Cass. civ., SS.UU., sentenza 13/08/2002, n. 12194
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Nella materia dei licenziamenti collettivi, l'omissione della procedura di cui all'art. 4 legge n. 223 del 1991, intesa alla precisazione dei motivi dell'eccedenza di lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali, non è suscettibile di essere sanata dall'accordo sindacale che comprenda l'individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base della sola anzianità contributiva, trattandosi di un'omissione che compromette l'interesse primario del singolo lavoratore alla individuazione trasparente e verificabile dei dipendenti da licenziare; ne' gli obblighi procedurali prescritti dalla legge n. 223 del 1991 possono ritenersi derogati, in materia di riorganizzazione e risanamento delle Ferrovie dello Stato, dalle previsioni di cui all'art. 59 della legge n. 449 del 1997, che, pur prescrivendo che i dipendenti in esubero possano essere individuati
In caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo a norma dell'art. 18 legge n. 300 del 1970, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V C - Primo Presidente f.f. -
Dott. R C - Presidente di sezione -
Dott. G P - Consigliere -
Dott. E R - Consigliere -
Dott. A E - Consigliere -
Dott. A C - Consigliere -
Dott. M G L - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. S ETA - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
FERROVIE DELLO STATO - S.P.A., SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato A M, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati F C, R D L T, P T, E M, SRE TRIFIRÒ, GERARDO VESCI, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
T D, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRUXELLES 20, presso lo studio dell'avvocato G P, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ADOLFO BIOLÈ, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 62/00 della Corte d'Appello di GENOVA, depositata il 05/05/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/02 dal Consigliere Dott. Stefanomaria EVANGELISTA;
uditi gli avvocati Franco CARINCI, Salvatore TRIFIRÒ, Paolo TOSI, Gerardo VESCI, ADOLFO BIOLÈ;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marco PIVETTI che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Genova, depositato il 14 maggio 1999, Domenico Tedesco impugnava licenziamento intimatogli dalla s.p.a. Ferrovie dello Stato il 2 marzo 1999 nel contesto di un'operazione di riduzione del personale ed in applicazione del criterio selettivo della maggiore anzianità contributiva, recepito da appositi accordi collettivi di attuazione del disposto dell'art. 59, comma sesto, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
Il lavoratore, premesso che la suddetta disciplina, legale e contrattuale, non aveva inteso modificare la (nè derogare alla) legge 23 luglio 1991, n. 223. Denunciava, come causa dell'illegittimità dell'impugnato recesso, la mancata osservanza, nel caso di specie, delle procedure da questa legge stabilite per l'adozione di licenziamenti collettivi.
La s.p.a Ferrovie dello Stato si costituiva e chiedeva il rigetto del ricorso, osservando che l'art. 59, comma 6^, della citata legge 449 del 1997, con i successivi accordi collettivi di attuazione,
integrava una disciplina speciale, prevalente su quella generale dettata dalla legge n. 223 del 1991, e, in ogni caso, istitutiva di un trattamento di miglior favore, che comportava, nel caso di specie, in considerazione dell'ampia attività di concertazione posta a base dei licenziamenti, la sostanziale osservanza delle formalità previste dalla detta disciplina generale.
