Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 05/07/2005, n. 14191

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In tema di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali e con riferimento alla revisione per errore delle rendite, stante la dichiarazione di illegittimità - pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 191 del 2005 - dell'art. 9, quinto, sesto e settimo comma, del d.lgs. n. 38 del 2000, che consentiva di impugnare i provvedimenti di rettifica, emanabili senza limiti di tempo, adottati nel vigore dell'art. 55, quinto comma, della legge n. 88 del 1989, al fine di far valere retroattivamente la violazione del termine decadenziale decennale introdotto dalla nuova disciplina contenuta nello stesso art. 9, non essendo più possibile l'applicazione retroattiva del termine decadenziale, ai provvedimenti di revisione per errore si applica la legge del tempo vigente al momento della loro emanazione e, nel caso di specie, l'art. 55 cit., che consentiva all'INAIL di rettificare, in qualunque momento senza limiti temporali, le prestazioni erogate, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 05/07/2005, n. 14191
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14191
Data del deposito : 5 luglio 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. D M A - rel. Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
Dott. C F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PIGNALOSA LEOPOLDO, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA CARLO POMA N

2, presso lo studio dell'avvocato A S, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, rappresentato e difeso dagli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, RITA RASPANTI, giusta procura speciale atto notar CARLO FEDERICO TUCCARI in ROMA del 28.05.2003 REP. N. 62620;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 1177/02 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 10/05/02 - R.G.N. 2131/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/06/05 dal Consigliere Dott. A D M;

udito l'Avvocato ASSENNATO;

udito l'Avvocato LA PECCERELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO

Federico che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Inail ha soppresso per miglioramento, a seguito di visita di revisione del 7 dicembre 1995, la rendita per ipoacusia costituita il 13 ottobre 1983 in favore del sig. Pignalosa Leopoldo. La domanda dell'assicurato di ripristino della rendita è stata respinta dal primo giudice, sulla base di ctu che ha indicato nel 5% il grado di riduzione permanente della capacità di lavoro. La Corte d' Appello di Napoli, con sentenza 4/10 marzo 2002 n. 1177, ha rigettato l'appello del Pignalosa, sulla base della ctu rinnovata in quel grado, la quale ha modificato radicalmente la precedente diagnosi. Mente sia il ctu, sia il ctp, di primo grado avevano dato rilievo al danno da tecnopatia relativo all'orecchio sinistro, il ctu in appello ha rilevato che: a) il maggior danno dell'orecchio sx deve essere ascritto alle conseguenze di un intervento chirurgico, subito a seguito di malattia non professionale;
b) la valutazione del danno acustico indennizzabile va eseguita con riferimento all'orecchio dx, assegnando ai fini dell'indennizzo analogo valore all'orecchio sx. Depurando il danno imputabile a causa professionale dalle concause - attesa la forma mista della patologia - otopatia da rumore e sociopresbiacusia di carattere neurosensoriale (già evidenziata negli esami e documentazione sanitaria allegata in primo grado), il ctu ha determinato la misura del danno di origine professionale nel 7,2%. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Pignolosa, con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. L'intimato Istituto si è costituito con controricorso, resistendo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 79, 83, 137 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124;
9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (art. 360, n. 3 c.p.c.), motivazione omessa,
insufficiente e contraddittoria in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.). Rileva che, data la irreversibilità del danno acustico, l'Inail ha trattato come revisione per miglioramento una revisione per errore, dalla quale era decaduto per decorso del decennio di cui all'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.
Si deve delibare in primo luogo l'ammissibilità di tale doglianza, proposta per la prima volta in cassazione. Il motivo è ammissibile. I due istituti della revisione per miglioramento (o per aggravamento) e della revisione per errore sono distinti (Cass. 13 gennaio 2001, n. 435, Cass. 19 settembre 1992 n. 10771, Cass. 26 maggio 1989 n. 2524, Cass. 13 febbraio 1987 n. 1606), ed hanno presupposti diversi. Il primo si fonda sulla variazione, in meglio o in peggio, delle condizioni sanitarie dell'assicurato, e risponde alla necessità che la rendita sia aderente, entro certi limiti temporali, alla condizione di bisogno dell'assicurato, variabile nel tempo;
il secondo su un errore iniziale di valutazione, e sulla esigenza che il beneficio corrisponda ai presupposti di legge.
Il primo è soggetto alla disciplina dell'art. 83 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, il secondo a varie discipline succedutesi nel tempo;

attualmente all'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. La individuazione del procedimento va fatta sulla base dei suoi presupposti e non del nomen attribuito dal soggetto che prende l'iniziativa, rispettivamente l'Istituto nel disporla o l'assicurato nel richiederla (sul diritto dell'assicurato di richiedere la rettifica Cass. 6386/2003);
la sua corretta valutazione spetta al giudice, il quale non è vincolato dalla qualificazione delle parti e dal tipo di procedimento aperto (Cass. 10842/2000;
Cass. 6386/2003 cit.).
L'istituto assicuratore non può, sub specie di revisione per miglioramento, correggere un provvedimento affetto da errore di valutazione iniziale, al di fuori delle regole stabilite ora dall'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (Cass. 28 luglio 2004 n. 14281). La qualificazione della revisione intrapresa dall'Inail costituisce un giudizio di fatto, rimesso al giudice del merito (Cass. 7 aprile 2004 n. 6831), e pertanto la relativa doglianza non è proponibile per la prima volta in cassazione.
Nel caso di specie tuttavia il ricorrente non contesta il fatto come accertato dal giudice d'appello, ne' la sua qualificazione implicita;

si duole solo della erronea applicazione a tale fatto delle norme di legge.
Il ricorso è pertanto ammissibile (Cass. sez. un. 3 febbraio 1998 n. 1099). Esso è però infondato.
La revisione in esame, da qualificarsi per errore, effettuata nel 1995 dopo 12 anni dall'originario provvedimento errato, era legittima secondo la legge al tempo vigente, l'art. 55, 5 comma, L. 9 marzo 1989, n. 88, il quale consentiva all'INAIL di rettificare in
qualunque momento, senza limiti di tempo, le prestazioni erogate, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni (Cass. 5 luglio 2000 n. 10842). A correzione di tale disciplina e della relativa prassi, l'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, ha posto due limiti precisi, uno
temporale, mutuato dall'art. 83 t.u. 1124/1065, unitario per infortuni sul lavoro e malattie professionali, l'altro relativo alle metodiche diagnostiche.
Fondamento del limite di decadenza (di ordine pubblico e rilevabile d'ufficio: Cass. 10842/2000 cit.) decennale al potere di rettifica è un'esigenza immanente all'ordinamento, analoga a quella che è a fondamento dell'art. 83 t.u. 1124/1965, di cui ripete l'arco temporale: la tutela delle aspettative del titolare di rendita protratta nel tempo, che è stata riconosciuta costituzionalmente legittima (sent. Corte cost. 10 maggio 2005 n. 191). E, con il decorso di un decennio, questa necessità diventa prevalente anche sull'esigenza di rimuovere un diritto erroneamente riconosciuto. La disciplina complessiva dell'art. 9 ha due effetti nel tempo: il primo, è quello di essere norma di applicazione immediata, il che consente la rettifica dei provvedimenti di costituzione di rendita erronei emessi fino a dieci anni prima del provvedimento di rettifica (al più tardi, per i provvedimenti assunti il giorno stesso dell'entrata in vigore dell'art. 9, dal 16 marzo 1990);
il secondo, stabilito ai commi 5-7, è di essere norma retroattiva in senso tecnico (Cass. 29 settembre 2000 n. 12915, Cass. 10 novembre 2003 n. 16859, Cass. 12 dicembre 2003 n. 19012), in quanto consentiva all'interessato di chiedere il riesame della rettifica da parte dell'Inail, e quindi l'applicazione del medesimo principio di stabilizzazione decennale della rendita, espresso dalla nuova disciplina, ai rapporti prescritti, definiti con sentenza passata in giudicato, o ancora sub judice, anche a ritroso rispetto al termine di decadenza decennale derivante dall'applicazione immediata. Questo effetto retroattivo è stato dichiarato incostituzionale con la citata sent. 191/2005, in quanto l'istituto della decadenza non tollera applicazioni retroattive.
Rimane quindi ferma la legittimità del provvedimento di rettifica adottato, secondo la legge del tempo (art. 55 Legge 9 marzo 1989, n. 88, dichiarato indirettamente legittimo dalla sent. 191/2005).
Nè è altrimenti invocabile la disciplina dell'art. 9, per le ragioni dette;
infatti solo l'errore non rettificabile comporta il mantenimento delle prestazioni (art. 9, comma 3).
Quanto alla circostanza, dedotta dal ricorrente con la memoria ex art. 378, che l'art. 9, comma 4, ha abrogato il primo periodo dell'art. 55 (in quanto la disciplina della rettifica ivi stabilita è stata sostituita con quella dell'art. 9), ma non il secondo periodo ("Nel caso in cui siano state riscosse prestazioni risultanti non dovute, non si da luogo a recupero delle somme corrisposte"), essa non giova al ricorrente. Tale disposizione comporta il mantenimento delle prestazioni erroneamente erogate fino al provvedimento di rettifica, ma una volta che questo sia intervenuto legittimamente, non può non avere gli effetti suoi propri di elisione del diritto alla rendita ed ai relativi ratei futuri. Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 d.a. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in Legge 24 novembre 2003, n. 326, in quanto la norma innovativa trova applicazione ai procedimenti iniziati con ricorso introduttivo del giudizio depositato dal 1^ ottobre 2003 (Cass. sez. un. 24 febbraio 2005 n. 3814).

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