Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 20/08/2004, n. 16392

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L'istituto della rendita per malattia professionale e quello dell'indennizzo per causa di servizio si fondano su presupposti diversi: l'indennizzo è un beneficio (qualificabile come prestazione speciale di natura non previdenziale) che la pubblica amministrazione attribuisce al proprio dipendente per compensare menomazioni fisiche comunque connesse col servizio, prescindendo da qualsiasi giudizio sull'incidenza del danno sofferto dal pubblico dipendente sulla sua capacità di lavoro, limitandosi la normativa in materia a richiedere che quest'ultimo sia rimasto leso nella sua integrità fisica; la rendita di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965 richiede che la malattia sia contratta nell'esercizio e a causa della lavorazione svolta, e impone perciò un nesso più stretto tra malattia e attività lavorativa, dovendo quest'ultima, in caso di fattori plurimi, costituire per sempre la causa sufficiente, ossia la "conditio sine qua non", della malattia. Ne consegue che il riconoscimento della causa di servizio non ha rilievo decisivo ai fini del riconoscimento della malattia professionale.

Nei giudizi in materia di costituzione di rendita INAIL per malattia professionale, nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, sono denunciabili in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo del difetto di motivazione, la palese devianza da parte del consulente tecnico dalle nozioni correnti della scienza medica e ogni illogicità incidente sulla validità delle sue conclusioni, non già mere difformità tra il significato ed il valore attribuiti dal consulente a determinati dati e fatti patologici ed il significato ed il valore agli stessi elementi attribuiti dalla parte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, sulla base della consulenza tecnica effettuata, aveva concluso nel senso che con riguardo alle patologie denunciate in rapporto allo svolgimento delle mansioni di geometra responsabile dell'ufficio tecnico urbanistico comunale, inquisito e giudicato per reati di abuso in atti di ufficio, l'attività lavorativa assumeva rilievo non significativo e privo dei requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per il riconoscimento di una malattia professionale trattandosi di patologie a tipica eziologia multifattoriale come l'ulcera duodenale, l'ipertensione e lo stato ansioso).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 20/08/2004, n. 16392
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16392
Data del deposito : 20 agosto 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. L F - Consigliere -
Dott. V G - Consigliere -
Dott. F C - rel. Consigliere -
Dott. S P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S F, elettivamente domiciliato in ROMA VIA A.

BAIAMONTI

2, presso lo studio dell'avvocato P B, che lo difende unitamente all'avvocato N F, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI INAIL;



- intimato -


e sul 2^ ricorso n. 12594/02 proposto da:
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, GIUSEPPE DE FERRÀ, giusta procura speciale atto notar CARLO FEDERICO TUCCARI di ROMA del 22 aprile 2002 REP. N. 60009;

- ricorrente incidentale -
contro
S F, elettivamente domiciliato in ROMA VIA A.

BAIAMONTI

2, presso lo studio dell'avvocato P B, che lo difende unitamente all'avvocato N F, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 1/02 del Tribunale di VIBO VALENTIA, depositata il 23/01/02 - R.G.N. 53/99;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/05/04 dal Consigliere Dott. Camillo FILADORO;

udito l'Avvocato MANCUSO per delega BLASI;

udito l'Avvocato FAVATA per delega DE FERRÀ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI

Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale ed assorbito il ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Vibo Valentia, in funzione di Giudice del Lavoro, Filippo S chiedeva la condanna dell'INAIL alla costituzione di una rendita per inabilita permanente da malattia professionale (ulcera duodenale, ipertensione arteriosa, stato ansioso con spunti ipocondriaci) contratta a causa delle mansioni di Geometra, Responsabile dell'Ufficio Tecnico Urbanistico e Lavori Pubblici del Comune di Stefanaconi.
In particolare, l'assicurato precisava di avere contratto le malattie denunciate, in conseguenza dello svolgimento di tali mansioni, essendo Stato inquisito e giudicato per reati propri (abuso in atti d'ufficio).
Il processo penale si era concluso con la sua assoluzione. Aggiungeva che la Commissione Straordinaria per la Gestione del Comune di Stefanaconi (il cui Consiglio comunale era stato sciolto per infiltrazioni mafioso), aveva riconosciuto le predette malattie come dipendenti da causa di servizio.
Si costituiva ritualmente l'INAIL, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, non essendo il ricorrente assicurato agli effetti della legge sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, stante la carenza dei requisiti di cui agli artt. 1 e 4 T.U. 1124/65. Nel merito l'Istituto deduceva l'infondatezza della domanda.
il Pretore adito respingeva la domanda, rilevando: a) che il S faceva derivare le sue infermità dall'attività di carattere amministrativo - intellettuale, piuttosto che da quella di natura tecnico - operativa (per es. quale responsabile dei cantieri del Comune nelle opere gestite direttamente), questo complesso di mansioni non poteva, tuttavia, essere alla stregua di una "attività protetta" ai sensi del testo unico dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;