Il Tribunale accoglieva il ricorso e la relativa decisione era confermata dalla Corte d'Appello di Genova, che rigettava l'appello della s.p.a Ferrovie dello Stato, con sentenza depositata in cancelleria il 5 maggio 2000. Il giudice del gravame osservava, in particolare, che:
- l'art 59, comma 6^, si limita a prevedere la costituzione di un fondo per il sostegno del reddito del personale eccedente, con disposizione che non reca alcuna disciplina speciale circa i licenziamenti collettivi e le relative procedure di intimazione, ma piuttosto presuppone eventuali provvedimenti di riduzione del personale e provvede a mitigarne gli effetti sociali attraverso l'intervento del fondo:
- l'unico riferimento estensibile ai licenziamenti collettivi è costituito dal richiamo al criterio della anzianità contributiva o anagrafica, fra i parametri da utilizzare per l'individuazione del personale eccedentario;
- gli accordi collettivi posti a fondamento dei licenziamenti non sono legittimati, ne' dal citato art. 59 ne' da alcuna altra disposizione di legge, a derogare alle norme imperative in materia di licenziamenti collettivi di cui alla legge n. 223 del 1991;
- nel caso di specie i licenziamenti collettivi sono stati adottati, sulla base dei suddetti accordi collettivi, in violazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991 (non 9 è stata inoltrata la comunicazione avente i requisiti di cui all'art 4. comma 3^. di quest'ultima legge;il personale da licenziare è stato individuato senza tener conto delle esigenze tecniche, produttive e organizzative, ma solo sulla base della maggiore anzianità contributiva);
- non può affermarsi, come sostenuto dalla società appellante, che la disciplina prevista dagli accordi collettivi sarebbe più favorevole, per i lavoratori, rispetto alle procedure previste dalla legge n. 223 del 1991, perché essa, imponendo il consenso delle parti collettive per individuare il personale eccedentario e così presupponendo l'accordo con il sindacato, configura una situazione che, se vantaggiosa sul piano collettivo e sindacale, incide, tuttavia, in senso sfavorevole sui diritti dei lavoratori licenziati e sulle loro posizioni individuali, che sono le uniche rilevanti in sede di impugnazione del licenziamento: l'affermazione della società, secondo cui le procedure disciplinate dagli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991 sarebbero state, comunque, sostanzialmente, anche se non formalmente, rispettate, attraverso l'ampia attività di concertazione che ha caratterizzato l'intera vicenda, appare priva di pregio, ove si consideri che la procedura in questione ha carattere inderogabile, non tollera atti equipollenti e non può essere sostituita da accordi collettivi;
- nel caso di specie difetta il presupposto (costituito dalla esigenza di ridurre i posti di lavoro) che legittima il ricorso ai licenziamenti collettivi, essendo pacifico che l'azienda, nello stesso periodo in cui procedeva ai licenziamenti collettivi, disponeva numerose assunzioni di personale.
In merito alla questione relativa alla quantificazione del danno per l'illegittimo licenziamento, il giudice a quo, infine, rilevava che le somme percepite dai lavoratori a titolo pensionistico, essendo state corrisposte dall'istituto previdenziale, non possono essere detratte da quelle dovute dalla società datrice di lavoro, in quanto soggette ad azione di ripetizione da parte del soggetto erogatore. La s.p.a. Ferrovie dello Stato ha proposto, per la cassazione di questa sentenza, ricorso affidato a cinque motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. La Sezione Lavoro della Corte, alla quale il ricorso è stato originariamente assegnato ratione materiae, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in relazione alla questione di massima, ritenuta di particolare importanza ex art. 374 cod. proc. civ., se le norme di legge dettate per l'attuazione del piano di ristrutturazione dell'azienda della s.p.a. Ferrovie dello Stato (art. 59, comma 6, legge 27 dicembre 1997 n. 449. e art. 43, comma 7, legge 23 dicembre 1998 n. 448) deroghino
o no alle disposizioni in materia di licenziamenti collettivi contenute nella legge 23 luglio 1991 n. 223. Il Primo Presidente ha provveduto in conformità.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo del ricorso, denunciandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 59, comma sesto, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si assume che questa norma, modellata sulle esigenze di
eliminazione degli esuberi del personale delle FF.SS., contiene disposizioni che si pongono su di un piano diverso da quello sul quale opera la legge 23 luglio 1991, n. 223, poiché affidano la realizzazione di tali esigenze ad una gestione concordata tra le parti a livello nazionale circa la determinazione della dimensione delle eccedenze, della loro dislocazione territoriale e delle modalità di smaltimento.
La disciplina che ne risulta non contrasta con la direttiva della comunità europea (in attuazione della quale è stata promulgata la legge n. 223 del 1991), che si limita ad imporre una procedimentalizzazione ed un controllo collettivo certamente coerente con le indicazioni dell'art. 59 citato, il quale, assegnando al sindacato un potere condizionante, amplifica le esigenze di tutela che hanno ispirato la direttiva comunitaria.
Nè può individuarsi una ragione di contrasto con la suddetta direttiva (che esclude l'utilizzo di criteri soggettivi nella individuazione del personale da licenziare) nel richiamo dell'art. 59 al criterio della anzianità contributiva, considerata la valenza obiettiva dello stesso.
La norma in esame va inoltre valutata in un contesto normativo del quale fanno parte anche il d.l. n. 324 del 1998 e l'art 43, comma nono, della legge n. 448 del 1998, che hanno collegato la cessazione
del rapporto dei dipendenti delle FF.SS. al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia.
