Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/02/2024, n. 3056

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In materia di Imposta di registro, ai fini di cui all' art. 21 d.P.R. 131/86 , la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell'imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/02/2024, n. 3056
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 3056
Data del deposito : 2 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

FATTI DI CAUSA

1. - Con sentenza n. 1984/2020, depositata il 23 settembre 2020, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l'appello proposto da O S avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l'impugnazione di (n. 11) avvisi di liquidazione dell'imposta di registro dovuta (in misura fissa) dalla contribuente in relazione alla registrazione di contratti di locazione recanti una clausola penale.

1.1 - Il giudice del gravame - richiamando (anche) una precedente pronuncia della Commissione tributaria regionale della Lombardia ( sentenza n. 2311 del 28 maggio 2019 ) - ha rilevato che la clausola penale introdotta nel contratto di locazione immobiliare "rientra fra le clausole accessorie a contenuto patrimoniale dotate di propria causa e propri effetti ulteriori rispetto a quelli tipici del contratto (cfr. CTR Lombardia, sentenza n. 3237/15/2017)" e che, pertanto, legittimamente era stata tassata (in misura fissa), atteso che, da un lato, tra il contratto di locazione e detta clausola ricorreva un nesso di accessorietà di natura contingente - siccome "frutto .... di una autonoma determinazione espressa dalle parti", e non anche "di una oggettiva interconnessione causale" - e che, dall'altro, veniva in considerazione la disciplina degli eventi condizionati ( d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 27 ) in quanto l'operatività della clausola rimaneva «condizionata all'avveramento dell'omesso o ritardato adempimento".

2. - O S ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi illustrati con memoria.

L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Col primo motivo, ai sensi dell' art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione dell' art. 112 cod. proc. civ. sull'assunto che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sui motivi di ricorso, riproposti in appello, che involgevano, rispettivamente, il difetto di motivazione degli avvisi di liquidazione impugnati e l'erronea qualificazione, in termini di clausola penale, della disciplina contrattuale degli interessi moratori.

Col secondo motivo, ai sensi dell' art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 21 e 27 deducendo, in sintesi, per un verso, che la clausola contrattuale in contestazione - siccome strettamente dipendente dall'obbligazione principale, dalle cui sorti replicava la sua stessa validità - non avrebbe potuto considerarsi in nesso di autonomia col contratto di locazione, del quale costituiva una "semplice clausola contrattuale", così che avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina posta a riguardo delle disposizioni strettamente dipendenti (che "derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre"), con conseguente tassazione della "sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa" (art. 21, comma 2, cit.);
e, per il restante, che nemmeno avrebbe potuto farsi riferimento agli eventi condizionanti l'applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale (art. 27, cit.), venendo in rilievo piuttosto che una "clausola sospensiva" una predeterminazione convenzionale del ritardato pagamento del canone.

Il terzo motivo, sempre ai sensi dell' art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52 , comma 2-bis , alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 , ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 , assumendo la ricorrente che gli avvisi di liquidazione impugnati contestavano (solo) un "omesso versamento imposta su clausola penale" e non recavano l'esplicitazione delle ragioni né della qualificazione operata dall'Amministrazione (in termini, per l'appunto, di clausola penale) né "della pretesa imposizione autonoma" della clausola (ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 21, comma 1 , cit.;
disposizione, questa "nemmeno citata all'interno degli atti impugnati").

Il quarto motivo, anch'esso formulato ai sensi dell' art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 1224 , 1284, comma 4 , e 1382 cod. civ. nonché del d.l. 12 settembre 2014 n. 132, art. 17, comma 2 , conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162 , assumendo, in sintesi, la ricorrente che erroneamente il giudice del gravame aveva qualificato (in termini di clausola penale) la convenzione intercorsa tra le parti che aveva ad oggetto (solo) la disciplina degli interessi moratori, per di più a fronte di un diritto che sarebbe ad ogni modo spettato ad essa esponente a seguito della novellazione dell' art. 1284 cod. civ.

2. - Va premesso che, in applicazione del principio processuale della ragione più liquida - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. - deve ritenersi consentito al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale, in considerazione del fatto che si impone un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello della stretta consequenzialità logico-sistematica, ed è quindi consentito sostituire il profilo di evidenza, a quello dell'ordine delle questioni da trattare, di cui all' art. 276 cod. proc. civ. , in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, come costituzionalizzata dall' art. 111 Cost. ;
ne consegue che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole e pronta soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente le altre (tra le altre, Cass., 9 gennaio 2019, n. 363 ;
Cass., 11 maggio 2018, n. 11458 ;
Cass., 28 maggio 2014, n. 12002 ;
Cass. Sez. U, 8 maggio 2014, n. 9936 ).

Tanto premesso, il secondo motivo - dal cui esame consegue l'assorbimento dei residui motivi - è fondato, e va accolto.

3. - La risoluzione della questione concernente l'applicabilità del disposto dell' art. 21, comma 1 , d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 alle clausole penali contenute nei contratti (nella specie, contratto di locazione) esige la preliminare esegesi della definizione "disposizioni" di cui l'atto si compone, nonché la ricognizione della rilevanza della causa giuridica del negozio quale elemento unificante le diverse clausole contenute nell'atto sottoposto a registrazione.

3.1 - Si rammenta che ai sensi dell'art. 21, 1° comma, cit., "Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto".

Il 2° comma prosegue prevedendo che: "Se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa".

3.2. - La declinazione degli effetti giuridici volontari assoggettabili ad imposizione indiretta è, come anticipato, rappresentata dal concetto di "disposizioni" di cui al cit. art. 21 T.U.R.

La prescrizione in esame era originariamente contemplata dall' art. 9, r.d. n. 3269 del 1923 , poi dall' art. 20 d.p.r. n. 634 del 1972 ed è infine confluita nell'art. 21 cit.

In particolare, la previsione contenuta nell' art. 9 del r.d. n. 3269 del 1923 disponeva che: "Se in un atto sono comprese più disposizioni indipendenti o non derivanti necessariamente le une dalle altre, ciascuna di esse è sottoposta a tassa come se formasse un atto distinto, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'art. 68".

Il 2° comma soggiungeva che: "Un atto che comprende più disposizioni necessariamente connesse e derivanti, per l'intrinseca loro natura, le une dalle altre, è considerato, quanto alla tassa di registro, come se comprendesse la sola disposizione che dà luogo alla tassa più grave".

3.3 - Il termine "disposizione" venne interpretato in un primo momento dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel senso di riferirlo alle "singole clausole" di una convenzione o anche ad uno degli elementi di essa: tante sono le disposizioni contenute in un atto, quante le corrispondenti voci della tariffa.

A partire dagli anni '50, il concetto di "disposizione" ha assunto un significato diverso, ritenendo la dottrina e la giurisprudenza che non potesse essere ampliato sino a

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