Cass. civ., sez. V trib., sentenza 20/06/2003, n. 9895

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Il carattere interpretativo autentico di una legge dipende esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dall'enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a cui la norma si ricollega nella formula e nella "ratio", e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra. Va, pertanto, escluso, non ricorrendo i predetti requisiti - ne' assumendo rilevanza la circostanza che sulla portata della norma vi sia stato in ambito giurisprudenziale un contrasto interpretativo -, che abbia natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, l'art. 3, comma ottantesimo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il quale, nel sostituire l'art. 10, primo comma, n. 6, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di esenzioni dall'IVA, ha esteso, ma solo per il futuro, l'esenzione ivi prevista anche alle attività relative all'esercizio dei totalizzatori e delle scommesse per le corse dei cani levrieri di cui al D.M. 16 novembre 1955.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 20/06/2003, n. 9895
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9895
Data del deposito : 20 giugno 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S B - Presidente -
Dott. C M - Consigliere -
Dott. E V G - Consigliere -
Dott. S S - rel. Consigliere -
Dott. G M C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SOCIETÀ NAZIONALE INCREMENTO RAZZA CANINA DA CORSA - S.N.I.R.C.C. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elett.te dom.ta in Roma, piazza Sallustio 9, presso lo studio dell'avv. G P, che la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso,


- ricorrente -


contro
MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge,

- controricorrente -


avverso la sentenza n. 34/40/98 della Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione n. 40, depositata il 3 aprile 1998. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza in data 8 gennaio 2003 dal Relatore Cons. Dott. S S;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. V G, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con avviso notificato il 3 dicembre 1987 l'Ufficio IVA di Roma rettificava la dichiarazione presentata per il 1982 dalla Società nazionale incremento razza canina da corsa - S.N.I.R.C.C. S.p.A., esercente attività di raccolta delle scommesse sulle corse dei levrieri mediante totalizzatore automatico presso il cinodromo di Roma, accertando l'imposta dovuta per detto anno, oltre agli interessi e pene pecuniarie. Contestualmente l'Ufficio notificava un processo verbale di constatazione, con il quale rilevava che l'attività esercitata dalla società doveva ritenersi esente da IVA in base alla disposizione di cui al n. 7 dell'art. 10 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 e non a quella di cui al n. 6 dello stesso
articolo, con la conseguenza che l'importo delle operazioni effettuate nell'anno non poteva essere escluso ai fini del calcolo della percentuale di riduzione dell'IVA detraibile concernente gli acquisti, come previsto dall'art. 19, comma 4, dello stesso d.p.r. 633/1972. Con altri analoghi avvisi e processi verbali di constatazione, l'Ufficio IVA di Roma rettificava le dichiarazioni presentate dalla S.N.I.R.C.C. per gli anni 1983,1984 e 1985.
La Commissione tributaria di primo grado di Roma accoglieva per tutti gli anni in contestazione i ricorsi proposti dalla società, sul presupposto che le operazioni effettuate dalla contribuente rientrassero nel disposto di cui al n. 6 dell'art. 10 del d.p.r. 633/1972 e non in quello di cui al n. 7 dello stesso articolo.
Su appello dell'Ammnistrazione finanziaria, la Commissione tributaria di secondo grado di Roma confermava le decisioni impugnate e successivamente anche la Commissione tributaria centrale rigettava i ricorsi riuniti proposti dall'Ufficio, sempre sul presupposto che le operazioni della società rientrassero tra quelle previste dal n. 6 dell'art. 10 del d.p.r. 633/1972 e che pertanto il loro importo andasse escluso ai fini del calcolo della percentuale di riduzione dell'imposta detraibile sugli acquisti. Avverso detta decisione l'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione dell'art. 10 n. 7 e dell'art. 19, comma 3, del d.p.r. 633/1972 e falsa applicazione dell'art. 10 n. 6 e dell'art. 19, comma 4, del d.p.r. 633/1972. Con sentenza 17 marzo 1995, n. 3091 la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso del Ministero delle finanze e respingeva il ricorso incidentale della società. Affermava la Corte di legittimità che il legislatore, nel disciplinare le esenzioni atte a determinare la percentuale di riduzione dell'imposta sugli acquisti, aveva effettuato una precisa distinzione tra le operazioni relative al giuoco del lotto, alle lotterie nazionali, ai giuochi di abilità e ai concorsi pronostici il cui esercizio è affidato allo Stato e agli enti di cui al d. lgs. 14 aprile 1948, n. 496 (CONI e UNIRE), nonché ai totalizzatori e alle scommesse considerate dalla legge 24 marzo 1942, n. 315, il cui esercizio è riservato all'UNIRE o a soggetti delegati dall'UNIRE e operanti per conto e nell'interesse di essa, alle quali soltanto si applica la previsione del n. 6 dell'art. 10 del d.p.r. 633/1972, e le operazioni relative all'esercizio di scommesse in occasione di gare, corse, giuochi, concorsi e competizioni di ogni genere diverse da quelle previste dal citato n. 6, nonché le operazioni relative all'esercizio del giuoco in case appositamente autorizzate e all'operazioni di sorte, rientranti invece nel n. 7 del medesimo art. 10, avente carattere residuale.