Con il secondo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge n. 223 del 1991, si afferma che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice del gravame, la disciplina contrattuale può sostituire, se più favorevole, come nel caso di specie, la disciplina contenuta nella legge 223 del 1991. Le norme imperative di legge fissano un contenuto minimo di tutela, ma le parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, ben possono stabilire ulteriori garanzie.
Gli obblighi di comunicazione di cui all'art. 4 della legge n. 223 del 1991, che hanno come loro destinatari le organizzazioni
sindacali, presuppongono una determinazione e valutazione unilaterale, da parte del datore di lavoro, delle esigenze organizzative e degli esuberi di personale. La disciplina di cui all'accordo di procedura, nel prevedere la necessità di una intesa con le OO.SS., ne ha rafforzato il ruolo. E proprio la necessità della suddetta intesa fa venir meno la stessa ragion d'essere dell'obbligo di comunicazione dei dati relativi al numero, ai profili professionali e alla collocazione aziendale dei lavoratori in esubero, considerato che le stesse organizzazioni sindacali concorrono ad accertare e concordare i suddetti dati. La determinazione concordata, e non effettuata unilateralmente dal datore di lavoro, finisce con il tutelare maggiormente anche i singoli lavoratori.
Con il terzo motivo del ricorso, denunciandosi ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge n. 223 del 1991, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, si sostiene che la disciplina contrattuale appare comunque sostanzialmente rispettosa di quella dettata dalla testè citata norma.
Le comunicazioni in essa previste sono finalizzate al raggiungimento dell'accordo fra le parti, sicché, ove tale accordo sussista, come nel caso di specie, eventuali vizi della procedura, o la sua stessa mancanza, restano superati nel sopravvenire del momento convenzionale.
Con il quarto motivo del ricorso, denunciandosi violazione e falsa applicazione dell'art 5 della legge n. 223 del 1991, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, si censura l'assunto del giudice del merito secondo cui il criterio della pensionabilità sarebbe stato utilizzato per la individuazione delle eccedenze, e non per la selezione dei lavoratori da licenziare nell'ambito di esuberi determinati sulla base delle esigenze tecnico organizzative. Il detto giudice non ha considerato, infatti, ad avviso della ricorrente, che gli esuberi sono stati stabiliti bensì a livello nazionale, ma sulla base delle verifiche, effettuate a livello locale, delle eccedenze di personale esistenti, e quindi con valutazione in concreto delle relative situazioni. Con il quinto motivo, la ricorrente, nel denunciare violazione e falsa applicazione dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, relativamente alla quantificazione del danno, sostiene che erroneamente il giudice del gravame, nella condanna al risarcimento del danno, ha commisurato quest'ultimo alla retribuzione spettante fino alla reintegra, senza prevedere la deduzione di quanto percepito nel frattempo dal lavoratore a titolo di pensione e senza considerare che il trattamento pensionistico grava direttamente sul bilancio delle FF.SS., mentre l'INPDAP opera esclusivamente da ente erogatore. 2. - I primi quattro motivi, che, per evidente connessione, meritano esame congiunto, richiedono la risoluzione delle seguenti questioni:
a) se l'art. 59, comma sesto, della legge 27 novembre 1997, n. 449, al fine di favorire la riorganizzazione ed il risanamento della s.p.a Ferrovie dello Stato, abbia dettato una speciale disciplina di individuazione dei lavoratori in eccedenza, i cui rapporti sono destinati alla risoluzione, così operando in area diversa da quella coperta dalla legge 23 luglio 1991, n. 222, in tema di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, e conseguentemente escludendo che la suddetta individuazione soggiaccia all'osservanza delle procedure previste da tale ultima legge, e in particolare dal suoi artt. 4 e 5;
b) in subordine, e per l'eventualità che alla precedente questione debba darsi soluzione negativa, se le procedure configurate nel citato art. 59, che rimette al momento convenzionale degli accordi sindacali la gestione delle eccedenze e dei conseguenti licenziamenti, risultino, per questa stessa ragione, idonee a soddisfare, in modo simile nella sostanza, le medesime esigenze di informazione e tutela cui sono funzionali le procedure disciplinate dalle citate norme generali.
