Cass. pen., sez. III, sentenza 27/04/2023, n. 17408
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te 27 APR 2023 SENTENZA ‘,.3..VUNZIONAR1,0 L\ RIO sul ricorso proposto da _ D M M nato a Vittoria il 15/10/1964;avverso la ordinanza del 17/10/2022 della Corte di Appello di Catania;udita la relazione svolta dal Consigliere G N ;lette le conclusioni del PG dr.ssa L O che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 17 ottobre 2022, la Corte di appello di Catania, a seguito di annullamento con rinvio disposto con sentenza dalla Corte di Cassazione in data 15 luglio 2021, in ordine ad istanza di riparazione di ingiusta detenzione avanzata da D M M, sanciva il diritto dell'interessato all'indennizzo pari ad euro 12.265,00 ed accoglieva, altresì, la relativa doglianza riguardante la mancata condanna, al riguardo, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, condannando il medesimo al pagamento, in favore del ricorrente, di una somma a titolo di indennizzo per l'ingiusta detenzione complessivamente sofferta ed alla rifusione delle spese processuali. 2. Avverso tale ordinanza D M M propone ricorso con un unico motivo di impugnazione. 3. Rappresenta il vizio di violazione di legge e di carenza di motivazione, nella parte in cui l'indennizzo è stato liquidato secondo un mero criterio aritmetico. La corte non avrebbe considerato gli ulteriori pregiudizi derivanti dall'intervenuto strepitus fori e dalle perdite economiche. Non si sarebbe spiegata la lapidaria asserzione per cui l'allegato pregiudizio conseguente alla pubblicazione di articoli di giornale sarebbe corrispondente a quello della stessa privazione di libertà personale. Mentre invece, la diffusione della notizia di un arresto rappresenterebbe una lesione più grave rispetto alle normali conseguenze della perdita della libertà personale. Sarebbe altresì viziata la ordinanza nella parte in cui non valorizza il danno patrimoniale conseguente alla allegata contrazione del volume di affari. In proposito, sarebbe illogica la definizione dell'allegato prospetto del fatturato e costi, quale atto unilaterale e privo di ufficialità, essendo unilaterali tutti i documenti contabili né sarebbe lecito dubitare della sua corrispondenza con il bilancio siccome promanante da un consulente. Si contesta anche la tesi per cui tale prospetto non proverebbe che la contrazione del volume di affari sarebbe dipesa dai giorni di ingiusta detenzione, sul rilievo per cui l'intervenuto sequestro della azienda sarebbe conseguenza diretta dell'arresto siccome disposto con la stessa ordinanza applicativa della misura personale e, quindi, fondato sullo stesso fumus dell'arresto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Quanto alla contestazione della mancata considerazione del danno all'immagine patito, va premesso che questa Suprema Corte ha sostenuto che, fermo restando il tetto massimo fissato dalla legge in euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall'ammontare giornaliero di euro 235,82 (euro 117,91 per gli arresti domiciliari, cfr. Sez. 4, n. 34664 del 10/6/2010, Rv. 248078), valorizzando lo specifico pregiudizio, di natura patrimoniale e non patrimoniale, derivante dalla restrizione della libertà, dimostratasi ingiusta (cfr. fra le tante, Sez. 4 n. 10123 del 17/11/2011, Rv. 252026;6.10.2009 n.40906;25/2/2010, 10690, Rv. 246425). Lo scostamento, tuttavia, deve trovare giustificazione in particolari specifiche ripercussioni in termini negativi sotto il versante patrimoniale, familiare, della vita di relazione, o anche della pubblica ripercussione dell'evento, che non risulterebbero adeguatamente soddisfatte, quantomeno in termini di equo ristoro, in una valutazione aritmetica ponderata come quella agganciata al valore massimo indennizzabile, diviso per la durata della detenzione riconosciuta dalla normativa penal-processualistica. Sotto questo profilo, è stato affermato che, affinché l'equità non tracimi in arbitrio incontrollabile, è necessario che il giudice individui in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali imponga di rilevare un surplus di effetto lesivo da atto legittimo (la misura cautelare) rispetto alle gravi, ma ricorrenti e, per coi dire, fisiologiche, conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto, che come alone di discredito sociale (cfr. Sez. 4 n. 21077 dell'1/4/2014, S, Rv. 259237;conf. Sez. 4, n. 6394 del 06/12/2016 dep. il 2017, D'Elia, Rv. 269077). Quanto poi allo specifico caso inerente la allegazione di un danno alla immagine e reputazione, conseguente al clamore mediatico, innanzitutto va ricordata la pur risalente ma non per questo non rilevante decisione di questa Corte, per cui in tema di riparazione per la custodia cautelare ingiustamente subita, il mancato rinvio della relativa norma (art. 314 cod. proc. pen.) ai criteri per la quantificazione della riparazione degli errori giudiziari (art. 643 cod. proc. pen.) non può comportare la conseguenza di dovere, come regola generale, commisurare in maniera pressoché esclusiva l'entità dell'equa riparazione per l'ingiusta detenzione subita alla durata della detenzione stessa: non solo un siffatto criterio non è posto esplicitamente dalla legge, ma non trova alcun sostegno nella relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale ne' nella direttiva n. 100 della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81. D'altro canto se la riparazione deve essere equa secondo l'art. 314 cod. proc. pen., non si vede come la medesima tale potrebbe considerarsi qualora non attribuisse alcun valore o, al più, un valore limitato e marginale alle conseguenze personali e famigliari di cui all'art. 643 cod. proc. pen. o ad altri pur importanti elementi quali ad esempio: la maggiore sofferenza che la custodia cautelare può arrecare ad un incensurato, la più rilevante incidenza della stessa sulla posizione economica di un negoziante rispetto ad un impiegato pubblico, il danno in parte insanabile arrecato a noti personaggi dalla pubblicità effettuata dai mezzi di comunicazione. Siffatti dati pertanto, devono concorrere, secondo prudente atteggiamento del giudice, ma con pari dignità rispetto alla durata della detenzione (ingiusta) a determinare l'equa riparazione;certamente nessun peso potrà invece attribuirsi a tutte quelle situazioni che devono essere considerate irrilevanti alla luce del principio costituzionale di eguaglianza (e così non potrà farsi distinzione di razza, di sesso, di ceto sociale, ecc.). In linea con tale impostazione questa Suprema Corte ha ribadito come nella materia in questione possa valutarsi anche la lesione della reputazione conseguente allo "strepitus fori" (Sez. 3, Sentenza n. 3912 del 05/12/2013 Cc. (dep. 29/01/2014 ) Rv. 258833 - 01;Sez. 4, Sentenza n. 40906 del 06/10/2009 Cc. (dep. 23/10/2009 ) Rv. 245369 - 01;Sez. 4, Sentenza n. 124 del 31/01/1994 Cc. (dep. 19/05/1994) Rv. 197647 - 01). Nel contempo, occorre anche sottolineare come sia condivisibile l'ulteriore rilievo di questa Suprema corte (Sez.
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