b) non era stata, comunque, l'attività amministrativo-intellettuale del S a dare origine alle malattie denunciate, ma i tre distinti processi penali cui egli era stato sottoposto. Doveva pertanto escludersi un nesso eziologico tra l'attività svolta e la patologia contratta.
Con sentenza 7 novembre 2001, il Tribunale di Vibo Valentia rigettava l'appello del S.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il S, con due motivi.
L'intimato Istituto si è costituito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Devono innanzi tutto essere riuniti i due ricorsi, in quanto proposti entrambi contro la medesima decisione (art. 335 codice di procedura civile). Va esaminato per primo il ricorso principale proposto dal S. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio in relazione all'art. 360 n. 5 codice di procedura civile, nella parte in cui la sentenza impugnata aveva escluso la riferibilità a causa professionale vera e propria delle patologie accertate sull'assicurato.
Il ricorrente richiama la decisione della Corte Costituzionale n. 179 del 1988 con la quale sono stati dichiarati illegittimi, per contrasto con l'art. 38 della Costituzione, molteplici articoli del Testo Unico del 1965, tra cui l'art. 3, nella parte in cui gli stessi non prevedevano l'assicurazione obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al DPR n. 1124 del 1965 anche nel caso in cui si trattasse di patologie delle quali vi
fosse la prova della causa di lavoro.
Il ricorrente richiama anche le linee guida comunitarie in materia, che configurano come fattore di rischio professionale un qualsiasi agente fisico, chimico e biologico presente nell'ambiente di lavoro in grado di causare danno al lavoratore. Ricorda ancora che il Consiglio di Amministrazione dell'INAIL aveva deliberato nel 2001 di riconoscere il "mobbing strategico" come fattore di infortunio sul lavoro nonché come malattia professionale, programmando per questa forma di stress la creazione di un comitato scientifico perché ne individuasse i protocolli diagnostici.
Il vizio logico del ragionamento seguito dai giudici di appello appariva ancor più evidente, ad avviso del ricorrente principale, se solo si considerava che i fatti per i quali il S era stato indagato, subendo più di 250 interrogatori nel corso di vari anni, rientravano nella categoria giuridica dei reati propri. Infatti, l'ipotesi di reato contestata era quella di interesse privato in atti di ufficio: proprio a causa del posto ricoperto e della sua qualità di pubblico ufficiale il ricorrente si era trovato coinvolto in esasperanti vicende processuali protrattesi per diversi anni. Il S era stato incriminato a causa del lavoro svolto, per le mansioni ricoperte nel settore degli appalti pubblici e della urbanistica, in veste di pubblico ufficiale dell'amministrazione comunale di Stefanaconi e non come semplice cittadino. Era stata data prova sufficiente di come le patologie accertate in via amministrativa derivassero esclusivamente dallo svolgimento dell'attività lavorativa,che con le sue implicazioni di carattere penale e processuale (far parte di un Comune sciolto per infiltrazione mafiosa, non solo come amministrato, ma come amministratore) aveva ingenerato nel S un gravissimo stato di ansia e di stress culminato con l'insorgenza delle patologie denunciate ed accertate come dipendenti da causa di servizio al fini della legge sull'equo indennizzo.
Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti rilevabile d'ufficio in relazione all'art. 360 n. 5 codice di procedura civile nella parte in cui i giudici - di appello "non avrebbero tenuto in considerazione le censure ed i rilievi critici contenuti nelle controdeduzioni dei consulenti di parte, negando addirittura - contrariamente al vero - che il S avesse formulato censure e specifici rilievi critici alla consulenza tecnica di ufficio.
I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati.
Con motivazione adeguata e sufficiente i giudici di appello hanno spiegato per quale motivo doveva ritenersi la non riferibilità a causa professionale vera e propria delle patologie del S, solo indirettamente causate dall'attività di servizio, e dipendente in via diretta dalle indagini e dai processi penali dei quali egli era stato destinatario, nella sua qualità di responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Stefanaconi.
I giudici di appello hanno sottolineato che, nel caso di specie, si era trattato di vicende processuali penali complesse, contro numerosi coimputati, per fattispecie criminose peculiari, sviluppate nell'ambito di un contesto mafioso-associativo, in cui il teorema d'accusa vedeva la commissione di reati, dell'allora prevista imputazione di interesse privato in atti di ufficio, come delitti strumentali all'appropriazione del territorio ed all'arricchimento illecito da parte della cosca dominante della zona.