3. - Ad entrambe le questioni la Corte ha già dato risposta negativa (con sentenza 25 luglio 2001, n. 10171, seguita da altre conformi), sancendo il principio per cui "nella materia dei licenziamenti collettivi, l'omissione della procedura di cui all'art. 4 legge n. 223 del 1991, intesa alla precisazione dei motivi dell'eccedenza di
lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali, non è suscettibile di essere sanata dall'accordo sindacale che comprenda l'individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base della sola anzianità contributiva, trattandosi di un'omissione che compromette l'interesse primario del singolo lavoratore alla individuazione trasparente e verificabile dei dipendenti da licenziare;ne' gli obblighi procedurali prescritti dalla legge n. 223 del 1991 possono ritenersi derogati, in materia di riorganizzazione e risanamento delle Ferrovie dello Stato, dalle previsioni di cui all'art. 59 della legge n. 449 del 1997, che, pur prescrivendo che i dipendenti in esubero possano
essere individuali anche in base al criterio dell'anzianità contributiva, non esclude l'applicazione delle procedure di verifica stabilite dalla legge n. 223 del 1991, ne' rimette agli accordi sindacali il potere di stabilire procedure di mobilità in deroga a quelle prescritte dalla legge".
Reputano le Sezioni Unite di dovere dare continuità a questo principio, per le ragioni che seguono.
4. - Il quadro normativo di riferimento può così sintetizzarsi, ai fini precipui dell'esame della prima delle enunciate questioni. 4.1. - L'art. 2, ventottesimo comma, della legge 23 dicembre 1996. n. 662, in attesa di un'organica riforma del sistema di ammortizzatori sociali e nella riscontrata necessità di immediate misure di sostegno del reddito e dell'occupazione, specialmente nei settori imprenditoriali in crisi o impegnati in processi di ristrutturazione, ma sprovvisti di sistemi siffatti, aveva delegato il Governo ad esercitare la potestà regolamentare per promuovere la stipulazione di contratti collettivi aventi ad oggetto la previsione del tipo delle misure suddette e delle modalità di accesso alle medesime, nonché la costituzione di appositi fondi destinati a finanziare i relativi trattamenti e la determinazione dei mezzi di provvista di questi ultimi.
4.2. - In attuazione della delega, è stato emanato, dal Ministro del lavoro, di concerto con quello del Tesoro il decreto 27 novembre 1997, n. 477, il quale indica puntualmente i compiti rimessi, in materia, alla contrattazione collettiva, precisando che essa deve contenere:
"a) la richiesta di emanazione di norme per fronteggiare situazioni di eccedenze di personale, transitorie o strutturali, per gli ambiti di riferimento dei quali va precisata la definizione;
b) l'individuazione di specifici istituti per il perseguimento, nelle predette situazioni, di politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione, prevedendo criteri, entità e modalità di concessione degli interventi e dei trattamenti da essi previsti;
c) la prefigurazione, sulla base di uno specifico piano pluriennale, del finanziamento dei predetti istituti, in misura adeguata all'entità degli interventi e dei trattamenti, comprensivi della copertura figurativa necessaria, nonché all'entità degli oneri di amministrazione del fondo di cui all'articolo 3, attraverso un contributo da determinarsi in misura non inferiore, nel complesso, allo 0,50% da calcolare sulla retribuzione definita come base imponibile ai fini del calcolo dei contributi obbligatori di previdenza ed assistenza sociale. L'eventuale concorso del lavoratore a detto finanziamento non può essere superiore al 25% del contributo prefigurato;
d) la prefigurazione di un contributo addizionale a carico del datore di lavoro, in caso di ricorso ai predetti istituti, modulalo con riferimento all'entità e alla durata dell'intervento richiesto, nonché al numero dei soggetti interessati, in misura non superiore a tre volte quello della contribuzione ordinaria prefigurata di cui alla lettera c);
e) la prefigurazione, per i settori caratterizzati da esubero strutturale di addetti, di ulteriori interventi e trattamenti straordinari alti a favorire i processi di ristrutturazione aziendale. Gli ulteriori contributi allo scopo necessari sono a totale carico dei datori di lavoro e commisurati all'entità degli interventi e trattamenti richiesti, nel rispetto dell'equilibrio finanziario del fondo di cui all'articolo 3, comma 1;Le richieste dei datori di lavoro sono ammesse entro la data ultima che deve essere prevista dai regolamenti di cui al comma 1;
f) la definizione delle regole relative alla designazione degli esperti in seno al comitato amministratore di cui all'articolo 3". 4.3. - Settore privo dell'operatività di ammortizzatori sociali destinati ad attenuare le ricadute occupazionali di processi di ristrutturazione era certamente quello delle imprese ferroviarie, espressamente escluse, ad opera dell'art. 4 della legge 12 luglio 1988, n. 270, dall'ambito di applicazione della disciplina della
Cassa integrazione guadagni, sicché, relativamente ad esso si imponevano misure del tipo descritto, nello spirito e secondo le finalità proprie delle surriferite disposizioni.
Ed in effetti, il legislatore, facendo espressamente richiamo a queste ultime e prendendo atto del processo di riorganizzazione e risanamento intrapreso dalla società Ferrovie dello Stato ed al dichiarato scopo di favorirlo. ha, con l'art. 59, comma 6, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, testualmente stabilito che "con
accordo collettivo da stipulare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge con le organizzazioni sindacali di categoria, è istituito un fondo a gestione bilaterale con le finalità di cui all'art. 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662". La medesima norma immediatamente dopo, nel determinare la cadenza delle verifiche degli effetti, sul piano occupazionale, degli interventi del fondo, ribadisce che esso viene "istituito per il perseguimento di politiche attive del lavoro e per il sostegno al reddito per il personale eccedentario" e precisa che questo personale è "da individuare anche sulla base di criteri che tengano conto della anzianità contributiva o anagrafica".
5. - L'esposta disciplina risulta di piana lettura e di non equivoco significato: le organizzazioni sindacali e, conseguentemente, la contrattazione collettiva non hanno affatto, a differenza di quanto assume la difesa della ricorrente, la funzione di gestione negoziale e consensuale dell'individuazione del personale eccedentario, ma soltanto quella di provvedere alla realizzazione di misure di sostegno in favore del personale stesso, disciplinarne il funzionamento, prevedere le modalità di accesso e di finanziamento. Il rinvio normativo al momento negoziale, in altre parole, non investe la fase dei processi di ristrutturazione o risanamento che culmina con la determinazione complessiva delle eccedenze e la specificazione delle posizioni individuali ricomprese in tale risultato, il cui verificarsi è, anzi, presupposto dal legislatore, ma la fase successiva, nella quale si tratta di assicurare interventi economici adeguati alle esigenze del personale destinato a perdere il posto di lavoro.
Le procedure finalizzate all'attuazione di licenziamenti collettivi per riduzione di personale costituiscono, dunque, un prius estraneo all'intervento negoziale delineato nelle descritte norme di previsione ed avente contiguità con esso nell'esclusivo senso che il risultato della perdita occupazione, ricollegabile allo svolgimento delle procedure stesse, costituisce il dato problematico e l'elemento patologico sul quale devono spiegarsi gli interventi destinati a supplire alla carenza di adeguati sistemi di ammortizzatori sociali. 5.1. - Ben vero, l'art. 59 prevede che la mano d'opera eccedentaria debba essere individuata "anche sulla base di criteri che tengano conto dell'anzianità contributiva ed anagrafica", ma ciò non legittima l'affermazione, resistita dall'intero tessuto normativo sopra riportato, della destinazione strumentale della contrattazione collettiva alla gestione di operazioni prodromiche all'adozione di licenziamenti collettivi e sostitutive delle procedure all'uopo stabilite dalla legge n. 223 del 1991. Significa, invece e soltanto, che il legislatore ha formalizzato l'introduzione di un ulteriore criterio selettivo;ha inteso precisare che, oltre ai criteri già da tale legge e, più esattamente, in funzione di specificazione e completamento di quello dell'anzianità, in essi ricompreso, opera il criterio della prossimità al trattamento pensionistico.
