Cass. pen., sez. I, sentenza 20/04/2023, n. 16797
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Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: INQUIETO NICOLA nato a AVERSA il 27/01/1975 avverso la sentenza del 08/02/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere E T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, G C, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore L'avvocato M N del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di INQUIETO NICOLA conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. L'avvocato S G del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di INQUIETO NICOLA conclude insistendo nell'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello di Napoli confermava, nei confronti di N I, la declaratoria di penale responsabilità, pronunciata il 27 maggio 2019 dal Tribunale di Napoli Nord, per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, quale partecipe della fazione del "clan dei casalesi" facente capo a M Z, con lo specifico ruolo di referente per la conduzione di attività imprenditoriali con denaro proveniente da affari criminali. In punto di dosimetria, in accoglimento del motivo di appello, la Corte rideterminava la pena in quella di quattrodici anni di reclusione.
1.1. La Corte territoriale, come già il primo giudice, riteneva N I stabilmente inserito nel sodalizio criminoso con funzioni di partecipe a tutte le attività svolte dal clan dei casalesi e di referente per la conduzione dell'attività imprenditoriale nell'interesse dello stesso clan, siccome diretta espressione del vertice, M Z, del quale aveva favorito la latitanza, curato gli interessi economici e imprenditoriali, effettuando investimenti in aziende in Italia, ma soprattutto in Romania, intestando a sé o propri familiari società e immobili, investendo denaro proveniente dalle attività criminali riconducibili al gruppo in lucrosi affari finanziari, prima in Italia, quindi dal 2004 in Romania, dove avviava una serie di aziende nel settore edilizio. Si riteneva inoltre che egli provvedesse al sostentamento economico di altri affiliati, mediante elargizione di somme provenienti dalle attività economiche da lui gestite in Romania e curasse il rientro dei capitali illecitamente accumulati, attraverso consegne di denaro alla famiglia Z, principalmente tramite Carmine, fratello di Michele e, successivamente, tramite gli altri fratelli. La prova della descritta condotta partecipativa era tratta da entrambi i giudici di merito in primo luogo dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia A I, M C, M B, Generoso Restina, A P e Fabio Lanzafame, quindi dai risultati delle intercettazioni delle conversazioni captate, dalla documentazione bancaria, dalla perizia contabile espletata in grado di appello e dai provvedimenti giudiziari irrevocabili versati in atti. Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, erano ritenute soggettivamente credibili, anche avuto riguardo al ruolo di spicco rivestito nell'ambito del sodalizio criminale, oltre che lineari e prive di contraddizioni. Per tale via era emerso che I aveva risalenti rapporti fiduciari con il capoclan M Z, rimasto a lungo latitante, di cui egli era uomo di assoluta fiducia del capocosca e del quale aveva favorito la latitanza. M Z era stato arrestato nell'anno 2011 proprio presso l'abitazione del fratello dell'imputato, Vincenzo I, e presso la casa del primo era stato rinvenuto un bunker in costruzione;
nell'anno 2004, nell'abitazione del ricorrente era stato scoperto un covo murato dentro il quale vi era Carmine Z, fratello di Michele. La ragione della vicinanza tra il ricorrente e M Z era rinvenuta in un primo tempo nell'esigenza di quest'ultimo di nascondersi, successivamente in una causale economica: A I, M C, M B e A P avevano tutti ricordato che il ricorrente fosse soggetto privo di particolari risorse economico-finanziarie;
tutti concordemente avevano affermato che N I avviò il negozio di telefonia con denari di Z e che questi aveva organizzato un falso attentato presso quel negozio per depistare le indagini che lo vedevano collegato al primo, cui aveva altresì imposto - per analoghe ragioni - di trasferirsi in Romania. In detto luogo I si occupava di attività imprenditoriali edilizie, reinvestendo profitti illeciti che i collaboranti riconducevano direttamente a M Z cui, difatti, I consegnava somme di denaro in occasione di periodici e funzionali rientri in Italia. Le dichiarazioni dei collaboratori erano, poi, ritenute corroborate dagli esiti degli accertamenti patrimoniali nonché della perizia contabile, disposta dalla Corte di appello su sollecitazione della difesa. Segnatamente, gli accertamenti patrimoniali sulla famiglia di N I avevano mostrato una situazione di sostanziale esiguità reddituale e la perizia contabile rendeva ragione di come, a partire dagli anni 2004/2005, I - sostanzialmente nullatenente - avesse in breve tempo costituito un gruppo imprenditoriale edile all'estero, con successive redditizie espansioni, nel 2009 fosse divenuto proprietario di numerosissimi appartamenti, di una villa in cui viveva, di un ufficio e un garage, avesse la disponibilità di altri beni immobili, oltre ad essere il titolare di diverse società. La sentenza di appello rimarcava puntualmente come tutte le obiezioni difensive e le produzioni documentali non avessero contrapposto alcuna spiegazione alternativa plausibile all'improvvisa disponibilità di denaro per