Cass. civ., sez. V trib., sentenza 07/07/2022, n. 21487

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In tema di redditi di società di capitali, l'imputazione degli utili va effettuata in capo a coloro che rivestono la qualità di socio al 31 dicembre del periodo di imposta accertato, momento nel quale il risultato economico è conosciuto dai soci ed è possibile quantificare l'entità degli utili, anche qualora, nel corso dell'esercizio, vi sia stato un mutamento della compagine sociale, con il subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro, oppure l'ampliamento o la riduzione della partecipazione detenuta dai singoli soci.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 07/07/2022, n. 21487
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 21487
Data del deposito : 7 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

. In conseguenza del disconoscimento di costi per operazioni inesistenti, l'Agenzia delle Entrate accertava a carico delle società GI.DI. Meccanica S.p.A. e Tecnologica S.p.A. per l'anno d'imposta 2007 un maggior reddito d'impresa, definito nella sua entità a mezzo di procedimento di adesione con le contribuenti.

Successivamente, l'Amministrazione finanziaria determinava, per la medesima annualità d'imposta, un maggior reddito di capitale imponibile a fini IRPEF in capo a G.D., quale titolare di quote di partecipazioni pari all'87,5% nelle predette società a ristretta base azionaria, considerando il reddito delle società presuntivamente distribuito pro quota al socio quale utile extracontabile.



2. L'impugnativa giurisdizionale di G.D. avverso il relativo avviso di accertamento veniva disattesa in ambedue i gradi di merito.



3. Ricorre per cassazione il contribuente, articolando undici motivi;
resiste, con controricorso, l'Agenzia delle Entrate.



4. Fissato per l'udienza pubblica dell'11 febbraio 2022, il ricorso è stato in pari data trattato in camera di consiglio, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 -bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non essendo stata formulata richiesta di discussione orale.



5. Entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il P.G. ha formulato conclusioni motivate.



6. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione



1. Con il primo motivo, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., si denuncia nullità della sentenza per apparenza della motivazione, in quanto consistente nel mero rinvio alla pronuncia di prime cure, senza esame delle critiche mosse dall'appellante.



1.1. La doglianza è manifestamente infondata.

La lettura della gravata sentenza evidenzia: l'individuazione dei presupposti e dell'oggetto della pretesa recuperata a tassazione con l'avviso contestato;
l'esposizione delle questioni controverse, del contenuto e delle ragioni della pronuncia di primo grado;
l'accurata ed analitica illustrazione dei motivi di impugnazione e delle deduzioni difensive dell'amministrazione appellata.

Ad una così corposa narrazione dello svolgimento della vicenda litigiosa fa seguito una parte motiva connotata da eguale diffusa argomentazione, tutta orientata a dare conto del rigetto dell'appello: essa, infatti, reca puntuali considerazioni sulla motivazione dell'atto impositivo impugnato, sulla avvenuta definitività dell'accertamento nei confronti delle società partecipate, sulla natura a ristretta base partecipativa delle stesse, sulla operatività nel caso della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, sull'inapplicabilità delle disposizioni in tema di scudo fiscale.

E' di tutta evidenza come un percorso argomentativo del genere, recante una risposta (a volte più articolata, a volte più concisa) alle censure sollevate con il gravame, sia ben lungi dall'integrare una "motivazione apparente", la quale ricorre invece quando il giudice ometta di esporre i motivi, in fatto ed in diritto, della decisione, di rendere intellegibile l'iter logico seguito per pervenire al dictum reso, così impedendo la praticabilità di un controllo sull'e:sattezza e sulla logicità del ragionamento (sulla nozione di "motivazione apparente" cfr., tra le tantissime, Cass., Sez. U., 07/04/2014, li. 8053;
Cass., Sez. U., 22/09/2014, n. 19881;
Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599;
Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232;
Cass. 25/09/2018, n. 22598;
Cass. 23/05/2019, n. 13977).