L'intento è reso palese, sul piano letterale, dall'uso della congiunzione "anche", che bene esprime la portata additiva della disposizione, mentre sarebbe incompatibile con una lettura della norma che ne postulasse lo scopo di attribuire alla contrattazione suddetta il compito di individuare direttamente le eccedenze, in applicazione dell'unico criterio dell'anzianità. Si tratta di un intervento chiarificatore, che si iscrive nel contesto di orientamenti giurisprudenziali tendenzialmente inclini ad affermare l'estraneità del criterio della prossimità al conseguimento della pensione rispetto a quelli espressamente menzionati dalla legge n. 223 del 1991 e la legittimità della sua adozione solo in considerazione della rispondenza a requisiti di obiettività e di razionalità, sottolineati anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 268 del 1994 (v., fra le altre Cass. 7 dicembre 1999, n. 1391). 5.2 - Va, dunque, ribadita la conclusione già espressa dalla citata sentenza n. 10171 del 2001 circa la riconoscibilità di una ratio legis limitata all'apprestamento di opportuni ammortizzatori sociali, al fine di agevolare, riducendone i costi sociali, operazioni di riorganizzazione e di risanamento dell'azienda attuate mediante espulsione di personale, certo essendo che il presupposto dell'intervento legislativo è rappresentato dalla consapevolezza che l'azienda ferroviaria statale presentasse eccedenze occupazionali e che la riorganizzazione e il risanamento dovessero passare attraverso i licenziamenti.
Sulla disciplina dei licenziamenti collettivi. viceversa, la legge ha inciso, in coerenza con i rimedi apprestati a livello di previdenza e di solidarietà, limitandosi a rendere obbligatoria l'applicazione - esclusiva o in concorso con altri - del criterio di scelta dei lavoratori da licenziare rappresentato dall'anzianità contributiva o anagrafica.
Non vi è, perciò, alcun elemento che possa autorizzare l'interprete a ritenere che la legge n. 223 del 1991 sia stata derogata per altri aspetti: e sarebbe del tutto arbitrario leggere la legge n. 449 del 1997 come se avesse direttamente valutato la necessità di ridurre il
personale, disponendo il licenziamento dei dipendenti più anziani, ovvero nel senso che abbia rimesso agli accordi sindacali il potere di stabilire procedure di mobilità, anche in deroga alle previsioni della L. 222/1991. 6. - Del pari infondata è la seconda questione sollevata dalla ricorrente, in base all'assunto di tipo. per così dire, sostanzialistico, secondo cui le alterazioni procedurali rispetto al modello somministrato dalla legge n. 223 del 1991 sarebbero consentite e prive di incidenza sull'atto finale, in quanto il controllo sociale è stato realmente garantito dall'accordo con le organizzazioni sindacali, preordinato alla sostituzione del procedimento legale con altro, convenzionale, tale da assicurare garanzie maggiori ai lavoratori. La superiorità della garanzia convenzionale rispetto a quella legale starebbe essenzialmente nell'esclusione del potere unilaterale dell'imprenditore di valutare le esigenze organizzative determinanti le eccedenze di personale, dovendo necessariamente essere concordata con le organizzazioni sindacali l'entità concreta dell'eccedenza stessa. 6.1. - Occorre, al riguardo, ricordare che la legge ora citata si ispira alla finalità di realizzare un controllo preventivo, sindacale e pubblico, sul potere imprenditoriale e sulle scelte divisate dal datore di lavoro, allorché i licenziamenti, in presenza degli elementi precisati dalla stessa legge, hanno una forte rilevanza sociale.
Essa ha perciò obbligato l'imprenditore al rispetto di un articolato procedimento la cui inosservanza è sanzionata con l'inefficacia dei licenziamenti, nonché alla scelta dei lavoratori da licenziare nel rispetto dei criteri di selezione prestabiliti (per legge o per contratto collettivo), la cui inosservanza è sanzionata l'annullabilità del recesso;ed ha esteso la tutela dell'art. 18 l. 300/1979 ai licenziamenti collettivi inefficaci o annullabili.
Negli attuali livelli di tutela, dunque, il licenziamento per riduzione di personale deve passare per il filtro della procedura che apre la via al controllo giudiziale sulla regolarità formale e sulla buona fede sostanziale del comportamento dell'imprenditore. L'avvio della procedura contempla, in primo luogo, le comunicazioni di cui all'art. 4, secondo comma, le quali devono indicare, ai sensi del comma successivo, fra l'altro: i motivi che determinano la situazione di eccedenza, i motivi tecnici, organizzativi o produttivi che rendono necessari i licenziamenti;il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente. Un rilievo centrale assume, dunque, la causa dell'eccedenza, sulla quale deve svolgersi il confronto sindacale (comma 5), in relazione alle, eventuali, diverse unità produttive (arg. ex comma 15), mentre l'elenco dei lavoratori licenziati deve specificare, per ciascun nominativo, tra l'altro, la qualifica ed il livello di inquadramento (comma 9), onde consentire di verificare la congruenza rispetto alle ragioni dell'eccedenza. Infatti, l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, nel rispetto dei criteri legali o convenzionali, "in relazione alle esigenze tecnico-produttive del complesso aziendale" (art. 5, comma 1).
