Cass. pen., sez. II, sentenza 09/05/2018, n. 20437
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: LE AV nato il [...] a [...] nato il [...] a [...] avverso la sentenza del 13/09/2016 della CORTE APPELLO di PALERMOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere
FABIO DI PISA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso Udito il difensore presente il quale ha chiesto l' accoglimento dei ricorsi riportandosi ai motivi
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 13/09/2016, confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento in data 07/05/2014 in forza della quale LE DE e TA ND erano stati ritenuti colpevoli dei delitti, unificati sotto il vincolo della continuazione, di tentala truffa aggravata (artt. 56 e 640, comma 1 e 62 n. 10, cod. pen.) - per avere con artifici e raggiri, consistiti nel presentare all'incasso all' Ufficio postale di Licata sei buoni postali fruttiferi falsi, compiuto atti diretti in modo non equivoco ad indurre in errore il responsabile dell'indicato ufficio sull'originalità dei buoni medesimi ed incassare illecitamente la somma di euro 42.785,43, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla loro volontà - e di falsità materiale del privato in atto pubblico (artt. 476, 482 e 61 n. 2 cod. pen.), per avere formato sei buoni fruttiferi della Cassa Depositi e Prestiti Italiana falsi e condannati ciascuno alla pena di giustizia.
1.1. La Corte territoriale, nel confermare la ricostruzione di cui alla sentenza di primo grado, ha ritenuto che era emersa la prova che i due imputati si erano presentati per incassare la consistente somma portata dai titoli in questione, precisando che l' esibizione dei titoli contraffatti al dipendente di un ufficio postale diverso da quello emittente con la richiesta di incassarli prospettandone l'appartenenza ad una parente, doveva considerarsi manifestazione univoca del tentativo di truffa, ove la si valutava unitamente alla precedente contraffazione dei titoli medesimi e che doveva escludersi la ricorrenza, nel caso di specie, di un'ipotesi di desistenza volontaria, potendosi ragionevolmente ritenere che l'allontanamento dei due imputati dall' ufficio doveva essere ricondotto all'atteggiamento cauto del dipendente dell'ufficio postale, che poteva averli indotti a temere l'esecuzione di accurati controlli e, quindi, a considerare l'operazione truffaldina gravemente rischiosa. Ha precisato, ancora, che poiché le copie esibite avevano tutta l' apparenza di titoli postali originali, sulla scorta della giurisprudenza della Suprema Corte, doveva ritenersi integrato anche il reato di falso contestato.
2. Avverso la suindicata sentenza della Corte di Appello propongono ricorsi per cassazione entrambi gli imputati.
2.1. LE DE, a mezzo difensore, con un unico motivo, articolato in più censure, deduce violazione di legge nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di tentata truffa e manifesta illogicità della motivazione quanto alli affermazione della penale responsabilità relativamente al reato di falso. La difesa del ricorrente lamenta che la corte di appello, erroneamente interpretando le dichiarazioni testimoniali e fondando il proprio convincimento su mere congetture, aveva confermato la pronunzia di condanna per il reato di tentata truffa laddove era evidente che non sussistevano i presupposti oggettivi e soggettivi per la configurabilità di detto reato. Rileva, altresì, che dal momento che i documenti consegnati all' ufficio postale erano "vere copie di titoli esistenti e senza alcuna manomissione o contraffazione degli estremi identificati" non sussisteva un falso penalmente rilevante ed, in ogni caso, il reato andava escluso per carenza dell' elemento psicologico.
2.2.TA ND, personalmente, deduce quattro motivi: a. violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di cui agli artt. 56, 540 cod. pen. Assume che la corte di merito, travisando i fatti, aveva confermato l' affermazione della propria responsabilità in ordine al detto reato senza considerare che ne mancavano i presupposti oggettivi e soggettivi specie in considerazione del fatto i buoni fruttiferi in questione potevano essere incassati solamente presso l' ufficio emittente (ufficio di Terrasini) e non in quello di Licata e non valutando la desistenza volontaria ex art. 56 comma 3 cod. pen. posta in essere dall' imputata;
b. violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di cui agli artt. 482, 476 cod. pen. Deduce che la corte territoriale aveva errato nel ritenere sussistente il reato contestato in quanto dalli istruttoria era emerso che si trattava di mere fotocopie;
c. violazione di legge e difetto di motivazione relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, specie in ragione dello stato di incensuratezza della ricorrente;
d. violazione di legge e difetto di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. Lamenta che difettava sul punto ogni motivazione e che, comunque, la pena era eccessiva e sproporzionata rispetto al disvalore del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che le censure di entrambi i ricorrenti relative alla configurabilità del reato di tentata truffa sono inammissibili in quanto manifestamente infondate.
1.1. Va premesso che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità