Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/06/2004, n. 11353
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Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., l'esercizio del potere d'ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere - dovere, sicché il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova, avendo l'obbligo - in ossequio a quanto prescritto dall'art. 134 cod. proc. civ., ed al disposto di cui all'art. 111, primo comma, Cost. sul "giusto processo regolato dalla legge" - di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all'uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso. Nel rispetto del principio dispositivo i poteri istruttori non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale, dandosi ingresso alle cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la volontà delle parti di non servirsi di detta prova o, infine, in presenza di una prova già espletata su punti decisivi della controversia, ammettendo d'ufficio una prova diretta a sminuirne l'efficacia e la portata . (Nella specie, relativa a riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della malattia dalla quale il lavoratore era affetto, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C. in base al principio di cui in massima, aveva motivato il mancato esercizio dei poteri istruttori, in sede di gravame, tenendo conto del mancato assolvimento, da parte del lavoratore, dell'onere di provare non solo il tipo di mansioni svolte e il suo concreto atteggiarsi, ma pure la sussistenza di tutte le condizioni - vibrazioni, scuotimenti, inclemenze atmosferiche, sottoposizione a turni irregolari - cui addebitava in relazione di causalità la malattia da cui era risultato affetto, e delle carenze dell'atto introduttivo non superate neanche per effetto dell'espletamento della consulenza medico - legale e del contenuto dell'anamnesi lavorativa in essa riportata).
Con riguardo alla domanda di equo indennizzo, grava sul lavoratore l'onere di provare, con precisione, i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell'infermità alle modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica rivestita, variabili in relazione al luogo di lavoro, ai turni di sevizio, all'ambiente lavorativo, non configurando, le mansioni inerenti alle qualifiche, un fatto notorio che non necessita di prova, atteso che esse sono variabili in dipendenza del concreto posto di lavoro, della sua localizzazione geografica, dei turni di servizio, dell'ambiente in generale, essendo assolutamente irrilevante che la controparte non abbia contestato, con la comparsa di costituzione in primo grado, le modalità della prestazione lavorativa allorquando dette modalità non siano state precisate. Inoltre, nelle patologie aventi carattere comune ad eziologia c.d. multifattoriale, il nesso di causalità fra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell'esposizione a rischio.
Nel processo del lavoro, le parti concorrono a delineare la materia controversa, di talché la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso perché lo rende incontroverso, mentre la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice . Tuttavia, intanto la mancata contestazione da parte del convenuto può avere le conseguenze ora specificate, in quanto i dati fattuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perché fondativi del diritto fatto valere in giudizio o perché rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria), non potendo, il convenuto, contestare ciò che non è stato detto, anche perché il rito del lavoro si caratterizza per una circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, donde l'impossibilità di contestare o richiedere prova - oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito - su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo.
Nel rito del lavoro il ricorrente deve - analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell'art. 163, n. 4, cod. proc. civ. - indicare ex art. 414, n. 4 cod. proc. civ. nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda. In caso di mancata specificazione ne consegue la nullità del ricorso, da ritenersi però sanabile ex art. 164, comma quinto, cod. proc. civ. (norma estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi è che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l'integrazione della domanda, e la non tempestiva eccezione di nullità da parte del convenuto ex art. 157 cod. proc. civ., del vizio dell'atto, comprovano l'avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156, comma secondo, cod. proc. civ. La sanatoria del ricorso non vale, tuttavia, a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati ne' specificati in ricorso, sicché il convenuto può eccepire, in ogni tempo e in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell'attore della norma codicistica sull'onere della prova , in quanto la decadenza dalle