Nè tampoco si configura una motivazione "per relationem": il giudice di appello non ha operato un rinvio adesivo ed acritico alla pronuncia di primo grado, ma ha chiaramente espresso un proprio convincimento, motivato in maniera ampiamente autosufficiente, fondato su ragioni conducenti alla conferma della sentenza impugnata attraverso la valutazione di infondatezza delle allegazioni difensive e delle contestazioni sollevate con il gravame (sulla motivazione "per relationem", cfr. Cass. 23/07/2020, n. 15757;
Cass. 05/08/2019, n. 20883;
Cass. 05/11/2018, n. 28139;
Cass. 05/10/2018, n. 24452;
Cass. 21/09/2017, n. 22022).



2. Anche il secondo mezzo lamenta nullità della sentenza per apparenza della motivazione.

In dettaglio, l'impugnante deduce di aver eccepito l'illegittimità dell'avviso di accertamento in quanto motivato per relationem ai p.v.c. notificati alle società, operanti, a loro volta, rinvio ad atti (files rinvenuti negli hard disk delle società ed altri documenti raccolti dalla Guardia di Finanza) non allegati all'avviso, non riprodotti nello stesso e non conosciuti dal contribuente: sul punto il giudice di prossimità avrebbe statuito con motivazione meramente apparente.



2.1. La doglianza è destituita di fondamento.

Puntualmente replicando al sollevato motivo di appello, il giudice territoriale ha ritenuto legittimo l'avviso di accertamento poichè "di natura consequenziale agli atti di definizione dei p.v.c., e quindi motivato, in quanto questi atti erano ben conosciuti alla parte": argomentazione sintetica ma chiara ed adeguata, logicamente incompatibile con la (e quindi di implicita reiezione della) doglianza dell'appellante, sì da escludere non soltanto la denunciata anomalia motivazionale ma anche un vizio di omessa pronuncia.

Soltanto per dovere nomofilattico, pare opportuno precisare come l'eccezione del contribuente non era comunque conforme a diritto, atteso che (con ciò integrandosi la trama giustificativa della sentenza contestata) l'obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci, come disciplinato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, è soddisfatto anche mediante rinvio per relationem alla motivazione dell'avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società a responsabilità limitata, ancorchè solo a quest'ultima notificato, in quanto il socio ha, ai sensi dell'art. 2476 c.c., il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell'accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi (da ultimo, in tal senso, v. Cass. 02/10/2020, n. 21126;
Cass. 18/02/2020, n. 3980).



3. Il terzo motivo prospetta violazione dell'art. 2697 c.c. e del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art.

5-bis
: ad avviso del ricorrente, la definizione, con atto di adesione, dei p.v.c. da parte della società non costituisce riconoscimento o accertamento della pretesa dell'Amministrazione finanziaria e, dunque, non offre prova della esistenza di maggiori utili presuntivamente distribuiti ai soci.

La doglianza non supera lo scrutinio di ammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1: la sentenza impugnata si colloca nel solco di un consolidato orientamento di questa Corte, meramente contrastato, senza alcun rilievo critico, dall'impugnante.

E' infatti ius receptum che l'accertamento del maggior reddito nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa legittima, anche nell'ipotesi di accertamento con adesione, la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, in quanto la stessa ha origine nella partecipazione e pertanto prescinde daille modalità di accertamento, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell'Amministrazione finanziaria dimostrando che i maggiori ricavi dell'ente sono stati accantonati o reinvestiti (ex plurimis, Cass. 20/12/2018, n. 32959;
Cass. 07/12/2017, n. 29412).

Ed invero, l'imputazione ai soci del reddito della società ha origine dalla partecipazione e quindi prescinde dall'eventuale natura adesiva dell'accertamento nei confronti dell'ente (vedi Cass. 05/02/2009, n. 2783;
Cass. 04/11/2008, n. 26476;
Cass. 08/07/2005, n. 14418);
accertato con adesione o in altro modo, il maggior reddito di una società a ristretta base partecipativa si presume distribuito pro quota ai soci in forma di utili extracontabili, poichè la ristrettezza dell'assetto societario implica normalmente reciproco controllo e marcata solidarietà tra i soci (così Cass.. 24/01/2019, n.

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