Tale differente disciplina fiscale si fondava, secondo la Corte, sulla diversità dei fini perseguiti dallo Stato e dagli enti pubblici, nei quali manca lo scopo di lucro, rispetto a quelli della S.N.I.R.C.C, ente privato con finalità sostanzialmente speculative, con la conseguenza che l'attività di tale società doveva ritenersi riconducibile alla norma residuale del n. 7 dell'art. 10 del d.p.r. 633/1972 e che pertanto l'importo delle attività effettuate negli
anni presi in considerazione andava ricompreso nel calcolo della percentuale di riduzione dell'IVA detraibile relativa agli acquisti. La Corte di Cassazione rinviava quindi alla Commissione tributaria centrale l'esame della questione concernente la richiesta della S.N.I.R.C.C. di annullamento della pretesa dell'Amministrazione circa il pagamento, oltre che dell'imposta accertata di anno in anno, anche di un ulteriore terzo e degli interessi asseritamente non dovuti nella misura richiesta dall'Ufficio.
Con atto notificato e depositato rispettivamente il 7 e il 15 maggio 1997, la S.N.I.R.C.C. S.p.A. presentava ricorso per riassunzione davanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio ai sensi dell'art. 76, comma 3, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, chiedendo l'accoglimento delle conclusioni dispiegate davanti alla Commissione tributaria centrale, anche alla luce di quanto stabilito dall'art. 3, comma 80, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che, secondo la prospettazione della ricorrente, con norma di interpretazione autentica da applicarsi al caso in esame quale jus superveiens, aveva riformulato la previsione del n. 6 dell'art. 10 del d.p.r. 633/1972, ricomprendendovi anche le attività relative
all'esercizio dei totalizzatori e delle scommesse di cui al d. m. 16 novembre 1955, pubblicato sulla G. U. n. 273 del 26 novembre 1955,
di approvazione del regolamento riguardante le corse dei cani levrieri.
L'Ufficio IVA di Roma si costituiva, deducendo di aver già provveduto a riassumere il giudizio davanti alla Commissione tributaria centrale in data 13 marzo 1996.
La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente il ricorso per riassunzione della contribuente, limitatamente al calcolo degli interessi e all'esclusione delle sanzioni pecuniarie, ma respingeva la richiesta della società ricorrente di applicare al caso in esame lo jus susperveniens di cui all'art. 3, comma 80, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, escludendo la natura interpretativa di detta norma e la retroattività della stessa.
Propone ricorso per Cassazione la S.N.I.R.C.C. S.p.A. sulla base di tre motivi.
Resiste l'Amministrazione finanziaria con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente denunzia vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 75, n. 1 e 76, n. 3 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e omessa motivazione. Premesso, infatti, che la sentenza della Corte di Cassazione n. 3091/95 è stata pubblicata il 17 marzo 1995 e che la Commissione tributaria regionale del Lazio si è insediata in data 1 aprile 1996 in base a quanto stabilito dall'art. 42, comma 1, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, la S.N.I.R.C.C. S.p.A. afferma di aver
proposto il 15 maggio 1997 atto riassuntivo davanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio in forza dell'art. 76, comma 3, del d. lgs. 546/1992, il quale dispone che, se alla data prevista dall'art.
72 dello stesso decreto legislativo (ossia alla data di insediamento delle commissioni provinciali e regionali), a seguito del rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, pende il termine per la riassunzione davanti alla Commissione tributaria centrale, detto termine decorre da tale data e la riassunzione va fatta davanti alla commissione tributaria regionale competente.
La ricorrente deduce inoltre che l'Ufficio IVA di Roma in data 13 marzo 1996 aveva già riassunto il processo davanti alla Commissione tributaria centrale, richiamando il disposto dell'art. 75, comma 1, del d. lgs. 546/1992, secondo cui alle controversie che alla data di
insediamento delle commissioni tributarie provinciali pendono davanti alla commissione tributaria centrale continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636 e successive modificazioni e integrazioni. Poiché l'Ufficio IVA
di Roma, con la nota di costituzione nel giudizio davanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio, aveva dato comunicazione del proprio atto di riassunzione davanti alla Commissione tributaria centrale, afferma la società ricorrente che l'adita Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto dichiarare la propria assoluta carenza di potere giurisdizionale, a causa della preventiva riassunzione operata dall'Ufficio davanti alla Commissione tributaria centrale, anziché decidere nel merito con pronuncia sul punto immotivata e affetta da illegittimità.
Il motivo è infondato.
In primo luogo va rilevato che la preventiva riassunzione del giudizio davanti alla Commissione tributaria centrale da parte dell'Ufficio non ha determinato, come asserito dalla società ricorrente, l'assoluta carenza di potere giurisdizionale della Commissione tributaria regionale del Lazio, successivamente adita dalla stessa S.N.I.R.C.C. S.p.A. Invero la fattispecie processuale delineata non concerne una questione di giurisdizione, relativa cioè alla delimitazione della giurisdizione delle commissioni tributarie nei confronti di quella ordinaria, amministrativa o altra speciale (v. Cass. S.U. 21 luglio 1999, n. 490), ma riguarda invece l'eventuale incompetenza di uno dei due diversi organi giurisdizionali tributari investititi della decisione sulla medesima controversia, secondo i principi stabiliti in tema di litispendenza dall'art. 39 c.p.c., applicabili anche al processo tributario (Cass. 10 aprile 2000, n. 4509) in forza del richiamo operato sia dall'art. 39, comma 1, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, che dall'art. 1, comma 2, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Tuttavia, anche così interpretata la censura della ricorrente, va rilevato che secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, la questione della litispendenza deve essere decisa con riferimento alla situazione processuale esistente al momento della relativa pronuncia e dunque avuto riguardo anche agli eventi processuali sopravvenuti (Cass. 20 agosto 1991, n. 8923;
13 aprile 1999, n. 3622;
7 marzo 2001, n. 3340
). In particolare si è affermato, con argomentazione pienamente condivisa da questo collegio, che la parte che eccepisce la litispendenza ha l'onere di dimostrare non solo l'esistenza, ma anche la persistenza, fino all'udienza di discussione, pur nella fase del giudizio di legittimità, delle condizioni per l'applicabilità dell'art. 39 c.p.c., con la conseguenza che l'eccipiente deve produrre la relativa idonea documentazione anche in Cassazione, non essendo soggetti alla preclusione disposta dall'art. 372 c.p.c. gli atti concernenti questioni proponibili in ogni grado di giudizio e rilevabili d'ufficio, come quella concernente la litispendenza (Cass. 7 marzo 2001, n. 3340). Nel caso di specie, la ricorrente non solo non ha provato, ma non ha neppure dedotto la persistenza della litispendenza fino all'udienza di discussione del presente giudizio di legittimità, essendosi limitata a prospettare l'esistenza - ma non anche la persistenza - della litispendenza nel giudizio di riassunzione davanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio e a dolersi in sede di legittimità della mancata rilevazione di tale situazione processuale da parte del giudice del rinvio.
Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 80, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per avere la Commissione tributaria regionale del Lazio escluso che la modifica apportata dalla norma da ultimo richiamata all'art. 10, primo comma, n. 6 del d.p.r. 633/72 abbia carattere di
interpretazione autentica e possa esplicare i suoi effetti per i periodi anteriori al 1 gennaio 1997, data di entrata in vigore della legge 662/1996. Osserva la ricorrente che nel caso in esame non risulta che con l'art. 3, comma 80, della citata legge 662/1996 il legislatore abbia inteso, in mancanza di ragioni oggettive e con il rischio di un possibile profilo di incostituzionalità della disposizione, estendere l'ambito di applicazione della norma a vantaggio della stessa ricorrente, in concreto l'unica destinataria del d.m. 16 novembre 1955 sulla disciplina delle corse dei cani levrieri,
dovendosi invece ritenere che - in presenza del delicato problema interpretativo insorto a proposito dell'art. 10, primo comma, n. 6, del d.p.r. 633/72 e avuto riguardo all'obiettiva condizione di
incertezza conseguente ai contrasto, verificatosi tra le commissioni tributarie di merito e la Corte di Cassazione, sul punto se all'applicazione della norma fosse sufficiente l'uso del totalizzatore, o fosse invece anche necessario che l'esercente avesse natura di ente pubblico - il legislatore abbia voluto risolvere il contrasto nel primo senso per porre fine ad ogni controversia.
Il motivo è infondato.
Infatti il carattere interpretativo autentico di una legge dipende esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dall'enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra (Cass. S. U. 4 marzo 1983, n. 1622;
Cass. 12 giugno 1986, n. 3928;
10 febbraio
1989, n. 829;
9 marzo 1989, n. 1242
). Nella specie manca, nel disposto dell'art. 3, comma 80, della legge 662/1996, sia l'apprezzamento interpretativo del significato del
precetto antecedente, sia il momento precettivo con cui il legislatore conferisce valore normativo all'intepretazione prescelta.
Il legislatore si è limitato a disporre la sostituzione del previgente n. 6 dell'art. 10, primo comma, del d.p.r. 633/1972 con il nuovo testo, prevedendo l'integrale sostituzione di un precetto all'altro, così da escludere l'integrazione della norma in esame con la disposizione anteriore e il loro congiunto operare (Cass. 6 aprile 1982, n. 2132), con l'evidente intento di estendere, ma solo per il futuro, non essendo stato prevista alcuna efficacia retroattiva della disposizione, la disciplina del citato art. 10, primo comma, n. 6 anche alle attività relative all'esercizio dei totalizzatori e delle scommesse per le corse dei cani levrieri, regolamentate dal d.m. 16 novembre 1955. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia vizio di illogicità e contraddittorietà di motivazione. Afferma al riguardo che la Commissione tributaria regionale del Lazio ha escluso il carattere di interpretazione autentica della disposizione di cui all'art. 3, comma 80, della legge 662/1996, pur avendo riconosciuto l'esistenza
di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali la violazione si riferisce, in considerazione del contrasto giurisprudenziale insorto tra commissioni tributarie e Corte di Cassazione e del comportamento dello stesso ufficio impositore, che ha riconosciuto in favore della S.N.I.R.C.C., per gli anni precedenti al 1982, il diritto al rimborso dell'imposta, dichiarando che l'attività esercitata dalla società rientrava tra quelle di cui al n. 6 dell'art. 10, primo comma, del d.p.r. 633/1972. La censura è infondata.
Infatti, poiché, come già osservato, il carattere interpretativo della norma si desume esclusivamente dal suo specifico contenuto, non rileva e non è decisiva la circostanza che, sulla portata e sull'ambito delle disposizioni di cui all'art. 10, primo comma, nn. 6 e 7 del d.p.r. 633/1972, vi sia stato in ambito giurisprudenziale un contrasto interpretativo. Non ricorre pertanto nella specie il dedotto vizio di motivazione, anche perché l'argomentazione della Commissione tributaria regionale, oggetto del motivo di impugnazione, era finalizzata soltanto all'esclusione dell'applicazione delle sanzioni pecuniarie.
Non rileva neppure il richiamo della ricorrente alla sentenza di questa Corte 4 febbraio 1999, n. 961, la quale, secondo la tesi della S.N.I.R.C.C., avrebbe respinto, con riferimento ad altra annualità del medesimo tributo, il ricorso dell'Amministrazione, rendendo definitiva la pronuncia della commissione tributaria favorevole alla S.N.I.R.C.C.. Infatti la menzionata sentenza, senza entrare nel merito della controversia, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso del Ministero delle finanze, non essendo state specificamente censurate le considerazioni svolte dal giudice di appello sull'inammissibilità del gravame avverso la decisione di primo grado.
Il ricorso deve essere conseguentemente respinto, mentre ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

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