6.2. - Che nel caso di specie, la procedura, negli aspetti richiamati, non sia stata rispettata è il presupposto implicito della stessa tesi difensiva della ricorrente, nella parte in cui sostiene la sostanziale equipollenza degli adempimenti posti in essere in forza della disciplina convenzionale riconducibile alla previsione dell'art. 59, comma sesto della legge n. 449 del 1997. Orbene, siffatta inosservanza, essendo sanzionata, come si è detto, con l'inefficacia dei licenziamenti, incide sullo stesso potere dell'imprenditore di ridurre il personale, privando di effetti ciascuno e tutti i negozi di recesso, fermo restando, ovviamente, che ciascun lavoratore ha una posizione autonoma rispetto alla scelta di esercitare o non esercitare il proprio diritto di impugnazione e che, in ogni caso, la procedura può essere rinnovata.
6.3. - L'effetto condizionante che l'osservanza del procedimento esplica sull'esercizio del suddetto potere è ben desumibile dal particolare regime della reintegrazione dettato dall'art. 17 della legge n. 223 del 1991.
Ivi prevedendosi che l'imprenditore possa "procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro di un numero di lavoratori pari a quelli dei lavoratori reintegrati senza dover esperire una nuova procedura", si delinea un assetto normativo per cui, solo quando sia stato correttamente esperito il prescritto iter procedimentale (con o senza accordo), può essere invocata la persistenza degli effetti della deliberazione di ridimensionamento del personale, con la conseguenza che, nei limiti della riduzione stabilita, la reintegrazione di determinati lavoratori (il cui licenziamento si stato disposto illegittimamente, per motivi non procedurali, ma consistenti nella violazione dei criteri di scelta) può giustificare l'allontanamento di altrettanti lavoratori mantenuti nel loro posto per effetto di siffatta violazione, laddove l'inosservanza della procedura comporta reintegrazione dei licenziati fino a quando non sia rinnovata la procedura stessa.
Ed è perciò pienamente condivisibile la conclusione cui sono pervenute la citata sentenza della Corte n. 10171 del 2001 e le coeve conformi, secondo cui questo rilievo di ordine sistematico è decisivo per ritenere che la "forma" di esercizio del potere di ridurre il personale non possa essere derogata dalla volontà dei soggetti ai quali è affidato il controllo delle scelte dell'impresa, conformemente, del resto, alla chiara lettera delle disposizioni di legge, che non consente agli stessi soggetti di disporre di diritti che la "violazione della procedura" consente ai singoli lavoratori interessati di acquisire.
6.4. - Ne discende che l'omissione della "comunicazione preventiva per iscritto" alle rappresentanze sindacali aziendali, alle associazioni di categoria ed all'Ufficio provinciale del lavoro, che precisi i motivi dell'eccedenza e gli altri elementi prescritti dal comma 3 dell'art. 4 della legge n. 223 del 1991, non è suscettibile di essere sanata dall'accordo sindacale, in quanto compromette la tutela dell'interesse primario del lavoratore ad una corretta instaurazione della procedura in cui si inserisce un atto (il recesso) per lui di massimo pregiudizio.
In effetti, come già le Sezioni unite hanno avuto modo di precisare con la sentenza 11 maggio 2000, n. 302, gli interessi pubblici e collettivi, che pure la legge n. 223 del 1991 mira a tutelare con la scelta della "procedimentalizzazione" del potere di recesso dell'imprenditore, restano in secondo piano rispetto alla salvaguardia dell'interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro;ed una scelta siffatta si colloca in funzione compensativa della libertà concessa all'imprenditore in merito alla scelta di ridurre il personale, imponendo, in funzione della tutela del singolo lavoratore, che sia trasparente e verificabile l'individuazione dei dipendenti licenziati (v. anche Cass. 7469/1998;
11759/1998;265/1999).
In nessun caso, pertanto, può considerarsi valido un accordo sindacale che, qualunque contenuto abbia, pregiudichi il diritto anche di un singolo lavoratore.