l'intrapresa attività imprenditoriale, poiché ogni indicazione reddituale lecita dell'epoca era molto esigua. Nello stesso senso accusatorio erano, infine, valorizzate le conversazioni intercettate che, secondo la conforme interpretazione dei giudici di merito, cristallizzavano i contatti e le frequentazioni di I con altri soggetti pregiudicati, legati al clan dei casalesi. In alcune di dette conversazioni egli faceva espresso riferimento ad amicizie pericolose in Italia, alla circostanza che dovesse inviare loro del denaro che serviva anche al sostentamento delle famiglie di affiliati arrestati, alla caratura criminale di costoro, alle precauzioni da adottare per non farsi intercettare, infine alle consegne di denaro. Sulla scorta della provvista probatoria così sintetizzata, i giudici del merito ritenevano che un'attività cosi strettamente connessa agli interessi non solo del vertice del clan, ma del clan stesso denotasse una sicura intraneità alla consorteria, con riferimento alla quale egli si era posto stabilmente a disposizione. Era, dunque, esclusa qualsiasi diversa qualificazione della condotta pur invocata dalla difesa e, segnatamente, quella del concorso esterno ovvero del favoreggiamento, ed era estesa al ricorrente l'aggravante della natura armata del sodalizio sulla scorta della giurisprudenza di legittimità in tema di consapevolezza ovvero colpevole ignoranza della disponibilità delle armi da parte degli associati. Il diniego delle attenuanti generiche era, infine, giustificato dalla gravità del fatto e dell'assenza di sintomi di resipiscenza, riflettente un dolo particolarmente intenso.
2. Ricorre l'imputato per cassazione, tramite il difensore di fiducia, articolando sette motivi che s'indicano di seguito nei limiti, strettamente necessari per la motivazione, di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza derivata dall'utilizzazione dei risultati dell'attività d'intercettazione eseguita in territorio rumeno da parte di organo non legittimato, dunque, avvenuta in violazione degli artt. 190, 191 e 729 cod. proc. pen. La doglianza è stata superata dal giudice di appello con argomentazioni in contrasto con le regole processuali che disciplinano l'acquisizione delle prove e, più specificamente, quelle derivanti dall'attività d'intercettazione. È stata illogicamente superata la questione, pacificamente provata, che le conversazioni siano state acquisite da parte di un organo (Servizio Romeno di Informazioni) privo di potere sulla base di una pronuncia della Corte Costituzionale rumena in data 16 gennaio 2019 n. 26. In virtù, pertanto, nel combinato disposto di cui agli artt. 191 e 729 cod. proc. pen., il criterio da prendere a parametro di valutazione in punto di utilizzabilità delle captazione era quello della lex loci, dal quale discende l'inutilizzabilità delle stesse.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la mancata assunzione di prove decisive.E' stata immotivatamente respinta la rinnovazione istruttoria relativa all'ascolto dei testimoni A D S, C C, R D G e A V, ritenuta aspecifica, mentre il tema da esplorare attraverso l'ascolto di detti testimoni s'inseriva nel solco della ricostruzione dei rapporti e delle disponibilità economiche del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 416-bis cod. pen., 192, commi 1 e 3, cod. proc. pen. in punto di erronea valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, con particolare riferimento alla mancanza di riscontri individualizzati afferenti il ruolo del ricorrente. La Corte si è limitata a una diligente rilettura dei dati processualì posti a disposizione dal giudice di primo grado, che ha tuttavia confermato in assenza di un confronto dialettico con gli argomenti prospettati dalla difesa e, soprattutto, senza avere colto il nucleo delle deduzioni difensive con le quali si era lamentata l'assenza di una fonte probatoria che desse contezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, di una piena partecipazione di N I all'associazione clan dei casalesi. L'articolato motivo è suddiviso in tematiche che la difesa ha indicato con le lettere dell'alfabeto dalla A alla D, come si seguito sunteggiate. A) La difesa pone in primo luogo in risalto l'insufficienza della motivazione contenuta alle p. 51 e s. della sentenza di appello in punto di lamentata genericità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia con riferimento al ruolo svolto dal ricorrente, nonché
udita la relazione svolta dal Consigliere E T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, G C, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore L'avvocato M N del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di INQUIETO NICOLA conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. L'avvocato S G del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di INQUIETO NICOLA conclude insistendo nell'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello di Napoli confermava, nei confronti di N I, la declaratoria di penale responsabilità, pronunciata il 27 maggio 2019 dal Tribunale di Napoli Nord, per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, quale partecipe della fazione del "clan dei casalesi" facente capo a M Z, con lo specifico ruolo di referente per la conduzione di attività imprenditoriali con denaro proveniente da affari criminali. In punto di dosimetria, in accoglimento del motivo di appello, la Corte rideterminava la pena in quella di quattrodici anni di reclusione.