prove riguarda non solo il convenuto (art. 416, terzo comma, cod. proc. civ.), ma anche l'attore (art. 414, n.5, cod. proc. civ.), dovendo ambedue le parti, in una situazione di istituzionale parità, esternare sin dall'inizio tutto ciò che attiene alla loro difesa e specificare il materiale posto a base delle reciproche istanze, alla stregua dell'interpretazione accolta da Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C R - Primo Presidente f.f. -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. V G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C S, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARSALA 9, presso lo studio dell'avvocato F V P, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato E D B, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA MASSIMO 21, presso lo studio dell'avvocato S B, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1379/00 del Tribunale di BARI, depositata il 04/07/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/04 dal Consigliere Dott. G V;
uditi gli Avvocati F P, S B;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 25 marzo 1993, Savino C conveniva in giudizio innanzi al Pretore di Bari l'Ente Ferrovie dello Stato, in persona del legale rappresentante pro tempore e, premesso di essere affetto da tecnopatia dipendente da causa di servizio con effetti permanenti sulla propria capacità lavorativa e di avere sperimentato con esito negativo il prescritto iter amministrativo, chiedeva la condanna dell'Ente al riconoscimento della infermità denunziata, con la corresponsione di ogni beneficio di legge per la menomazione dell'integrità fisica. Dopo la costituzione del contraddittorio e l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio, il Pretore accoglieva la domanda e, per l'effetto, dichiarava che la malattia del ricorrente (spondiloartrosi lombare) era dipendente da causa di servizio e che lo stesso aveva diritto alla corresponsione dell'equo indennizzo, corrispondente alla tabella A, cat. 7, del d.p.r. 30 dicembre 1981 n. 834, e condannava le Ferrovie dello Stato al pagamento della somma ex lege dovuta a titolo di equo indennizzo oltre rivalutazione monetarla ed interessi legali. Avverso tale sentenza proponeva gravame la s.p.a. Ferrovie dello Stato dolendosi dell'accoglimento della domanda attrice e contestando i risultati dell'espletata consulenza per mancanza di prova sulle mansioni in concreto svolte dal C. Dopo la ricostituzione del contraddittorio, il Tribunale di Bari con sentenza del 4 luglio 2000 accoglieva l'appello proposto ed, in riforma dell'impugnata sentenza, rigettava la domanda avanzata dal Savino C. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale osservava in primo luogo che non aveva fondamento l'eccezione dell'appellato secondo cui doveva dichiararsi la nullità del mandato alle liti dell'appellante e, conseguentemente, l'inammissibilità del gravame, atteso che la procura conferita dall'avv. Giancarlo A all'avv. A M doveva ritenersi valida a tutti gli effetti. Ed invero, all'avv. A erano stati trasferiti dal legale rappresentante dell'ente i poteri della società in ogni grado del giudizio e con ogni più ampia facoltà, con una procura che, nell'ambito dell'assetto organizzativo dell'ente, poteva ritenersi institoria perché comprensiva di tutti i poteri sostanziali e processuali. Nel merito il Tribunale rimarcava che il lavoratore aveva l'onere di provare ai sensi dell'art. 2697 c.c. non solo il tipo di mansioni svolte ed il suo concreto atteggiarsi ma pure la sussistenza di tutte quelle condizioni e modalità (durata, condizioni ambientali, intensità e durata del lavoro, ecc.) cui far risalire con nesso di causalità la malattia da cui risultava affetto. Il C, in altri termini, aveva dato per acclarata l'esistenza di circostanze che, al contrario, andavano da lui dimostrate in virtù del principio dell'onere della prova, non potendosi assolvere a tale onere attraverso le dichiarazioni rese al c.t.u. in sede di anamnesi lavorativa. Da ultimo il Tribunale evidenziava che, pure in caso di mancata contestazione da parte del datore di lavoro delle mansioni svolte (nella specie di guardiano), l'attore doveva ugualmente provare il suo assunto.
Avverso tale sentenza Savino C propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso la s.p.a. Rete Ferrovie dello Stato, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. La presente controversia è stata assegnata dal Primo Presidente alle Sezioni Unite di questa Corte a seguito dell'ordinanza del 23 ottobre 2003 della Sezione lavoro, che ha ravvisato un contrasto di giurisprudenza sulla questione concernente "l'entità degli oneri - di allegazione e probatori - gravanti sui dipendenti delle Ferrovie dello Stato che richiedono il riconoscimento della causa di servizio, con corresponsione di un equo indennizzo, a causa delle patologie dalle quali assumono di essere affetti".
