedimento commissariale di primo grado, entro i limiti di cui all'art. 29 della legge n. 1766/1927, e non pure nel successivo giudizio d'appello,
interamente regolamentato dalla legge 10.7.1930 n. 78, erroneamente il giudice del reclamo aveva ritenuto valida la conciliazione in discorso formalizzata dinanzi al Commissario mentre era già pendente il giudizio dinanzi alla Corte d'appello. Inoltre, essendo stata nel caso di specie la natura civica universale dei beni oggetto di causa già accertata con la sentenza commissariale del 5 dicembre 1964 sia pur appellata,ed ulteriormente acclarata nel successivo giudizio commissariale tra le stesse parti iscritto al n. 88/1991, era evidente che le parti avevano proposto e concluso una conciliazione che aveva ad oggetto diritti chiaramente ed accertatamente indisponibili per loro natura.
Invero,per la necessaria coerenza del sistema delineato dalla legge n. 1766/1927, può aversi conciliazione solo allorquando non sia
stata ancora accertata la natura demaniale delle terre e dei suoli,non allorquando siano già intervenute le verifiche demaniali di legge in quanto, in tal caso, può esperirsi solo la diversa procedura della legittimazione, ricorrendone i presupposti contemplati dall'art. 9 della stessa legge. La censura è infondata in relazione a tutti i profili sotto i quali è stata dedotta. Quanto al primo profilo, concernente l'asserita esperibilità della conciliazione esclusivamente nell'ambito del procedimento commissariale di primo grado, rileva il Collegio che l'art. 29 della legge 16 giugno 1927 n. 1766 stabilisce al secondo comma che "i
commissari decideranno tutte le controversie circa la esistenza, la natura e la estensione dei diritti di cui all'art. 1, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l'appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonché tutte le questioni a cui dia luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate" e, al comma successivo che "in ogni fase del procedimento potrà essere promosso un esperimento di conciliazione,sia per iniziativa del Commissario, sia per richiesta delle parti.........".
Ebbene, nella fattispecie che ne occupa, il disposto di legge è stato puntualmente osservato in quanto, come evidenziato dalla Corte romana nella qui impugnata pronunzia, la conciliazione in discorso è stata ritualmente formalizzata in data 19 febbraio 1965, non dinanzi alla Corte d'appello, ma dinanzi al Commissario in sede di procedimento di esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva (Cass. 10.7.1930 n. 2575). Quanto, poi, al secondo profilo non può di certo parlarsi di illegittimità, nel merito, della conciliazione in discorso come evidenziato dalla Corte romana con argomentazioni che il Collegio pienamente condivide.
La conciliazione è intervenuta quando era pendente pregresso giudizio in sede di reclamo (parimenti concernente i terreni in oggetto) instaurato da A G F R, dante causa delle attuali resistenti, avverso la sentenza commissariale in data 5.12.1964, vale a dire quando non era stata ancora irrevocabilmente accertata, in via giudiziale, la "qualitas soli".
Conseguentemente, a fronte della facoltà delle parti di definire la lite ai sensi dell'art. 29 della L. 1766/27, non poteva ritenersi che il Comune, all'epoca dell'atto transattivo, fosse titolare di diritti civici demaniali (definitivamente accertati come tali) e ne avesse di conseguenza illegittimamente disposto. La conciliazione era stata ritualmente formalizzata in data 19.2.1965 non, come si è visto, dinanzi alla Corte d'appello, ma dinanzi al Commissario in sede di esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva. L'operato del Sindaco era stato ratificato dal Consiglio Comunale con delibera in data 7.4.1965 cui era seguita l'approvazione, il 23 aprile successivo, da parte della G.P.A. di Pescara. La conciliazione era stata poi omologata dal Commissario in data 19.7.1965 ed, infine, approvata dal Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste in data 17.11.1965.
Nell'ordinanza commissariale di omologa era stato compiutamente illustrato che la conciliazione medesima (in virtù della quale le parti avevano effettuato reciproci riconoscimenti in ordine all'appartenenza di terreni) era conveniente anche per il Comune "e rispondente a ragioni di pubblico interesse", stante, tra l'altro, l'incertezza, nella zona, dei confini tra i fondi di natura civica demaniale e quelli di natura allodiale. A tali considerazioni può aggiungersi che non vale opporre, come sostenuto nel ricorso del Comune, alla ritenuta, nella impugnata sentenza, legittimità della conciliazione, la circostanza che sull'omologazione della stessa il Commissario si fosse già espresso sfavorevolmente alle Colale, con effetto di giudicato, con la sentenza n. 8 del 1993,perché,come puntualizzato dallo stesso Commissario nella sua decisione del 26.2.99, tale pronunzia non era mai divenuta definitiva essendo stata impugnata ed avendo la Corte d'appello di Roma, con sentenza dell'8.6.94, concluso il procedimento affermando il difetto di giurisdizione del Commissario medesimo per altro verso, sulla scorta della sentenza di questa Corte, a sezioni unite, del 28 gennaio 1994 n. 858.
Con il secondo motivo si deduce omessa o insufficiente motivazione su uno dei punti principali della controversia.
Osserva il ricorrente che contrariamente all'assunto della Corte romana che, senza idonea motivazione, e supponendo ricorresse un'ipotesi di "mero errore materiale", aveva ritenuto l'irrilevanza della mancata inclusione della particella 129 del foglio 17 nel verbale di conciliazione in discorso, sussistevano elementi documentali e interpretativi che militavano chiaramente a favore della non inclusione di detta particella nell'accordo transattivo. Al riguardo il giudice d'appello non aveva preso in considerazione la circostanza che il Commissario regionale della precedente causa n. 88/1991, nell'ordinanza del 5 marzo 1992, aveva affermato che la mancata ricomprensione della particella in questione era comprovata dalla circostanza oggettiva che, sia nell'ordinanza commissariale, sia nel decreto ministeriale, era espressamente sancito che il Rocchi avrebbe conservato a titolo di piena proprietà fondi per un'estensione di Ha 1.99.10 che rappresentava, appunto, il totale dell'estensione dei fondi censiti con le particene nn. 7, 16, 128, 130, 131, 132 e 203 del foglio n. 17. Non a caso, del resto, nella scrittura "privata" del 19 febbraio 1965, tali fondi - con la specifica indicazione di ogni singola particella e della relativa estensione - venivano individuati come "terreni in contrada Capo Pescara", senza alcun riferimento ad eventuali fabbricati. La censura non ha pregio giacché, in ordine alla mancata indicazione della particella 129 del foglio 17 nel verbale di conciliazione e nel richiamato provvedimento di omologa la Corte romana, con apprezzamento di fatto sorretto da motivazione adeguata esente da vizi logici e pertanto incensurabile nell'attuale sede, ha osservato, conformemente all'assunto contenuto nella reclamata sentenza commissariale, che tale mancata indicazione è frutto di mero errore materiale.
La particella in questione, su cui insisteva porzione della villa delle Colale, risultava, infatti, indicata nella scrittura intercorsa in data 12.2.1965 tra l'A G F R ed il Comune di Popoli, con cui dette parti avevano convenuto di procedere alla conciliazione della vertenza.
Inoltre - avendo il Commissario nell'ordinanza di omologa fatto espresso riferimento all'esistenza della predetta villa sui terreni oggetto della conciliazione - doveva ragionevolmente ritenersi che tale particella (che era quella di maggior valore economico) fosse ricompresa nell'atto transattivo, che pertanto in tal senso doveva essere interpretato.
Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto mentre ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.