1.1. La Corte territoriale, come già il primo giudice, riteneva N I stabilmente inserito nel sodalizio criminoso con funzioni di partecipe a tutte le attività svolte dal clan dei casalesi e di referente per la conduzione dell'attività imprenditoriale nell'interesse dello stesso clan, siccome diretta espressione del vertice, M Z, del quale aveva favorito la latitanza, curato gli interessi economici e imprenditoriali, effettuando investimenti in aziende in Italia, ma soprattutto in Romania, intestando a sé o propri familiari società e immobili, investendo denaro proveniente dalle attività criminali riconducibili al gruppo in lucrosi affari finanziari, prima in Italia, quindi dal 2004 in Romania, dove avviava una serie di aziende nel settore edilizio. Si riteneva inoltre che egli provvedesse al sostentamento economico di altri affiliati, mediante elargizione di somme provenienti dalle attività economiche da lui gestite in Romania e curasse il rientro dei capitali illecitamente accumulati, attraverso consegne di denaro alla famiglia Z, principalmente tramite Carmine, fratello di Michele e, successivamente, tramite gli altri fratelli. La prova della descritta condotta partecipativa era tratta da entrambi i giudici di merito in primo luogo dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia A I, M C, M B, Generoso Restina, A P e Fabio Lanzafame, quindi dai risultati delle intercettazioni delle conversazioni captate, dalla documentazione bancaria, dalla perizia contabile espletata in grado di appello e dai provvedimenti giudiziari irrevocabili versati in atti. Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, erano ritenute soggettivamente credibili, anche avuto riguardo al ruolo di spicco rivestito nell'ambito del sodalizio criminale, oltre che lineari e prive di contraddizioni. Per tale via era emerso che I aveva risalenti rapporti fiduciari con il capoclan M Z, rimasto a lungo latitante, di cui egli era uomo di assoluta fiducia del capocosca e del quale aveva favorito la latitanza. M Z era stato arrestato nell'anno 2011 proprio presso l'abitazione del fratello dell'imputato, Vincenzo I, e presso la casa del primo era stato rinvenuto un bunker in costruzione;
nell'anno 2004, nell'abitazione del ricorrente era stato scoperto un covo murato dentro il quale vi era Carmine Z, fratello di Michele. La ragione della vicinanza tra il ricorrente e M Z era rinvenuta in un primo tempo nell'esigenza di quest'ultimo di nascondersi, successivamente in una causale economica: A I, M C, M B e A P avevano tutti ricordato che il ricorrente fosse soggetto privo di particolari risorse economico-finanziarie;
tutti concordemente avevano affermato che N I avviò il negozio di telefonia con denari di Z e che questi aveva organizzato un falso attentato presso quel negozio per depistare le indagini che lo vedevano collegato al primo, cui aveva altresì imposto - per analoghe ragioni - di trasferirsi in Romania. In detto luogo I si occupava di attività imprenditoriali edilizie, reinvestendo profitti illeciti che i collaboranti riconducevano direttamente a M Z cui, difatti, I consegnava somme di denaro in occasione di periodici e funzionali rientri in Italia. Le dichiarazioni dei collaboratori erano, poi, ritenute corroborate dagli esiti degli accertamenti patrimoniali nonché della perizia contabile, disposta dalla Corte di appello su sollecitazione della difesa. Segnatamente, gli accertamenti patrimoniali sulla famiglia di N I avevano mostrato una situazione di sostanziale esiguità reddituale e la perizia contabile rendeva ragione di come, a partire dagli anni 2004/2005, I - sostanzialmente nullatenente - avesse in breve tempo costituito un gruppo imprenditoriale edile all'estero, con successive redditizie espansioni, nel 2009 fosse divenuto proprietario di numerosissimi appartamenti, di una villa in cui viveva, di un ufficio e un garage, avesse la disponibilità di altri beni immobili, oltre ad essere il titolare di diverse società. La sentenza di appello rimarcava puntualmente come tutte le obiezioni difensive e le produzioni documentali non avessero contrapposto alcuna spiegazione alternativa plausibile all'improvvisa disponibilità di denaro per l'intrapresa attività imprenditoriale, poiché ogni indicazione reddituale lecita dell'epoca era molto esigua. Nello stesso senso accusatorio