Un fattore esterno veniva a rompere l'immediatezza eziologica tra l'attività svolta e la patologia contratta ed era la circostanza che non era stata l'attività lavorativa in sè a determinare la malattia, bensì l'ulteriore elemento del processo penale pendente. Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di appello sfuggono a qualsiasi censura.
Secondo gli accertamenti compiuti dal consulente tecnico nominato in grado di appello, deve escludersi un rapporto derivativo, inquadratale nella causa o concausa preponderante ed esclusiva, tra le malattie riscontrate al S ed il suo lavoro di geometra comunale, poiché le affezioni accertate hanno trovato fattori scatenanti (i processi penali) che sono emanazione del tutto occasionale del lavoro di pubblico ufficiale svolto presso il Comune di Stefanaconi. Nel caso di specie non solo non è risultata adeguatamente provata l'origine professionale della patologie denunciate, ma la tipica eziologica multifattoriale delle stesse fa sì - come accertato dai giudici di appello - che l'attività lavorativa assuma un rilievo non significativo e privo quindi dei requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per il riconoscimento e l'indennizzo nell'ambito dell'INAIL.
Del tutto irrilevante, infine, appare la circostanza che in due occasioni al S fosse già stata riconosciuta la causa di servizio per i medesimi fatti, e le stesse patologie, posti all'origine della denuncia di malattia professionale. Si richiamano sul punto le differenze esistenti tra il sistema dell'equo indennizzo e quello dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (Cass. 18 marzo 1997 n. 2372, 7 luglio 2000 n. 9142, 19 ottobre 2000 n. 13857, 26 giugno 2001 n. 7208). Per quest'ultimo, il danno anatomo-funzionale sofferto dal lavoratore rileva agli effetti dell'indennizzo solo in quanto si rifletta negativamente sull'attitudine al lavoro. Al sistema dell'equo indennizzo, invece, è completamente estraneo qualsiasi giudizio sull'incidenza del danno sofferto dal pubblico dipendente sulla sua capacità di lavoro, limitandosi la normativa in materia a richiedere che quest'ultimo sia rimasto leso nella sua integrità fisica. L'istituto della rendita per inabilita permanente - da infortunio sul lavoro o malattia professionale - e quello dell'indennizzo per causa di servizio si fondano su presupposti diversi, in quanto l'indennizzo è un beneficio (qualificabile come prestazione speciale) che la pubblica amministrazione attribuisce al proprio dipendente per compensare menomazioni fisiche comunque connesse al servizio, laddove la rendita di cui al T.u. n. 1124 del 1965 richiede che la malattia sia contratta nell'esercizio ed a causa dell'attività svolta, ed impone, perciò, un nesso più stretto tra malattia e attività lavorativa, dovendo quest'ultima, in caso di fattori plurimi, costituire pur sempre la causa sufficiente ovvero la "condicio a sine qua non" della malattia.
Ed è oramai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che nelle controversie relative a rendite per malattia professionale, in cui il giudice di merito abbia fondato la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, eventuali lacune ed errori della consulenza tecnica di ufficio si riflettono sulla sentenza, viziandone la motivazione, solo quando si tratti di carenze e deficienze diagnostiche, di incongruenze ed affermazioni illogiche o scientifiche errate, e non già di semplice difformità tra il significato ed il valore attribuiti dal consulente a determinati dati e fatti patologici ed il significato ed il valore agli stessi elementi attribuiti dalla parte (Cass. 11 gennaio 2000 n. 225, 8 marzo 2001 n. 3351, 16 febbraio 2002 n. 2330). In questo quadro, le osservazioni del tutto generiche formulate dal ricorrente in merito allo stress da mobbing appaiono del tutto irrilevanti, in guanto non riferibili al caso di specie, nel quale i giudici hanno concluso, sulla base della consulenza tecnica effettuata, che la tipica eziologia multifattoriale della patologie denunciate fa si che l'attività lavorativa assuma un rilievo non significativo e privo quindi dei requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per il riconoscimento di una malattia professionale. Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato, ed il ricorso incidentale dell'Inail, proposto in via condizionata, dichiarato assorbito.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di questo giudizio di Cassazione.

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