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso Savino C denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 420 e 182 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., e, quindi, difetto di legittimazione processuale, nullità dell'atto di appello nonché mancato deposito della procura notarile. Lamenta in particolare che la società ha interposto atto di appello, a margine del quale era riportata la rituale formula del mandato ad litem. Il mandato in questione era stato, però, rilasciato all'avv. A M, difensore della società Ferrovie dello Stato nella fase d'appello, dall'avv. Giancarlo A, che non risultava essere il legale rappresentante della società. Si duole ancora che il difensore difettava dello ius postulandi per non avere depositato l'atto di delega con il quale il preteso legale rappresentante dell'ente convenuto avrebbe conferito il mandato.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. (anche con riferimento all'art. 2103 c.c.) nonché
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Dopo avere premesso che le mansioni di "guardiano" espletate non risultavano contestate da controparte, addebita al Tribunale di avere riscontrato una carenza probatoria ignorando così la richiesta di prove - in ordine alle condizioni e modalità di lavoro ed agli agenti patogeni dello stesso - formulata in primo grado (espletamento di una consulenza d'ufficio e acquisizione del fascicolo sanitario di esso ricorrente, custodito da controparte) e rinnovata in sede di appello (prova per testi con i compagni di lavoro e con i rappresentanti sindacali di categoria sulle mansioni effettivamente svolte). Su una tale richiesta il Tribunale aveva opposto un netto, quanto inspiegabile, rifiuto nonostante il principio secondo cui la mancata ammissione dei mezzi di prova, "quando, come nel caso di specie, non è sorretta da adeguata motivazione costituisce una vera e propria violazione di legge ed è censurabile in sede di legittimità".
Con il terzo motivo Savino C lamenta violazione e falsa applicazione di legge, dell'art. 2087 e 2697 c.c., e dell'art. 41 c.p. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p. e, ed ancora omessa
motivazione su punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Eccepisce il ricorrente che il Tribunale non ha valutato adeguatamente le conclusioni del c.t.u., che aveva evidenziato il rapporto causa-effetto tra patologia ed attività svolta, ed aveva spiegato perché la attività di guardiano aveva causato la denunziata patologia, rappresentando anche i rischi ai quali il lavoratore era stato esposto. Rimarcava, quindi, la violazione dell'art. 2087 e 2697 c.c., sostenendo che - anche in ragione del d.p.r. n. 303/1958 e succ. mod. e per effetto del d.lgs. n. 626/1994 (in base al quale al lavoratore deve essere notificato il
c.d. documento di rischio) - la società Ferrovie dello Stato avrebbe dovuto provare la mancata esposizione al rischio per avere posto in essere le tutele necessario per la salvaguardia fisica del lavoratore e, in caso di patologia a genesi multifattoriale, avrebbe dovuto dimostrare anche la presenza di un elemento estraneo all'attività lavorativa idoneo, da solo, a provocare l'insorgenza della patologia denunziata.
Con il quarto motivo il ricorrente censura l'impugnata sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Ribadisce che il Tribunale, con motivazione non adeguata e, comunque, contraddittoria ha, per un verso, riconosciuto valore alle valutazioni della società e, per altro verso, ha disatteso le risultanze peritali senza peraltro richiedere i necessari chiarimenti al c.t.u. e senza disporre la rinnovazione della suddetta consulenza anche per un approfondimento dei quesiti.
2. Al fini di un ordinato iter argomentativo va esaminato il primo motivo del ricorso, denunziandosi con detto motivo la nullità dell'atto di appello per difetto dello ius postulandi del difensore della s.p.a.
2.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte, a Sezioni Unite, ha statuito che il potere di rappresentanza processuale, con la relativa facoltà di nomina dei difensori, può essere conferito soltanto a colui che sia investito anche di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, sicché il legale rappresentante di una società di capitali, pur in presenza di una disposizione dello statuto sociale che lo abiliti al conferimento di una procura di carattere esclusivamente formale, non conferisce validamente ad altro soggetto la rappresentanza processuale della società stessa, ove tale delega sia disgiunta dall'attribuzione dei poteri di rappresentanza sostanziale. Tuttavia non è necessaria la specificazione aprioristica del singoli rapporti in relazione al quali è