erano, infine, valorizzate le conversazioni intercettate che, secondo la conforme interpretazione dei giudici di merito, cristallizzavano i contatti e le frequentazioni di I con altri soggetti pregiudicati, legati al clan dei casalesi. In alcune di dette conversazioni egli faceva espresso riferimento ad amicizie pericolose in Italia, alla circostanza che dovesse inviare loro del denaro che serviva anche al sostentamento delle famiglie di affiliati arrestati, alla caratura criminale di costoro, alle precauzioni da adottare per non farsi intercettare, infine alle consegne di denaro. Sulla scorta della provvista probatoria così sintetizzata, i giudici del merito ritenevano che un'attività cosi strettamente connessa agli interessi non solo del vertice del clan, ma del clan stesso denotasse una sicura intraneità alla consorteria, con riferimento alla quale egli si era posto stabilmente a disposizione. Era, dunque, esclusa qualsiasi diversa qualificazione della condotta pur invocata dalla difesa e, segnatamente, quella del concorso esterno ovvero del favoreggiamento, ed era estesa al ricorrente l'aggravante della natura armata del sodalizio sulla scorta della giurisprudenza di legittimità in tema di consapevolezza ovvero colpevole ignoranza della disponibilità delle armi da parte degli associati. Il diniego delle attenuanti generiche era, infine, giustificato dalla gravità del fatto e dell'assenza di sintomi di resipiscenza, riflettente un dolo particolarmente intenso.
2. Ricorre l'imputato per cassazione, tramite il difensore di fiducia, articolando sette motivi che s'indicano di seguito nei limiti, strettamente necessari per la motivazione, di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza derivata dall'utilizzazione dei risultati dell'attività d'intercettazione eseguita in territorio rumeno da parte di organo non legittimato, dunque, avvenuta in violazione degli artt. 190, 191 e 729 cod. proc. pen. La doglianza è stata superata dal giudice di appello con argomentazioni in contrasto con le regole processuali che disciplinano l'acquisizione delle prove e, più specificamente, quelle derivanti dall'attività d'intercettazione. È stata illogicamente superata la questione, pacificamente provata, che le conversazioni siano state acquisite da parte di un organo (Servizio Romeno di Informazioni) privo di potere sulla base di una pronuncia della Corte Costituzionale rumena in data 16 gennaio 2019 n. 26. In virtù, pertanto, nel combinato disposto di cui agli artt. 191 e 729 cod. proc. pen., il criterio da prendere a parametro di valutazione in punto di utilizzabilità delle captazione era quello della lex loci, dal quale discende l'inutilizzabilità delle stesse.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la mancata assunzione di prove decisive.E' stata immotivatamente respinta la rinnovazione istruttoria relativa all'ascolto dei testimoni A D S, C C, R D G e A V, ritenuta aspecifica, mentre il tema da esplorare attraverso l'ascolto di detti testimoni s'inseriva nel solco della ricostruzione dei rapporti e delle disponibilità economiche del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 416-bis cod. pen., 192, commi 1 e 3, cod. proc. pen. in punto di erronea valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, con particolare riferimento alla mancanza di riscontri individualizzati afferenti il ruolo del ricorrente. La Corte si è limitata a una diligente rilettura dei dati processualì posti a disposizione dal giudice di primo grado, che ha tuttavia confermato in assenza di un confronto dialettico con gli argomenti prospettati dalla difesa e, soprattutto, senza avere colto il nucleo delle deduzioni difensive con le quali si era lamentata l'assenza di una fonte probatoria che desse contezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, di una piena partecipazione di N I all'associazione clan dei casalesi. L'articolato motivo è suddiviso in tematiche che la difesa ha indicato con le lettere dell'alfabeto dalla A alla D, come si seguito sunteggiate. A) La difesa pone in primo luogo in risalto l'insufficienza della motivazione contenuta alle p. 51 e s. della sentenza di appello in punto di lamentata genericità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia con riferimento al ruolo svolto dal ricorrente, nonché
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