In quest'ordine di idee che assegna all'osservanza del procedimento una funzione di preminente garanzia di interessi individuali, è, del resto, agevole osservare come, nel caso di specie, non possa negarsi che, in astratto, ove fosse stata rispettata la legge nella parte in cui impone di enunciare le cause delle eccedenze, le unità produttive ed i profili professionali interessati, taluni dei lavoratori interessati avrebbero potuto non essere coinvolti nella procedura e ciò è sufficiente per escludere che l'accordo sindacale possa essere abilitato a derogare le disposizioni della L. n. 223 del 1991 e che, comunque, motivi socialmente apprezzabili possano
legittimare il sacrificio dei singoli.
Aggiungasi che dalla condivisione delle tesi del ricorso discenderebbe la legittimazione, in via generale, ad operare ristrutturazioni aziendali mediante l'espulsione dei lavoratori più anziani, mentre il criterio dell'anzianità contributiva, certamente oggettivo e razionale (cfr., da ultimo, Cass. 4140/2001), può soltanto essere adottato per scegliere i dipendenti da licenziare nell'ambito di ben individuate categorie e comprensori. In considerazione di tutto quanto precede, gli esaminati motivi di ricorso devono essere rigettati.
7. - Ugualmente infondato è il quinto motivo di ricorso. Non ignorano le Sezioni unite che sulla questione della detraibilità dell'importo della pensione da quello del risarcimento del danno liquidato in favore del lavoratore illegittimamente licenziato si sono delineati orientamenti giurisprudenziali contrastanti, ancorché con prevalenza della soluzione negativa (per la quale v., da ultime, Cass. 19 maggio 2000, n. 6548, ove si sottolinea che può considerarsi compensativo del danno arrecato al lavoratore con il licenziamento - quale "aliunde perceptum" - non qualsiasi reddito percepito da quest'ultimo, ma solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa;e Cass. 6 settembre 2000, n. 11742, ove si rileva che la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, determinando de jure la ricostituzione del rapporto di lavoro, fa venire meno il titolo al trattamento pensionistico;contra, v., invece, Cass. 5 giungo 1996, n. 5228). Ritengono, peraltro, le Sezioni unite che il primo dei segnalati orientamenti meriti adesione.
Il diritto a pensione discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, prescinde del tutto dalla disponibilità di energie lavorative da parte dell'assicurato che abbia anteriormente perduto il posto di lavoro, ne' si pone di per sè come causa di risoluzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 28 aprile 1995, n. 4747), sicché le utilità economiche che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all'operatività della regola della "compensatio lucri cum damno" (sulla necessità che lucro e danno dipendano dal medesimo fatto, cfr. Cass. 25 marzo 2002, n. 4205;Id., 28 gennaio 2002, n. 985;Id., 27 luglio 2001, n. 10291;Id., 7 gennaio 2000, n. 81;Id., 29 novembre 1999, n. 13334;Id., 10 febbraio 1999, n. 1135;Id., 21 agosto 1998, n. 8321;Id., 18 novembre 1997, n. 11440;ecc.) Può ben verificarsi, peraltro, che, in determinati casi, la legge deroghi a quei requisiti, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l'ammissione al trattamento previdenziale, di guisa che il rapporto fra pensione e retribuzione venga a porsi in termini di alternatività: ma in altrettanti casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento, facendo venir meno il presupposto della deroga, travolge ex tunc lo stesso diritto dell'assicurato a siffatta anticipazione e lo espone all'azione di ripetizione dell'indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come "un lucro compensabile col danno", cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore, in quanto a fronte della loro percezione sta un'obbligazione restitutoria di corrispondente importo.
Altrettanto, poi, può osservarsi circa il rapporto fra pensione e retribuzione, allorché esso si ponga in termini non di alternatività (nel senso cioè che solo la cessazione del lavoro apre eccezionalmente la via al prepensionamento), ma di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo (v. Cass. 19 aprile 1980, n. 2583), implicando anche questi termini la conseguenza che è la fruizione del trattamento previdenziale, nei limiti in cui ne vengono meno le condizioni - per effetto della disposta reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato - a doversi considerare oggettivamente indebita e, quindi, inidonea ad accrescere in pari misura il patrimonio del lavoratore e ad operare in riduzione del risarcimento dovutogli.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
In ordine al regolamento delle spese del giudizio di cassazione, le peculiarità delle questioni controverse, emergenti dal complesso delle ragioni della decisione, inducono a ritenere la sussistenza di giusti motivi per compensarle interamente fra le parti.