Cass. civ., SS.UU., sentenza 11/12/2003, n. 18956

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La censura, mediante ricorso per cassazione, della mancata rilevazione da parte del giudice del merito della "cessazione della materia del contendere", riconducibile tra le fattispecie di estinzione del giudizio, configurando denuncia di un "error in procedendo", legittima la Corte di cassazione a verificarne la sussistenza mediante diretto esame degli atti e costituisce questione che ha carattere pregiudiziale rispetto a quella di giurisdizione, senza che possa ritenersi carente il collegamento della controversia con la competenza delle Sezioni unite, in quanto l'espressione "motivi attinenti alla giurisdizione" -contenuta nell'art. 360, n. 1, c.p.c., e richiamata dall'art. 374, c.p.c.- comprende anche l'ipotesi in cui il problema del riparto di giurisdizione sorge in relazione alla soluzione di questioni di diversa natura (Nella specie, concernente la domanda proposta da un dipendente comunale nei confronti del Comune per ottenere il risarcimento del danno cagionatogli dall'amministrazione per il ritardato pagamento delle somme dovutegli a titolo di riliquidazione dell'assegno di anzianità, sulla quale la sentenza di merito aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, le Sezioni unite, in applicazione del succitato principio di diritto, hanno dichiarato cessata la materia del contendere, in quanto, come prospettato dal ricorrente in sede di appello, il Comune, anteriormente alla decisione di primo grado, aveva adempiuto l'obbligazione dedotta in giudizio).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 11/12/2003, n. 18956
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18956
Data del deposito : 11 dicembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G I - Primo Presidente f. f. -
Dott. G O - Presidente di sezione -
Dott. A C - Consigliere -
Dott. E L - Consigliere -
Dott. G N - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. M L P - Consigliere -
Dott. M R M - Consigliere -
Dott. S E - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIUSA GIUSEPPA VEDOVA DE DOMENICO, DE DOMENICO DOMENICA, DE DOMENICO SALVATORE, TUTTI NELLA QUALITÀ DI EREDI DI DE DOMENICO ANDREA, domiciliati in ROMA, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato DI CRISTINA FEDELE, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrenti -


contro
COMUNE DI MESSINA, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato R A, giusta delega a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 595/97 del Tribunale di MESSINA, depositata il 20/02/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/03 dal Consigliere Dott. S E;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso che in via principale per l'inammissibilità in subordine accoglimento per quanto di ragione, dichiarandosi cessata la materia del contendere. Spese compensate. Svolgimento del processo
Con sentenza depositata in cancelleria il 20 febbraio 1998, il Tribunale di Messina, in funzione di giudice del lavoro ed in grado di appello, confermando le statuizioni rese sul punto dal giudice di primo grado, ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria sulla domanda proposta da Andrea De Domenico, nei confronti del Comune di Messina, per ottenere il risarcimento del danno che l'amministrazione gli aveva cagionato erogandogli in ritardo le somme dovutegli a titolo di riliquidazione dell'assegno di anzianità.
Il Tribunale ha affidato la declaratoria suddetta al rilievo della natura retributiva, e non previdenziale, dell'emolumento tardivamente corrisposto, nonché del carattere accessorio delle prestazioni in contestazione, il diritto alle quali non poteva che essere oggetto di cognizione da parte dei giudice amministrativo, avente giurisdizione sul diritto alla somma capitale, nascente da rapporto di impiego pubblico. Ha, in particolare, osservato, per quanto ancora in questa sede rileva, che il momento di collegamento della controversia con la giurisdizione ordinaria non poteva ravvisarsi nell'intervenuto riconoscimento del diritto rivendicato dalla parte privata, risultando l'atto ricognitivo limitato all'an e non esteso al quantum. Per la cassazione di questa sentenza ricorrono gli eredi dell'appellante.
Resiste l'Amministrazione comunale con controricorso. Motivi della decisione
I ricorrenti si dolgono della pronuncia declinatoria della giurisdizione, rilevando che al giudice d'appello, come già a quello di primo grado, era stato rappresentato che, dopo la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, il diritto ivi fatto valere aveva trovato integrale soddisfazione, avendo l'Amministrazione comunale, non solo deliberato di corrispondere, ma effettivamente corrisposto le somme ad esso relative, sicché era sopravvenuta la cessazione della materia del contendere, quale situazione preclusiva di qualsiasi altra pronuncia che non avesse ad oggetto la sua mera dichiarazione.
Essi sollecitano ora l'accertamento, ad opera di questa Corte, di siffatta situazione, con correlativa pronuncia di condanna del Comune al pagamento delle spese dell'intero processo, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale. Preliminare all'esame del ricorso è quello delle eccezioni di inammissibilità del medesimo, sollevate dall'Amministrazione comunale, la cui costituzione con controricorso deve considerarsi rituale, essendo stata prodotta, unitamente alle note difensive depositate il 15 ottobre 2003, la copia della deliberazione di autorizzazione del Sindaco a resistere al ricorso introduttivo del giudizio di legittimità.
È, d'altra parte, giurisprudenza consolidata (v., per tutte, Cass.20 giugno 1998, n. 6166) che l'autorizzazione a stare in giudizio
condiziona l'efficace e non la validità della costituzione dell'ente, sicché essa, anche quando intervenga tardivamente sana retroattivamente qualsiasi vizio.
Procedendo, dunque, all'esame del merito delle eccezioni suddette, la Corte osserva che esse non sono fondate.
Nessuna incertezza sussiste in ordine alla sentenza impugnata, che è chiaramente identificata attraverso la menzione, fatta in ricorso, dei suoi estremi di numero ( 595/97) e di data (20 febbraio 1998) di deposito in cancelleria;
e se a tanto si aggiunge la circostanza che i ricorrenti spendono la loro qualità di eredi della stessa persona fisica che, nell'epigrafe della sentenza impugnata, figura indicata come appellante, risulta agevole la conclusione che è da ascriversi ad irrilevante errore materiale il difetto di corrispondenza fra tale indicazione e quella che si rinviene in altre parti della medesima sentenza circa l'identità della suddetta persona.
I ricorrenti, poi, hanno comprovato la loro qualità di eredi attraverso documentazione ritualmente prodotta, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 372 cod. proc. civ., con atto notificato alla controparte (presso la cancelleria, in difetto di elezione di domicilio in Roma) il 18 gennaio 2000.
Non pertinente è il richiamo del controricorrente ai limiti di ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, essendo l'atto introduttivo di questo giudizio di legittimità riconducibile non al modello di cui all'art. 41 cod. proc. civ., ma a quello del ricorso ordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 360 stesso codice.
Infine non è inesistente l'interesse dei ricorrenti all'impugnazione, poiché, pur avendo essi ottenuto l'adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio, diverso può essere il regolamento dell'onere delle spese processuali, se affidato al criterio della soccombenza virtuale, in relazione alla riscontrata cessazione della materia del contendere, piuttosto che a quello della soccombenza effettiva, in relazione alla questione pregiudiziale di giurisdizione.
Ciò premesso, la Corte ritiene fondato il ricorso.
A composizione di contrasto di giurisprudenza le Sezioni unite della Corte (Cass. sez. un., 28 settembre 2000, n. 1048) hanno chiarito che la pronuncia di "cessazione della materia del contendere" costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio nel merito per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. All'emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passati in cosa giudicata, dall'altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio.
Discende da tale principio che la denuncia, mediante ricorso per cassazione, dell'omessa rilevazione di simile causa di estinzione del giudizio, in presenza delle richieste condizioni, è da qualificare come denuncia di error in procedendo (art. 360, n. 4, c.p.c.), che legittima la Corte di cassazione a verificarne la
sussistenza mediante il diretto esame degli atti (Cass. 21 maggio 2002, n. 7450) ed a trarre le conseguenze proprie di siffatto evento estintivo, il quale, per la sua peculiare efficacia, dirimente delle decisioni rese e preclusiva di ogni possibilità dell'ulteriore corso del processo, risulta di impedimento anche alla pronuncia di statuizioni sulla giurisdizione (Cass., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6226;
Id., 29 agosto 1990, n. 8979). In tali sensi la questione di cessazione della materia del contendere assume rilievo pregiudiziale rispetto a quella di giurisdizione, senza, pertanto, che possa ritenersi carente il momento di collegamento della controversia con la competenza delle Sezioni unite, giusta l'orientamento da queste ultime già ripetutamente espresso (v. sentt. 24 aprile 2002, n. 6034;
6 febbraio 2002, n. 1556
), secondo cui l'espressione "motivi attinenti alla giurisdizione" di cui al numero 1 dell'art. 360 cod. proc. civ. - richiamata dall'art. 374 cod. proc. civ. nel delineare uno degli ambiti di tale competenza - comprende l'ipotesi in cui il problema del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo sorga in relazione alla soluzione di questioni di diversa natura.
Orbene, come emerge dagli atti di causa e come non è controverso (cfr. le allegazioni di cui a pag. 10 del ricorso e le
corrispondenti ammissioni di cui a pag. 6 del controricorso), da un lato il Comune di Messina aveva, già anteriormente alla decisione di primo grado, adempiuto l'obbligazione dedotta in giudizio e, dall'altro lato, la relativa circostanza era stata, con l'atto d'appello, specificamente segnalata al giudice adito, proprio al fine di ottenere la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Stante tale adempimento, accompagnato dall'affermazione del creditore di avere ricevuto integrale soddisfazione delle proprie aspettative, in assenza di riserve del debitore adempiente, non era configurabile alcun interesse all'accertamento giudiziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio ed era, pertanto, da ritenere venuta meno la lite intorno ad esso, con conseguente esclusione di qualsiasi altra statuizione che non fosse quella di declaratoria della cessazione della materia del contendere.
Di qui la necessità di accoglimento del ricorso, con correlativa cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, perché il processo non poteva essere proseguito per sopravvenuta mancanza dell'interesse ad agire determinato dalla suddetta cessazione (art.382, comma terzo, c.p.c.).
La Corte, dovendo provvedere, ai sensi dell'art. 385, terzo comma, cod. proc. civ., al regolamento delle spese dell'intero processo,
reputa sussistenti giusti motivi per disporne l'integrale compensazione.
Infatti a fronte di un adempimento ottenuto dalla parte ricorrente solo dopo l'introduzione del giudizio, resta il fatto che quest'ultima era avvenuta davanti a giudice da ritenere privo di giurisdizione, giusta, da un lato, i principi esattamente richiamati dalla sentenza impugnata in ordine alla natura retributiva e non previdenziale del credito per la somma capitale ed alla devoluzione della domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni da tardiva corresponsione di quest'ultima alla cognizione del medesimo giudice del rapporto di impiego pubblico (cfr., fra le altre conformi, Cass., sez. un., 30 dicembre 1992, n. 13709;
Id., 12 ottobre 1993, n. 10057;
id., 22 dicembre 1994, n. 11051) e, dall'altro lato, l'attinenza della questione ad un periodo anteriore al 30 giugno 1998, con conseguente inapplicabilità delle norme che dispongono il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle controversie concernenti rapporti del detto tipo (v., da ultima e per tutte, Cass., sez. un., 7 marzo 2003, n 3438).

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